Volontariato

18 anni di verità clandestine

Sul più grande disastro nucleare della storia continuano a restare dubbi inquietanti. Sul fattore cesio 137 e le sue conseguenze le autorità continuano a essere latitanti.

di Silvia Pochettino

Che cosa successe davvero in quel maledetto aprile del 1986, a Cernobyl, quando per dieci giorni consecutivi il quarto reattore della centrale ucraina rilasciò nell?atmosfera materiale radioattivo pari a 200 volte la bomba di Hiroshima, 155mila km quadrati di territorio furono contaminati e il 70% dei radionuclidi a lunga vita (cesio e uranio) fuoriusciti ricadde sulla Bielorussia, piccola regione dell?allora impero sovietico che non possedeva (né possiede) centrali? Sugli effetti della catastrofe nucleare più imponente della storia si è scatenata una tale guerra di cifre e interessi incrociati che ancora oggi, a 18 anni dall?incidente, non ci è dato sapere i veri effetti del disastro. Tra accuse e smentite, il mondo si è diviso in ?credenti? e ?non credenti?, minimizzatori (nuclearisti) e catastrofisti (antinuclearisti), arroccati in posizioni talmente contrastanti da apparire assurde. Intanto la verità si allontana. O non si è mai voluta cercare. E ne possiamo cogliere solo brandelli. Fin dai primi giorni dopo il disastro si è “costretta la verità alla clandestinità”, come affermò in seguito un esponente dell?Oms. I dati più oggettivi sono i danni economici. Spaventosi. 295 miliardi di dollari solo per la Bielorussia. Quasi il 20% del bilancio del Paese negli ultimi 18 anni e fino al 10% del bilancio ucraino sono stati assorbiti dalla gestione delle conseguenze dell?incidente, senza contare il crollo generalizzato dell?economia delle regioni contaminate. Si dice che Cernobyl abbia dato un colpo letale anche alla stessa disgregazione dell?Urss. Ma è sui rischi sanitari che è in corso un valzer kafkiano di verità e controverità, affermazioni e smentite, studi che si contraddicono l?un l?altro, lobby e interessi inconfessabili in guerra tra loro. Il tutto sulla pelle delle vittime, che ancora oggi pagano le conseguenze di colpe non loro.


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