Sostenibilità

200 aziende per salvarci da un mare di plastica

Ogni anno l’Italia è invasa da 7 milioni di tonnellate ma riesce a riciclarne meno di un settimo.

di Francesco Maggio

Di carta riciclata si parla, di plastica molto meno. Eppure l?impatto ambientale di questa materia prima derivata dal petrolio è altissimo. Lo è perché la plastica non si degrada mai (e resterà per anni o decenni dove l?abbiamo lasciata), è in continuo aumento e sostituisce progressivamente i materiali naturali nella vita di tutti i giorni.

Quanta ce n?è
e quanta se ne recupera
Oscilla tra i 6 e i 7 milioni di tonnellate il quantitativo di materie plastiche immesse annualmente al consumo, sia delle famiglie che delle imprese, in Italia. Di queste, oltre un terzo è costituito da imballaggi, tutto il resto comprende produzioni di ogni genere, dai teli per serre alle condutture, alle parti di autoveicoli. Ma solo il 13% circa di questa montagna di plastica viene riciclata. L?altro 87% rimane in gran parte nelle nostre case, nelle fabbriche o nei luoghi pubblici per molto tempo perché si tratta di beni durevoli, come gli elettrodomestici o le automobili. Solo gli imballaggi diventano rapidamente rifiuti e prendono la strada della raccolta differenziata oppure, soprattutto al Sud, quella più facile e inquinante della discarica, magari abusiva.
Il riciclo è una realtà significativa. Gli industriali della plastica hanno stimato in oltre 13mila tonnellate la quantità riciclata proveniente da autoveicoli, elettrodomestici, computer, mobili e materiali edili, e in oltre 86mila quella proveniente dall?agricoltura, soprattutto dai teli per serre. Nessuno sa invece quanta sia la plastica che si perde per strada, ma certamente è ancora troppa visto che non ci sono ancora obblighi di legge per il recupero dei materiali diversi dagli imballaggi. Presto, comunque, le cose dovrebbero cambiare. «È in arrivo il recepimento delle norme europee sulle parti di automobili, che sono la quota più rilevante dei residui di beni durevoli», spiega Angelo Bonsignori, direttore di Unionplast. «Di fatto tutti i settori coinvolti, a partire dall?industria automobilistica, saranno obbligati a condividere i costi della raccolta e del riciclo».

Attenti alle definizioni
Oltre al riciclo esiste anche il recupero: sono due concetti spesso confusi tra loro e invece molto diversi. Il riciclo è la trasformazione del rifiuto in nuova materia prima (sotto forma di granuli), mentre il recupero energetico è l?incenerimento in grandi impianti che permettono di trasformare il vapore prodotto dall?impianto in energia elettrica. «In Italia però il recupero termico incontra molti ostacoli», prosegue Bonsignori, «perché l?opinione pubblica si oppone alla costruzione di inceneritori». E anche perché la valorizzazione termica presuppone che l?impianto sia vicino ai potenziali utilizzatori di energia per essere economicamente conveniente. I sostenitori più convinti del recupero termico sono le grandi industrie chimiche produttrici di pvc, polietilene e altre materie prime vergini perché questa soluzione, a differenza del riciclo, non entra in concorrenza con loro. È anche il loro potere di lobby a frenare lo sviluppo del business.

Chi sono i riciclatori
Sono più di 200 le aziende riciclatrici di plastica in Italia. La capacità produttiva degli impianti esistenti sul nostro territorio, secondo Assorimap, è utilizzata solo al 70%, segno che la potenzialità di trattamento non è utilizzata al meglio. Il settore potrebbe svilupparsi notevolmente attraverso opportuni meccanismi di incentivazione. «Ci sono alcuni ostacoli che dovrebbero essere rimossi. Ad esempio, le materie prime seconde ora non possono essere utilizzate per imballaggi alimentari», afferma Roberto Sancinelli, amministratore di Montello, azienda che ha da poco inaugurato un modernissimo impianto a Bergamo, «e questo ci toglie molti sbocchi di mercato». Inoltre il mondo industriale è ancora poco sensibile all?uso di materie prime seconde nei processi di fabbricazione. «C?è scarsa consapevolezza del fatto che la plastica riciclata ha le stesse prestazioni della vergine nella maggior parte delle applicazioni», spiega la responsabile ricerca di Assorimap, Patrizia Ferri.
«Puntiamo a ottenere misure legislative che favoriscano un cambio di mentalità», continua la Ferri, «come l?introduzione di una quota minima obbligatoria di riciclato in alcuni prodotti, come gli elettrodomestici».
Infine, il settore è soggetto a forti fluttuazioni di prezzo, come accade per tutte le materie prime. Quando si verifica un rialzo del riciclato e un ribasso della materia vergine, quest?ultima diventa addirittura più conveniente e il mercato entra in crisi.

Che cosa diventa
la plastica riciclata
Non tutte le plastiche sono uguali, lo sappiamo quando andiamo a separare bottiglie e flaconi per metterli nei sacchi della raccolta differenziata. Allo stato attuale, la separazione dei diversi tipi di materia è fondamentale per ottenere un buon prodotto finale attraverso il riciclo meccanico.
Dal pet, usato per le bottiglie dell?acqua e delle bibite, si ricavano nuovi contenitori oppure fibre sintetiche destinate a capi di abbigliamento (come i pile), alle imbottiture per arredamento, ai rivestimenti per auto. Dal pvc dei flaconi di detersivo o di shampoo si ricava materia prima più robusta, utilizzata soprattutto per tubi e condutture. Dal polietilene dei sacchi e delle pellicole alimentari si ricavano invece nuovi imballaggi e vari manufatti industriali. Infine, dalle plastiche eterogenee, composte da materiali diversi, si ricavano oggetti di arredo urbano come panchine, giochi da giardino, cartelli stradali.
In futuro dovrebbe diventare disponibile la tecnologia del riciclo chimico: seppure a costi più alti, permetterebbe di ottenere qualsiasi oggetto dalle plastiche eterogenee.

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