Non profit
2 per mille alla cultura, dopo l’annuncio più nulla
Previsto dalla legge di stabilità 2016, sulle dichiarazioni dei redditi è già comparso un nuovo riquadro per destinare il 2 per mille delle imposte «alla cultura». Peccato che non sia stato pubblicato il decreto, che doveva uscire entro gennaio, che specifica a quali enti dovrà andare il contributo. Che rischia di poter essere preteso un po' da tutti
L'annuncio l'aveva dato il premier Matteo Renzi in persona, alla conferenza stampa di presentazione ella legge di stabilità 2016 (nella foto). Ci sarà finalmente, da quest'anno, un “2 per mille” per le associazioni culturali. Un contributo, simile a quello già previsto per i partiti, che andrà a favore di chi nel nostro paese si occupa di arte, musica, archeologia, libri, arti visive, teatro.. O almeno, così si potrebbe pensare. Perchè nei fatti nulla si sa di più rispetto alle scarne frasi pronunciate dal presidente del Consiglio a uso dei giornalisti. Le legge infatti esplicita che entro il 31 gennaio avrebbe dovuto essere pubblicato un decreto per stabilire quali sono i soggetti destinatari del 2 per mille (solo associazioni? no comitati o fondazioni? E cosa si intende per “cultura”?). Peccato che a oggi, 8 febbraio, questo decreto non esista, mentre esiste già il nuovo riquadro a disposizione del contribuente nelle varie dichiarazioni dei redditi. Che fare? A che sarà destinato il contributo? Per fare un po' di chiarezza chiediamo a Carlo Mazzini, esperto di legislazione del non profit nonchè collaboratore storico di Vita, se si tratti di una dimenticanza o di un ritardo inaspettato.
Allora Mazzini, la stupisce questo impasse?
Assolutamente no. Mi sarei stupito del contrario, se, cioè, avessero emanato entro il termine previsto un decreto che in effetti è complesso da scrivere. Pensate un po’ che devono copiare ed incollare i testi dei passati decreti del 5 per mille. Pertanto la difficoltà sta nel trovare e schiacciare assieme i tasti ctrl-c e ctrl-v, e poi sostituire “5” con “2”!
Ironia a parte, quale potrebbe essere la difficoltà principale del Ministero?
Credo consista nell’identificazione del “requisito soggettivo”: Va bene le associazioni (anche se c’è da chiedersi perché no le fondazioni o i comitati), ma per definirsi “culturale” un’associazione quale fine deve dimostrare di perseguire e quale attività deve realizzare? Questo è un mistero per tutti, in quanto il termine “culturale” racchiude un senso molto lato di attività.
Per esempio?
Nel dizionario dei sinonimi e dei contrari della Treccani troviamo due accezioni di “culturale”: la prima fa riferimento al fatto che un qualcosa di culturale riguarda la cultura come sapere formale acquisito. La seconda che appartiene alla storia della civiltà, delle credenze, dei modi di vita di un gruppo etnico. Capite bene che qui si sta parlando "dell’infinito e dintorni”. Vogliamo negare l’iscrizione all’associazione Z come Zumba, che è un’associazione “culturale” in quanto intende rilanciare la cultura della Zumba? E il pastafarianesimo, il movimento che vede i suoi adepti girare con uno scolapasta in testa? E’ un’espressione della cultura anche questo strano movimento, o no? E chi lo può negare? E sulla base di quale assunto?
Quindi cosa succederà secondo lei?
Prevedo che se riducono il “culturale” al Codice dei Beni culturali, quindi a ciò che è tutelabile in quanto vestigia del passato, si troveranno a dover rispondere perché mai hanno replicato il 5 per mille alla cultura (con tutti i problemi che ha quella disposizione, ma esiste!). E verranno presentati ricorsi a non finire; se allargano il “culturale” a tutto ciò che è folcloristico e tradizione della nostra terra, magari Z come Zumba e i Pastafariani avranno difficoltà ad entrare (ma faranno ricorso anche loro), ma ci riusciranno tutti quelli che promuovono, per esempio, le specialità del luogo. Qual era il problema del 5 per mille? Che erano troppe le organizzazioni iscritte. Bene: con la strepitosa idea del 2 per mille alla cultura, aspettatevene altre 100mila.
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