Welfare

11/09/05. La pace cammina?

Serve marciare? Come fare perché la pace non sia un'utopia? Cosa attingere dalla saggezza delle grandi religioni? Un forum con Erri De Luca, lo scrittore più amato dal popolo arcobaleno

di Riccardo Bonacina

Serve una marcia? Sì, per chiamarsi fuori dalla guerra. La giustizia? Prendiamo esempio dal Dio delle Scritture che mandò la manna. La politica? Si è ormai ridotta a funzione burocratica incapace di ensare il futuro. Il futuro? Una cosa da meticci e quindi vitale. Che fare? Scatenare il sentimento di fraternità e riprovare a sentire lo schifo della guerra. A Milano per una presentazione del suo libro Solo andata. Righe che vanno troppo spesso a capo (edito da Feltrinelli e consigliato ai nostri lettori a inizio estate), Erri De Luca ci viene a trovare in redazione. è l?occasione per un confronto (vivacissimo), alla vigilia della Marcia della Pace Perugia-Assisi. Una Marcia convocata in occasione del 60° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite, e a cinque anni dal Vertice che aveva visto tutti i leader del mondo sottoscrivere la ?Dichiarazione del Millennio? contenente precisi impegni per promuovere la pace, la sicurezza e la giustizia nel mondo. Si discute di come coniugare giustizia e pace, diritto ed equità. E innazitutto ci si chiede cosa possa significare, oggi, rimettersi in marcia e chiedere che miseria e guerra vengano bandite. Erri De Luca: Come tutte le manifestazioni per la pace anche questa servirà per chiamarsi fuori dalle logiche di guerra. Servirà per dire ai governanti: ?fate le vostre porcherie senza di noi. Noi ci dissociamo dallo scempio che è sempre la guerra?. Vita: Una visione realistica, ma questo basta? Come costruire la pace dopo esserci dissociati dalla guerra? De Luca: La pace è solo il momento in cui la guerra smette per troppo scempio, per insostenibilità e non sopportazione da parte dell?umanità. La pace è l?intercapedine che si apre tra due guerre. A noi sta il compito di allargare questa intercapedine. Vita: Non dovrebbe bastare il diritto alla voglia di pace dell?uomo? De Luca: Il diritto nasce dalla forza, dal bisogno di esercitare una forza a nome collettivo per superare la fase della forza a titolo individuale. La Scrittura Sacra che parla di occhio per occhio sta stabilendo un calmiere alle ritorsioni, sta dicendo che per una lesione si paga l?equivalente di un?altra lesione, non di altre due o tre; sta esercitando un prezzario della lesione, un rimborso cioè della lesione, e lo stabilisce perché altrimenti la contabilità è arbitraria. Le faide accadono quando non si è stabilito l?occhio per occhio. Il diritto, quindi, nasce dal bisogno di una comunità di darsi una forza impersonale, comune, nella quale tutti si possono riconoscere. Il diritto nasce quando si attribuisce ad un?istituzione il monopolio della forza: una volta stabilito questo si può organizzare intorno una società. Tutte le volte che il monopolio della forza è esercitato in maniera di parte, parziale innesca la ritorsione, lo squilibrio e non c?è nessuno squilibrio che tenga. Quando i rapporti di forza sono molto sbilanciati non rimangono fermi, avviene un riequilibrio, prima o poi, attraverso l?esercizio della violenza. Non c?è niente di peggio in una società che avere un monopolio della forza usato per scopi di parte. Vita: Quanto il diritto ha a che fare con la giustizia? De Luca: Io credo che il sentimento più forte di una comunità, quello che la tiene insieme o che la disgrega, è il sentimento di giustizia, di giustizia distributiva. La Scrittura Sacra si occupa molto di giustizia distributiva perché sa che quello è il nervo di ogni tenuta. Le leggi che permettono ai poveri di entrare nel campo del proprietario e sfamarsi senza portare via niente, senza, cioè, avere un recipiente, ma semplicemente di sfamarsi; le leggi che obbligano il proprietario a lasciare addirittura una parte del suo campo alla raccolta fatta dai più poveri, la legge che obbliga a non racimolare i resti del raccolto quando sono passati i falciatori ma a lasciare il racimolo ai poveri che vengono dietro. Insomma tutto questo è una premura di distribuzione che proviene direttamente dalla prima distribuzione generale di sostentamento che è la manna. Vita: Cioè? De Luca: La manna è il sistema di distribuzione più perfetto che esista in caso di necessità, di emergenza: le parti sono tutte uguali, ognuno ne ha secondo il pro capite che gli spetta. è un genere di soccorso privo del valore di scambio, ha solo valore d?uso: siccome scade in giornata, il giorno dopo non è più buono, è inutile accaparrarlo, stoccarlo per poterlo poi rivendere in un secondo momento, farne scorta, incetta. L?accaparramento è la premessa per ogni possibilità di fare scambi. La Scrittura t?insegna che l?indispensabile è solo valore d?uso e non di scambio. E questo è un insegnamento. Conta la distribuzione e non la possibilità di farne incetta. Poi c?è il fatto per cui la manna non arriva giusta giusta per tutti, un tot uguale pro capite, ma ce n?è di più, avanza, ma va a marcire e poi si butta. Ma questo serve intanto ad ammettere che c?è una quota di spreco ma anche impedire che ci sia la possibilità che ci sia qualcuno costretto a prendere lo scarto di tutti gli altri. Queste notizie che riguardano la distribuzione dell?indispensabile sono notizie che servono a stabilire dei criteri di equa distribuzione di giustizia dentro una comunità, di uguaglianze. Quando dentro un sistema di una società si rompe il principio delle uguaglianze la società si scassa. Vita: Il diritto nasce dalla forza, è una forza impersonale, dicevi, in cui tutti possono riconoscersi. Ma chi garantisce che questa forza impersonale sia qualcosa in cui tutti possono riconoscersi, qualcosa che prevede un?equa distribuzione? E dove si origina questo sentimento? La manna viene dal cielo, è un gesto di Dio non è un gesto dell?uomo? De Luca: La manna è un gesto di Dio, ma tutta la sua procedura, invece, è stabilita perché da quel esempio si possano trarre le conseguenze e quell?esempio si possa ripetere e replicare. Vita: Cosa è possibile all?uomo fare perché si possa replicare il modello della manna? Perché la giustizia si coniughi infine con la pace? De Luca: Beh, la manna è un qualcosa che nelle condizioni di emergenza viene distribuito in parti uguali dai diretti interessati, c?è un?agenzia che deve affidarsi per forza ai bisognosi, non può sostituirsi a loro: sono i bisognosi che devono organizzare la distribuzione in parti uguali, questo è obbligatorio. I fornitori di manna devono stare attenti in prima battuta alla distribuzione, questo è più importante ancora della fornitura stessa. La cosa replicabile è questo criterio di distribuzione, che deve essere in parti uguali e impedire l?accaparramento. Vita: Pensando alla manna vengono in mente gli aiuti buttati sulla gente dopo lo tsunami, ma in che misura all?uomo è lecito dare la manna quando questo viene utilizzato come strumento per confermare un potere, una dipendenza e quando invece può essere uno strumento per riportare un?equità? Non c?è ambiguità? De Luca: Il gusto di dare è sempre buono. Ricordiamolo, altrimenti ci facciamo astratti. Il principio della distribuzione che ci possiamo permettere noi è che sia fatta dalla più vasta pluralità di organismi, più sono tanti e meno c?è spreco, più sono piccoli e più sono efficaci e riescono ad arrivare a destinazione. La distribuzione degli aiuti oggi dovrebbe essere fatta su base artigianale, dovrebbe essere proibito un organismo di soccorso composto da più di 12/15 persone; questa è del resto la grande esperienza della Bosnia: essere piccoli e numerosi permetteva di arrivare dappertutto, di passare sotto le gambe anche degli accaparratori. La mossa di dare è comunque una bella mossa anche se dovrebbe evitare la carta di credito e incitare a fare quattro passi a piedi sino al bisognoso. Vita: E la politica a che serve? De Luca: La politica è il mestiere più screditato possibile, e questo è male. Un po? dappertutto la politica ha lasciato il posto alle necessità dell?economia, ma da noi c?è stato un imbizzarrimento nel primato dell?economia non solo perché abbiamo eletto come Presidente del Consiglio il più ricco di tutti, ma abbiamo come suo avversario un altro uomo dell?economia e così anche nelle più alte cariche dello Stato. Siamo proprio un laboratorio del peggio, di questa riduzione ai minimi termini della funzione della politica. Vita: Qual è la funzione della politica nel senso non deteriore del termine? De Luca: La funzione politica è una funzione di guida, ha da avere anticipo e immaginazione. La politica è molto l?arte di suscitare energie, meno la tecnica di amministrare. Vita: Questo anche indipendentemente dal sentire la politica dalla propria parte? De Luca: Non lo so, io non ho parte, non ho nessuna parte politica con la quale mi struscerei. Vita: Eppure ci dovrà pur essere un pensiero politico nuovo… De Luca: Un pensiero politico può nascere solamente da un punto di vista sul futuro; bisogna immaginarsi un evento, una direzione del futuro, stabilire con l?immaginazione una direzione e guardare poi verso il presente. Guardare il presente da un futuro immaginato. Per noi è più difficile perché siamo diventati insignificanti. L?Italia era posto significativo, suo malgrado, il secolo scorso – eravamo un?appendice dolorosa della frizione tra le due metà del mondo, l?est e l?ovest che tentavano di buttarsi sotto l?una con l?altra: eravamo strategici dentro un Mediterraneo pieno di fascismi e con questa soluzione intermedia che non era democrazia completa perché non c?era alternanza, ma non era nemmeno uno dei tanti fascismi del Mediterraneo come il Portogallo, la Grecia, la Turchia, avevamo nostro malgrado una centralità. Oggi no, siamo un?espressione economica e basta, siamo insignificanti; se vogliamo guardare il mondo possiamo escludere di guardare noi stessi, siamo un dettaglio di questa cittadella d?Occidente accerchiata. Dicevo, bisognerebbe immaginarsi che cosa succede prossimamente?.Se l?immaginazione è compiuta, completa, soddisfacente, insomma ci si può riconoscere, ci si può lavorare sopra, allora si può fare pensiero politico. Il pensiero politico sull?esistente è nullo, non nasce, è il disbrigo delle pratiche correnti, non è pensiero. E questo vale soprattutto per noi in questo momento, in questa frazione del tempo del mondo in cui la sproporzione fra i possessori e gli spossessati è una sproporzione che si accumula, si aggrava col tempo e non si smussa. Vita: Ti sei fatto un?idea sul futuro? De Luca: Non ci vuole molta fantasia ad immaginare cosa succederà. Saremo invasi da questa umanità milionaria in esseri umani che ci raggiungerà, non ci possiamo fare niente, non ci saranno né leggi Bossi-Fini, né Cpt. Quanti ne vuoi mettere, uno per quartiere? Allora è chiaro che nel giro di qualche generazione saremo misti, meticci, da meticci che già siamo, siamo razza di mediterranei, siamo razza bastarda per ricchezza, per abbondanza, nel nostro sangue scorrono tutti i sali sanguigni del Mediterraneo, del sud, del centro, del nord. Ci siamo mischiati morbi, sangui e semi con tutti. Questo è il mondo col quale avremo e avranno a che fare i nostri figli, quella in cui il meticciato è una ricchezza biologica evidente, è spinta da sempre. Per fortuna. Vita: Come rapportarsi con questa l?umanità milionaria in esseri umani? De Luca: è possibile trovarsi sul sentimento di fraternità, quello più semplice, sui bisogni elementari. Dal permessi di soggiorno al diritto di asilo che manca in questo Paese, questo è un terreno di alleanza. Vita: Forse quello che non può fare la politica lo può fare la fraternità: che valore ha questa parola rispetto agli immigrati sui diritti essenziali come l?asilo? De Luca: la parola fraternità indica qualcosa di meno complicato di quanto possa apparire. Oggi che cosa ci può essere di differente tra una destra e una sinistra? Non certo le misure in politica economica, sulle pensioni o sui salari, quelle sono direzioni abbastanza obbligate. La differenza sta sulla triade della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Quanta quota di libertà una sinistra è disposta ad investire nel suo programma? Beh, questa sinistra nessuna, li ha inventati lei i centri di detenzione temporanea. Il più grave e osceno fatto di espulsione è avvenuto al largo delle coste pugliesi sotto il governo di sinistra. Ecco dobbiamo giudicare la politica su questi tre valori fondanti: quanta quota di libertà, quanta quota di uguaglianza, quanta quota di fraternità promuovono? Ecco, bisogna scatenare il sentimento della fraternità in tutte le occasioni possibili, questo è il vero sabotaggio della guerra. Dobbiamo far tornare la parola guerra una parola maledetta come lo era per i nostri genitori. Loro ne avevano uno schifo nei nervi, nel sistema nervoso prima che nel sistema costituzionale nei confronti della parola guerra. Oggi la guerra è una voce di bilancio, è diventata una parola dell?economia. Far tornare maledetta la parola guerra è compito di una generazione. Di questa nostra generazione. (ha collaborato Teresa Selva Bonino) Il pensiero di Aldo Capitini Fare violenza è ripetere il passato «Fra quelli che hanno approfondito l?impegno alla nonviolenza sono stati San Francesco e Gandhi. In questi la nonviolenza è stata più che una tensione individuale o un?affermazione insieme con altre: in essi è stata, e specialmente nel secondo, l?ispiratrice di un metodo dentro il mondo, ma non preso dal mondo. Il lavoro nostro deve procedere su questa via: dare sovrabbondantemente al posto di ciò che si perde del mondo; sostituire alla fedeltà tenace a un principio, il nutrimento e la letizia del convito della nuova realtà [?]. La nonviolenza così intesa esercita una instancabile critica della società circostante: è l?elemento dinamico che non dice mai ?fermiamoci?, ma sollecita sempre a nuove aperture. Essa, circa il mondo politico, porta con sé tramutazioni radicali e decisive in questo momento storico. Oggi la nonviolenza è alla svolta della storia, che o continua a ripetere se stessa o si rinnova. Chi commette la violenza ripete passivamente millenni. Dire intrepidamente no è far posto ad altro».

Tratto da ?Italia Nonviolenta?, opera di Aldo Capitini pubblicata nel 1949

Pit stop sulla via di Assisi Gazebo, dislocati lungo tutto il percorso, con vendita degli zainetti solidali del marciatore. Check-point fotografico allestito dalla campagna Control Arms. Bastia Umbra, poco prima di Assisi: allestimento della mostra itinerante 8 porte del millennio: una per ognuno degli obiettivi fissati dall?Onu. In corrispondenza di ogni porta, banchetti informativi delle associazioni e ong che lavorano per il raggiungimento di quel particolare aggettivo. In rete per prepararsi alla marcia www.tavoladellapace.org – informazioni logistiche, storia della marcia e news dell?ultimo minuto dai promotori della marcia. web.nientescuse.it/nientescuse/ – dal portale della campagna italiana di lotta alla povertà, le ragioni per cui è importante raggiungere gli obiettivi del Millennio www.onudeigiovani.it – il programma della 2° assemblea dell?Onu dei giovani, che si tiene a Terni dall?8 al 10 settembre. Su questo evento, e sull?Onu dei popoli, trovate maggiori informazioni a pagina 21 di Vita. www.acli.it – l?11 settembre, con la Perugia-Assisi, si conclude anche l?Incontro Nazionale di Studi di Orvieto delle Acli. www.agesci.org – in occasione della Marcia della pace, gli scout di Agesci e Cngei hanno firmato un documento comune con informazioni su come preparasi alla marcia.

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