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20 marzo. Pacifisti in piazza su posizioni diverse

Lavori in corso per la manifestazione del 20 marzo. Una cosa è certa: non sarà unitaria. E sulla pace non perdete il prossimo numero di Vita, dedicato al popolo delle bandiere

di Ettore Colombo

Per i pacifisti italiani, che compatti manifestarono contro la guerra il 15 febbraio dello scorso anno e uniti bloccarono i treni carichi di armi prima dell’attacco all’Iraq, il rischio è di scendere in piazza il 20 marzo prossimo, giornata mondiale contro la guerra, con piattaforme diverse. Divisi, in pratica, nella differenza di vedute sulla “resistenza irachena”, che per Cobas e Disobbedienti è da “sostenere”, mentre per le altre componenti del movimento noglobal, dalla Cgil ai cattolici, è da iscrivere nei fenomeni di “terrorismo scatenati dalla guerra”. Oggi nel corso di una lunga riunione in Cgil, il movimento ha cercato di ricomporre le differenze e l’operazione di ricucitura in vista del 20 continuerà domani in un altro incontro. Ma pesano le spaccature venute fuori vistosamente nel corso dell’assemblea dei Forum Sociali, lo scorso weekend al centro sociale Tpo di Bologna. Oggi, al termine della riunione della segreteria nazionale, la Cgil ha formalizzato la propria posizione. Parteciperà alla manifestazione del 20 marzo sotto le parole d’ordine: “ritiro delle truppe dall’Iraq e ripudio della guerra”. La Tavola della Pace, vasta rete di realtà cattoliche che volutamente non ha partecipato all’assemblea bolognese, condivide le parole d’ordine del sindacato di Epifani, continua a sperare in una piattaforma unitaria, ma, sottolinea il coordinatore Flavio Lotti, insisterà “sulla questione della nonviolenza. Per noi – afferma – la giornata del 20 sarà l’occasione per riproporre la non-violenza come terreno sia politico sia di scelta e impegno personale. Il movimento non ha ancora compiuto una scelta chiara in questo senso”. Le parole di Lotti centrano l’altra questione intorno alla quale si sono arrovellati al Tpo. Su violenza o non-violenza continuano ad alimentarsi le frizioni tra il portavoce dei Disobbedienti del nord-est Luca Casarini ed il segretario del Prc Fausto Bertinotti, il primo che difende l’uso di caschi e bastoni in piazza, il secondo che sottolinea il rifiuto della violenza come pratica politica “hinc et nunc”. Intorno a Casarini, un’alleanza inedita di Disobbedienti (per lo più di area nordestina), i Cobas di Piero Bernocchi e trotzkisti come il vice direttore di Liberazione Salvatore Cannavò. Sulla posizione di Bertinotti si coagulano, in maniera molto articolata, le altre forze del movimento, anche se sono in molti a definire “intempestivo” il suo intervento a due giorni dall’arresto di 12 Disobbedienti romani per gli scontri del 4 ottobre all’Eur. La questione “resistenza irachena” si insinua, dunque, in una situazione già abbastanza aggrovigliata. Bernocchi e Casarini insistono perché nell’appello per la manifestazione del 20 venga inserita una frase che parli di sostegno a chi “resiste contro l’occupazione militare”. Gli altri rispondono che è il caso di parlare di “autodeterminazione del popolo iracheno”, come sostiene l’appello per la giornata del 20 lanciato dagli Stati Uniti. I giochi restano aperti, anche perché non sfugge che Acli e Legambiente qualche giorno fa hanno firmato un documento comune nel quale chiedono che le truppe in Iraq operino sotto l’egida dell’Onu e non che si ritirino immediatamente. Quanto alle Acli, per il momento si ritrovano nella piattaforma della Tavola della Pace e non danno per scontato né che si raggiunga una posizione unitaria, né che al 20 marzo si arrivi con un corteo unitario.

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