Sostenibilità

150 dollari al barile? Pochi

Questione energetica. Intervista controcorrente al fisico subnucleare Roberto Battiston

di Maurizio Regosa

Una tassa di 3 euro in cambio dei 158 chilogrammi di CO2 immessi in atmosfera da un?andata e ritorno Roma-Ginevra. Cifra modesta, quasi irrilevante, che però ha spinto Roberto Battiston, dell?università di Perugia, a porsi alcune domande. «Quelle che si fanno tutti. Non sono né un economista né un esperto d?ambiente. Sono un fisico subnucleare. Ma trovando indicata sul biglietto, peraltro di una low cost company, la carbon tax, mi sono meravigliato».

Vita: Perché?
Roberto Battiston: Perché normalmente non vediamo la carbon tax al lavoro. Né quando andiamo a fare benzina né quando prendiamo un treno. Da qui mi sono reso conto che questa tassa, gran bella idea, non è conosciuta né implementata. Esistono i certificati sulla CO2 ma riguardano le nazioni o le grandi imprese che consumano molta energia.

Vita: Invece?
Battiston: Dovrebbe essere conosciuta dai cittadini. Ciascuno, con le sue azioni, è responsabile di parecchi interventi energetici. Verificarne l?impatto attraverso il pagamento della carbon tax aumenterebbe la consapevolezza delle scelte. Questi concetti vengono presentati dalle televisioni e dai giornali come fossero capiti, digeriti. In realtà ho l?impressione che per i più siano enunciati privi di conseguenze. Poi mi fa riflettere il contributo: 3 euro per correggere un?immissione di 158 chilogrammi di CO2. Quanto un gelato. C?è proporzione?

Vita: I costi per la collettività sono molto più alti?
Battiston: Fra i molti punti di vista possibili – morali, etici, ideologici – vorrei sottolineare quello economico, che potrebbe giocare un ruolo fondamentale. Non basta contare solo sulla buona volontà dei singoli. Per modificare i comportamenti di milioni di persone servono o la politica o l?economia. Però quest?ultima non se ne occupa: tratta le materie prime – come ferro, rame o petrolio – allo stesso modo. Ma i primi due una volta scavati sono riforgiabili, quindi restano a disposizione; il petrolio, come il carbone e il gas, no. Questa differenza non è in nessuna analisi economica. L?economia parte dall?ipotesi che le risorse siano infinite e si occupa solo del loro spostamento da una parte all?altra, da un proprietario all?altro.

Vita: Queste risorse sono finite. Hanno un valore stimabile?
Battiston: Un mio collega mi ha mandato un saggio di quasi dieci anni fa scritto da un gruppo di economisti che hanno calcolato quanto costerebbero gli interventi per mantenere la biosfera: tra i 40 e i 60 trilioni di dollari l?anno. Per fare un paragone, il Pil statunitense è sui 17 trilioni di dollari. Questa analisi, assai complessa, introduce un concetto importante: c?è un bene che vale molto, che noi usiamo come fosse infinito ma che non lo è. Se dovessimo cominciare a valutare il costo del petrolio tenendo conto di questi parametri, quanto dovrebbe costare un barile? Altro che 150 dollari…

Vita: Servirebbe un approccio più articolato?
Battiston: Mi par di comprendere che l?analisi economica in termini globali non è una scuola forte di pensiero. L?economia è nata un paio di secoli fa, in un contesto in cui si pensava ancora a risorse infinite. Ha avuto grossi meriti, ma in pochi decenni è cambiata la percezione culturale e l?economia è rimasta ancorata a un pensiero molto vecchio…

Vita: I comportamenti virtuosi non possono contribuire?
Battiston: Vanno sostenuti, potenziando le energie rinnovabili. Gli americani lo stanno facendo. Anche le persone normali, che mettono impianti sul tetto della loro casa, lo fanno per dare un contributo, ma solo il nucleare può portarci a breve a cambiare i comportamenti energetici. Ciò che mi rende perplesso è che in Italia avevamo un?eccellente scuola di ingegneri e fisici, ma da vent?anni smantelliamo competenze e strutture. Adesso altre nazioni si stanno domandando cosa fare sul nucleare e la risposta è quasi dappertutto «aspettiamo e spingiamo sulle risorse rinnovabili». Sembra un paradosso: i Paesi che hanno le centrali stanno decidendo se farne ancora e per lo più la risposta è no, quelli che non le hanno cominciano a pensarci. Da noi la questione meriterebbe una discussione approfondita. Non è un atto immediatamente politico: è un complicato miscuglio fra opportunità tecnologica, analisi economica e poi anche politica. Ho il timore che, esasperati dalla politica del no e con la voglia di fare purché sia, non si faccia un?adeguata analisi tecnica ed economica. I grossi Paesi nuclearisti non hanno trovato le condizioni economiche d?investimento privato per fare rapidamente centrali di prossima generazione. Questo fa riflettere.


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