Welfare

145mila posti di lavoro vacanti: il collocamento mirato non basta più

La legge 68 compie vent'anni e i consulenti del lavoro pubblicano un report. A fronte dei 360mila occupati dichiarati dalle aziende, ci sono 145mila posti di lavoro “vacanti”. Il 45% delle aziende e PA tenute all'obbligo, è ancora inadempiente. Le persone con disabilità iscritti alle liste di collocamento sono ben 775mila e i più penalizzati sono i giovani

di Sara De Carli

«Il collocamento mirato, introdotto vent’anni fa dalla legge n. 68/1999, pur rappresentando un prezioso strumento di inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità, non è più in grado da solo di impedire che esse si ritrovino confinate ai margini del mercato del lavoro e, quindi, della società». È la sintesi del report “L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia, presentato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità.

La ricerca è stata condotta sui dati resi disponibili per la prima volta dal Dicastero di via Veneto e relativi alle dichiarazioni PID (Prospetto Informativo Disabili) che le aziende con più di 14 dipendenti devono inviare ai fini del rispetto dell’obbligo normativo. A fronte dei 360mila occupati dichiarati dalle aziende in ottemperanza alla Legge, ci sono 145mila posti di lavoro “vacanti”, ovvero posti “riservati” alle persone con disabilità ma non ancora coperti (corrispondenti al 29% del totale della “quota di riserva”). Ciò significa che ogni 100 occupati con disabilità vi sono 40 opportunità di lavoro che, se attivate, porterebbero a quota 500mila occupati. Un volume potenziale importante, distribuito tra aziende private (77,4%) e organizzazioni pubbliche (22,6%), per lo più concentrato al Nord del Paese: 36,2% al Nord Ovest e 27,9% al Nord Est.

Il grosso dei posti “vacanti” si concentra nelle aziende con oltre 50 dipendenti (115 mila, per un’incidenza del 79,3% sul totale), dove ovviamente la quota di posti di lavoro complessivamente riservata alle persone con disabilità è più alta (416 mila). A livello settoriale, l’industria è il comparto con maggiori posti vacanti (il 35,3% del totale), seguita da Pubblica Amministrazione, istruzione e sanità (25,7%) e dal terziario avanzato: servizi di comunicazione, finanziari e alle imprese (18,4%). Considerato il rapporto tra posti scoperti e quota di riserva è però il comparto alberghiero e della ristorazione quello che presenta il più alto tasso di scopertura, con 41 posti “da coprire” ogni 100 riservati. Entrando nel dettaglio delle professioni più richieste, al primo posto vi sono i commessi, seguiti da addetti agli affari generali, alla gestione dei magazzini e, al quarto posto, figure non qualificate destinate ai servizi di pulizia. Al quinto posto, le aziende indicano analisti e progettisti di software, seguiti da figure addette all’imballaggio e al magazzino, operai e professioni non qualificate nelle attività industriali. Solo al nono posto vengono indicate figure da destinare ad attività di segreteria.

Ad oggi il 44,9% delle 95mila aziende e Pubbliche amministrazioni tenute all’adempimento normativo non sono completamente allineate, dal momento che non hanno coperto completamente o in parte la quota di “posti” da riservare alle persone con disabilità. Anche in ambito pubblico, il 33,1% delle organizzazioni è inadempiente.

C’è, inoltre, una forte sproporzione tra la domanda e l’offerta di lavoro: il numero degli iscritti alle liste di collocamento ammonterebbe a 775mila unità e sarebbe in aumento per le difficoltà riscontrate nel promuovere inserimenti stabili. Se è vero che non è detto che chi è iscritto alle liste del collocamento mirato sia poi immediatamente disponibile a lavorare (pertanto la condizione di “iscritto nelle liste” non è sovrapponibile a quella della “persona in cerca di occupazione”), il dato fa capire la distanza tra quanti un lavoro ce l’hanno e quanti lo cercano. Poco più del 30% delle persone iscritte alle liste di collocamento ha un titolo di istruzione superiore alla licenza di scuola media: il 6,3% universitario e il 24,6% un diploma di maturità. Ciò continua a rappresentare un ostacolo incredibile alla selezione e al successivo inserimento lavorativo. Nel 2015, ultimo anno di monitoraggio disponibile, a fronte di quasi 92mila persone che si sono iscritte per la prima volta nelle liste del collocamento mirato, gli avviamenti al lavoro sono stati 27mila 468, vale a dire il 29,9%. «Negli ultimi anni quindi, complice la crisi economica, il sistema si è dimostrato sempre più in affanno e incapace di dare risposta ad un’offerta di lavoro che solo nel 30% dei casi riesce a collocarsi». Insomma, «un meccanismo che rischia sempre più di girare a vuoto finendo per penalizzare quella componente del lavoro – giovani e giovanissimi – che già risulta così residuale nell’occupazione in forza nelle aziende», scrive il report.

Dei 360mila lavoratori assunti con collocamento mirato, la maggior parte sono uomini (58,7% contro il 41,3% delle donne), sono concentrati al Nord d’Italia (la Lombardia da sola occupa il 21,5% del totale), il 53,7% ha più di 50 anni, il 93,7% ha un contratto a tempo indeterminato ma con un’alta incidenza di part time, soprattutto negli “under 30” (49,3%). Nei decenni il sistema del collocamento mirato è cambiato fortemente: le chiamate nominative sono ormai la modalità prevalente di selezione (77,4% degli occupati), quasi esclusiva tra i giovani (92% tra gli occupati con meno di 30 anni), ma vi è ancora una quota di reclutamento affidata alla chiamata numerica, soprattutto al Centro e nel Mezzogiorno

Dai dati emerge inoltre che nell’ultimo decennio circa il 10% degli avviamenti al lavoro tramite collocamento mirato è avvenuto in aziende al di sotto dei 15 dipendenti, non sottoposte quindi all’obbligo di riserva: «Si tratta di una domanda spontanea e consapevole che potrebbe essere ulteriormente ampliata se supportata da meccanismi incentivanti o premiali», ha dichiarato la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone. In generale, ha proseguito, «vi è necessità di riequilibrare il versante delle politiche attive con interventi che potenzino l’incrocio tra domanda e offerta, ma prima ancora l’occupabilità delle persone con disabilità e, quindi, la loro formazione. Serve per le aziende un percorso di accompagnamento e assistenza per definire un piano condiviso di inserimento dei lavoratori con disabilità. Tra i protagonisti del mondo del lavoro deve crescere la sensibilità su questo tema con un vero e proprio salto culturale».

Anche l’Istat in occasione dell’audizione sulla legge di Bilancio (novembre 2019) ha ricordato come su 100 persone di 15-64 anni che, pur avendo limitazioni funzionali nelle funzioni motorie, sensoriali essenziali nella vita quotidiana oppure disturbi intellettivi o del comportamento, sono comunque abili al lavoro, solo il 35,8% è occupato (contro il 57,8% delle persone senza limitazioni), il 20,7% è in cerca di un’occupazione mentre il 43,5%, presumibilmente scoraggiato dalle basse chance di trovare un lavoro, risulta inattivo (tra le persone senza limitazioni tale percentuale è del 27,5%).

In particolare, dal report emerge:

  • lo sbilanciamento dell’occupazione in forza presso le aziende verso le classi d’età più adulte, con ben il 53,7% degli occupati ha superato i 50 anni e il 14,3% ne ha più di 60, mentre risulta estremamente ridotta la quota di quanti hanno meno di 40 anni (17,5%). Diverse le cause, quali ad esempio un forte ingresso nel mercato ai tempi dell’approvazione della legge o degli occupati già in forza nelle aziende per i quali è subentrata poi una situazione di disabilità. Occorre quindi contemperare l’obbligo normativo con meccanismi di riequilibrio generazionale.
  • l’elevata articolazione dei profili professionali: contrariamente alla rappresentazione spesso fornita dai media, la collocazione professionale delle persone con disabilità è molto differenziata: il 36,2% ricopre un ruolo impiegatizio nel lavoro d’ufficio, il 19,8% si colloca ai vertici della piramide professionale, svolgendo una professione intellettuale o dirigenziale (5,3%) o una professione tecnica ad elevata specializzazione (14,5%). Tra le donne il livello di qualificazione professionale risulta ancora più elevato.
  • la netta prevalenza del lavoro pubblico rispetto al privato. Su 100 occupati con disabilità, 24 lavorano nel pubblico impiego; nel Sud Italia la percentuale sale al 34,3% (in Sardegna al 50,5%) contro il 26,6% del Centro, il 21% del Nord Est e il 18,7% del Nord Ovest.
  • è nella fascia d’età tra i 25 e 44 anni che si concentra il maggiore “disagio occupazionale” delle persone con disabilità, con una quota di quanti sono in cerca di un’occupazione pari al 31,2%, quasi doppia rispetto alla fascia dei 45-64enni, dove la stessa scende al 16,8%.

Foto di copertina, UILDM.

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