Mondo

12 milioni di bambini vittime di tratta, fenomeno in crescita causa Covid

WeWorld dà voce alle vittime del "trafficking" in Cambogia e Tanzania e presenta un video con le testimonianze dirette insieme a quelle delle volontarie europee che li supportano

di Redazione

«Al villaggio si è presentato un signore, proponendo ai miei genitori, dietro compenso economico, di prendermi in custodia per farmi studiare a Dar es Salaam. Lì non ho mai visto una scuola: dovevo lavorare duramente tutto il giorno, in diverse case. Mi picchiavano continuamente, non avevo quasi nulla da mangiare». Quella di Aurelia, 18enne della Tanzania, è la storia di 40 milioni di persone nel mondo, vittime di traffico di esseri umani, reclutate con la forza o false promesse per essere sfruttate lavorativamente, sessualmente, per matrimoni forzati o prelievo di organi.

In occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta di Esseri Umani di giovedì 30 luglio, WeWorld organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in 27 Paesi – denuncia come il fenomeno del trafficking sia in crescita in tutto il mondo, e riguardi soprattutto i più deboli, come donne e bambini. Le vittime sono per il 70 per cento donne, sfruttate per motivi sessuali a differenza degli uomini che vengono usati per lavoro, e comprendono 12 milioni di bambine e bambini in tutto il mondo.

«Prevenire e combattere la tratta di esseri umani è ancora più importante oggi, soprattutto nei contesti dove la pandemia del COVID-19 aumenta la fragilità economica e sociale, esponendo i più deboli a pericolose occasioni di violenza e violazione dei diritti», commenta Marco Chiesara, Presidente di WeWorld. «Per contrastare la tratta siamo al fianco delle vittime in molti dei Paesi dove interveniamo e chiediamo alle Istituzioni di promuovere una cultura dei diritti umani per qualsiasi persona che permetta alla vittima di essere tutelata e non criminalizzata, proteggere i migranti con canali regolari accessibili, riconoscere che ogni forma di frode, inganno, abuso di potere e posizione di vulnerabilità che porta a uno sfruttamento lavorativo e sessuale di bambine e bambini, donne e uomini è un reato da condannare senza esitazione».

Per la Giornata contro la Tratta di Esseri Umani, WeWorld presenta sui propri canali web e social il video “Cambogia – Tra schiavitù e speranze” con le toccanti testimonianze di vittime di tratta di esseri umani raccolte in Cambogia, uno dei Paesi in cui l’organizzazione opera contro il trafficking.

WeWorld lavora nel Paese asiatico dal 2013 – oggi anche con il supporto delle volontarie europee di EU Aid Volunteers, iniziativa dell’Unione Europea che offre l’opportunità ai cittadini europei di partire come volontari in Paesi extraeuropei in crisi umanitaria – per prevenire la tratta di oltre 1,2 milioni di migranti cambogiani poveri che si affidano ogni anno ad agenzie illegali per andare in Tailandia con la promessa di un lavoro. Nel video vediamo i volti e sentiamo le toccanti storie di donne, uomini, bambini aiutate da WeWorld. Ragazze vendute come merce, come se non avessero alcun valore. Bambini che non vedono da anni i loro genitori, in Tailandia per lavorare in condizioni di semischiavitù. «Le agenzie illegali fanno indebitare a vita i migranti, li obbligano a una relazione di dipendenza. I migranti cercano un futuro migliore e finiscono per rovinarsi», racconta una volontaria.

La disinformazione, gli alti costi e i tempi per accedere ai canali di migrazione regolare inducono il 70% dei cambogiani più vulnerabili ad affidarsi a trafficanti che li obbligano alla prostituzione, a servizi domestici non retribuiti, a lavoro forzato nel settore della pesca, delle costruzioni, dell’agricoltura e dell’industria tessile, subendo ricatti e violenze fisiche e morali. Aumentare la consapevolezza dei migranti più poveri è la prima arma contro la tratta. In sette anni WeWorld ha raggiunto 1 milione di persone, nelle province più povere della Cambogia, per proteggerle contro le nuove schiavitù e creato 100 gruppi di autoaiuto nei villaggi, per aiutarle a riconoscere i rischi e rivolgersi alle autorità.

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