Welfare

17enne uccide la madre: perché bisogna sottolineare l’adozione?

La precisazione “adottato” non risponde ad alcun dovere di cronaca, se non per mettere in risalto una distinzione tra figli naturali e figli adottati e dare una connotazione negativa alla filiazione adottiva, accostandola al grave reato riportato. AiBi: «Abbiamo chiesto ai media di togliere l'aggettivo». Monya Ferritti, presidente del Coordinamento CARE: «Una narrazione tossica»

di Sara De Carli

Napoli, figlio adottivo uccide una madre. Come se quell’aggettivo spiegasse tutta la tragedia. Come se questo aggettivo permettesse di allontanare lo spettro della paura, delle fatiche che i ragazzi stanno vivendo e della frequente drammaticità della vita quotidiana da tutte le famiglie che adottive non sono. Come se in fondo bisognasse aspettarselo – già, a leggere i commenti sotto la notizia sembra che siamo ancora lì – perché un figlio adottivo resta pur sempre – dicono alcuni – un estraneo in casa.

Più di un genitore ieri ci ha scritto per condividere la propria sofferenza dinanzi alla drammatica notizia arrivata da Napoli: fatti che si infilano nella mente di tutti i genitori. Per quelli adottivi, in più, c’è la sofferenza nel vedere come la notizia viene trattata, sempre mettendo l’accento su quell’aggettivo che pare voler tirare una linea di separazione tra le famiglie, tra le storie, dentro le relazioni, salvandone alcune a priori e condannandone altre (allo stesso modo a priori) alla precarietà e al rischio. Mentre la realtà è fatta dal malessere dei ragazzi, palesato sia dalle crisi adottive sia dalle crisi di ragazzi e famiglie che non hanno questa caratteristica.

Monya Ferritti, presidente del Coordinamento CARE, in un lungo post su Facebook ha rispiegato ciò che aveva già scritto nel volume “Il corpo estraneo”: «L’aggiunta dell’aggettivo qualificativo dell’adozione nella trama della descrizione, quando si rivela superfluo o inessenziale, suggerisce un sottinteso: non sono veramente i figli della coppia; non sono davvero i genitori di quel ragazzo che per qualche motivo è finito in una pagina di cronaca, sono solo i genitori adottivi, non quelli “veri”. In sostanza sottolineare l’adottività negli articoli dissimula almeno un paio di sottintesi che i commentatori recepiscono molto bene: primo che fra i due non c’è un vero legame familiare perché il ragazzo è stato adottato e, secondo, che adottivo è sinonimo di problematico». Una «narrazione tossica», dice Ferritti, al pari della narrazione sulla “salvezza” e a quella sulla “gratitudine/ingratitudine”, per cui alle persone con background adottivo è chiesto dalla società un debito di riconoscenza verso i genitori adottivi per averli salvati.

In tempi in cui si discute se utilizzare la schwa al posto delle desinenze maschili e femminili per non discriminare nessuno, in cui si pretende l’oblio per cose molto meno impattanti, in cui siamo tutti impegnati nella sensibilizzazione sull’uso delle parole e sul sotteso che vecchi automatismi linguistici implicano, pare invece normale insistere sull’aggettivo adottivo.

«La legge elimina qualsiasi distinzione tra figli naturali e figli adottati. Dal punto di vista legale, l'articolo 73 della legge n.184/1983 dice che “chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio fornisce qualsiasi notizia atta a rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione o rivela in qualsiasi modo notizie circa lo stato di figlio legittimo per adozione è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire 900.000», che sarebbero pari oggi a circa mille euro”», osserva Aibi, che ieri ha chiesto a diversi media, tramite legali, la cancellazione del termine "adottivo" accanto a "figlio" negli articoli di cronaca relativi all’uccisione della dottoressa Filomena Galeone. Dopo tale sollecito, l'unico organo di informazione che ha risposto facendo seguito alla richiesta è stata l'Ansa. «Poco importa, nel caso in questione, che eventuali diretti interessati possano avere fatto accenno alla condizione di figlio adottivo del ragazzo, anche perché trattasi di minorenne. La precisazione “adottato” non risponde ad alcun dovere di cronaca, se non per mettere in risalto una distinzione tra figli naturali e figli adottati e dare una connotazione negativa alla filiazione adottiva, accostandola al grave reato riportato», continua AiBi nella sua nota.

Ecco quindi che dal piano legale si passa a quello culturale: «La precisazione “adottato” accanto al termine "figlio", lungi dall’essere innocua, non fa che rinforzare e veicolare categorie preconcette. L’utilizzo superficiale del termine adottivo arreca un danno all’intera “categoria” delle persone adottate, associate immediatamente a un episodio di cronaca già di per sé terribile, e veicola implicitamente il messaggio che proprio in quella parola stia una possibile spiegazione della tragedia. Al di là, dunque, della richiesta formale di eliminare il termine “adottivo” dopo la parola “figlio”, che Ai.Bi. sta portando avanti nei confronti di tutti gli organi di stampa che l’hanno utilizzato, l’invito è quello di una collettiva presa di coscienza da parte della società civile sulla necessità di garantire pari diritti e dignità ai figli, a prescindere dal fatto che siano biologici o meno. E anche la genitorialità adottiva merita la dignità che le spetta, al pari con la genitorialità biologica».

Foto Unsplash

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