E’ una di quelle giornate in cui sai solo guardarti indietro, in cui la mole di cose da fare, fare, fare, sempre fare non ti impedisce di fissare dettagli del tempo perduti nelle lancette dell’orologio. Sarà che i social network, nel loro modo superficiale, un briciolo di memoria la fanno coltivare, sarà quel sorriso di Massimo Troisi che quando accadde dispiacque a tutti perché uno così non può che morire giovane da quanto grande è. Sarà, ma questi 20 anni non sono anni qualsiasi, ammesso che esistano anni qualsiasi. E l’eredità sciagurata che lasciano sarebbe da bruciare e sotterrare per far crescere poi nuova vita. Perché quando passano, questi 20 anni, scavano solchi in cui sotterrare le cose perdute.
Io nel 1994 avevo 14 anni. Che bella età 14 anni, ammesso che esistano età non belle. Correvo sempre a 14 anni, meno di ora, ma meglio. E correva anche l’anno, come corrono tutti gli anni.
1994: Indigeni a volto coperto riaccendevano la speranza nel sudest messicano e nel mondo. Montanelli rompeva con Berlusconi e lo paragonava a Mussolini. Nasceva Alleanza Nazionale, i fascisti erano diventati buoni. Veniva arrestato per mafia un certo Marcello Dell’Utri. Finiva l’assedio alla città di Mostar. Veniva ammazzato Don Peppe Diana. E poi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Coi loro occhi si chiudeva un modo di fare giornalismo. Poi subito dopo, alle elezioni del marzo, nasceva la seconda Repubblica: benvenuto Cavaliere. Moriva Kurt Cobain, iniziava il genocidio in Ruanda. Ayrton Senna usciva di scena, Erick Priebke rientrava in scena in Argentina. Nelson Mandela diventava presidente della Repubblica Sudafricana. In Italia il Milan distruggeva 4 a 0 il Barcellona in Chiampions e Massimo D’Alema diventa segretario del PdS. Il Brasile vinceva i mondiali ai rigori contro l’Italia e nasceva il primo quotidiano online, l’Unione Sarda. L’estate passava e l’autunno pioveva dal cielo ferendo il Piemonte. Ancora le leggi finanziarie portavano un milione di persone in piazza a protestare e iniziava la sporca guerra in Cecenia. Berlusconi si dimetteva, sembrava già finito.
Ma che ne sapevo io a 14 anni, non sapevo nulla, ma un po’ più di ora, ammesso che si possa non sapere nulla del tempo che si vive.
Correva l’anno 1994, correva anche in Italia senza sapere bene dove andare. La Prima Repubblica ormai agli sgoccioli, con la “balena bianca” spiaggiata, il partito di Bettino Craxi azzerato dalle inchieste di Mani Pulite e il vecchio Pci sempre più lontano dal rigore morale di Enrico Berlinguer. Correva l’anno 1994. E non era il solo a correre. L’Italia era attraversata da carovane di ombre nere. Hanno nomi e cognomi, sussurrano verità indicibili. Coprono segreti esplosivi, nascondono peccati mortali, hanno le mani sporche di sangue.
Quell’anno intrecciava alcune delle peggiori storie che la nostra Repubblica dell’impunità ha dovuto ospitare. Le raccontano in un libro Luciano Scalettari e Luigi Grimaldi. Si intitola 1994.
L’ho letto qualche anno fa, aspettando che poi il 4 tornasse nel numero degli anni per poi andare a rileggermelo. Aspettando di sapere se il mio Paese le avesse risolte. Anche se le storie non si risolvono mai, semmai si ricordano e si raccontano e dal racconto rendono migliori chi le ascolta, senza bisogno di spiegazioni.
Quel libro, uno dei più interessanti e ben fatti di Chiarelettere, incrocia quello che è dato a sapere a giornalisti testardi di quelle torbide storie collegate: il delitto Rostagno del 1988, la tragedia del traghetto Moby Prince (1991), gli omicidi dell’ufficiale del Sismi Vincenzo Li Causi (1993) e dei reporter Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (1994). C’è un filo che le lega, che ricama e prepara la grande svolta del 1994, vent’anni fa. Andrebbe letto, per sapere come sono poi passati questi 20 anni e quello che si è perso o dimenticato. Per sapere quale colossale fatica sia cercare la verità nella banalità del male.
E allora questo post non mi si chiude, mi apre finestre impazzite nel tempo. Lo lascio così. Allora correte anni, correte amici e coetanei, correte tutti veloci e mangiate il tempo finché ne avete. Ma ogni tanto fermatevi a guardare anche indietro perché siamo animali inconsapevolmente gonfi di passato e spesso, per questo, incapaci di futuro.
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