Cultura

1 Un po’ di storia. L’uomo venne prima dello stato

Sussidiarietà è un pensiero con secoli alle spalle (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

Con il termine sussidiarietà si indica un?idea filosofica e politica, connessa all?organizzazione pubblica e sociale, presente da tempo nella storia del pensiero. Si tratta di un principio trasversale, che prescinde da quella ricerca del miglior regime politico che, nell?alternativa tra democrazia, monarchia e aristocrazia, ha visto schierarsi i filosofi, da Plotino a Bodin.
Essa accosta il problema in maniera diversa, in quanto, mettendo in secondo piano il problema della forma di governo, affronta primariamente la questione di fin dove può spingersi l?autorità e in virtù di che cosa e di quali compiti. L?impostazione ha serie ragioni: esistono, infatti, democrazie più autocratiche di quanto non sembri, che impediscono, ad esempio, che le iniziative sociali si sviluppino liberamente. Come diceva Tocqueville, “non basta votare per essere liberi”.
Da questo punto di vista, l?elaborazione teorica del principio di sussidiarietà sembra idonea ad aprire spazi notevoli rispetto al problema della crisi moderna delle forme tradizionali di rappresentanza, in virtù della potenzialità del principio a ricollegarsi alla questione della sovranità popolare senza esaurirne le forme di esercizio nelle dimensioni tradizionali del processo politico.
Fin dalle sue più lontane origini, individuabili nel problema aristotelico di come “governare uomini liberi”, lo scontro tra le due contrapposte necessità (governo e libertà), veniva risolto chiamando in causa la questione della sovranità individuale, dimostrata nella sua coincidenza con il principio della libertà di autonomia. Pur con tutte le differenze da quella moderna, la libertà di autonomia di Aristotele, infatti, già contemplava qualcosa di vicino alla sussidiarietà quando affermava che compito del potere era di permettere la felicità nella diversità, rimanendo però suppletivo e non creatore della società.
Solo con l?approfondimento compiuto dalla Scolastica si può però ritenere che la sussidiarietà abbia connesso la libertà di autonomia e la giustizia sociale, mostrandone implicazioni potenzialmente idonee a riconnetterla con la questione ?pubblica? del bene comune. In questo modo il principio di sussidiarietà acquisiva una sua peculiare connotazione, da cui derivava l?irriducibilità a concezioni dominate dalla dicotomia individuo-Stato, dove il desiderio di un ordine giusto poteva creare lo Stato provvidenza o dove l?indifferenza all?ordine giusto – se la giustizia sociale non ha legittimazione – poteva ridurre la sussidiarietà alla non ingerenza.
Tommaso d?Aquino, infatti, riprese e sviluppò il principio della libertà d?autonomia all?interno di un ambiente culturale – come era quello del suo tempo – in cui l?individuo non era pensabile individualisticamente, a prescindere cioè dei legami sociali in cui nasceva e si sviluppava. Si comprende così come sia conciliabile, nel pensiero dell?Aquinate, il principio della totalità e quello della libertà di autonomia , fino ad affermare che il potere serve dei fini che non definisce ma che riconosce, unificando e valorizzando gli sforzi sociali all?interno di una visione di bene comune che è, così, frutto di una pluralità di apporti.
Sarà però nella Weltanschauung di Althusius che il principio ottenne forse la formulazione più vicina a quella attuale, anche se all?interno di una concezione ancora molto legata al pensiero medioevale, dove la formula politica contemplava un concetto di sovranità ben diverso da quello moderno.
Nel pensiero di Althusius, infatti, la società è ancora quella organica medioevale piuttosto che quella individualista di Locke e il sovrano è il popolo perché vive all?interno di sfere che sono già sovrane e quasi autosufficienti, mentre l?istanza pubblica è limitata nelle sue prerogative, risultando però onnipotente nell?ambito del ruolo che è ad essa affidato.

Una sovranità individuale
Il potere supremo della politica, in altre parole, è necessario non perché la società non potrebbe fare nulla senza di esso, ma solo perché non potrebbe fare tutto.
Si evidenzia quindi il legame tra il principio di sussidiarietà e una capacità politica della società civile, radicata sulla consapevolezza di una sovranità individuale già vivente nella sua sfera di esercizio, prima ancora del riconoscimento o dell?intervento della società politica in senso stretto.
In questo contesto il principio non poteva ancora svilupparsi con quella valenza anti-totalitaria che avrebbe potuto assumere diversi secoli dopo quando la sovranità politica, riferibile al suo contemporaneo Bodin, incominciò ad affermarsi come giustificazione di poteri ben più invasivi.
La valenza democratica delle coordinate fondative della sussidiarietà, nel contesto moderno, verrà tuttavia efficacemente colta da Tocqueville nella sua denuncia critica delle forme espressive della sovranità nazionale elaborate all?interno dell?esperienza della Rivoluzione francese, giudicate come potenziali terreni di coltura di nuovi totalitarismi.

Parola di Tocqueville
Significativamente ne L?antico regime e la rivoluzione, Tocqueville ripropone una lettera che Mirabeau scrive a Luigi XVI in carcere: “Confrontate il nuovo stato di cose con l?antico regime; da questo confronto nascono il conforto e la speranza. Una parte degli atti dell?Assemblea nazionale, ed è la parte maggiore, è palesemente favorevole a un governo monarchico. Non vi sembra nulla essere senza Parlamento, senza Paesi di Stato, senza gli Ordini del clero, della nobiltà, dei privilegiati? L?idea di formare una sola classe di cittadini sarebbe piaciuta a Richelieu: questa superficie tutta eguale facilita l?esercizio del potere. Parecchi periodi di governo assoluto non avrebbero fatto per l?autorità regia quanto questo solo anno di rivoluzione”.
Alla nozione rivoluzionaria di sovranità nazionale Tocqueville sembra pertanto negare la legittimazione a presentarsi come l?espressione esauriente e totalizzante della sovranità popolare, dimostrando invece la valenza democratica delle manifestazioni del pluralismo sociale e istituzionale.
Sebbene la difesa del pluralismo sociale dalla invasività dello statalismo sia stata poi ribadita da notevoli autori, sarà però nella dottrina sociale della Chiesa che il principio di sussidiarietà sarà esplicitamente formulato, divenendo l?unico principio di filosofia sociale da questa proclamato come “gravissimo” e “inderogabile”. La formulazione più completa è ancora quella che si riviene nell?Enciclica Quadragesimo anno, emenata da Pio XI, in reazione alle pretese egemoniche del Fascismo. “Siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e con l?industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”. “Ne deriverebbe”, continua papa Ratti, “un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società… poiché oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le assemblee del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”.

Il posto dello Stato
Affermata più come risposta empirica a una preoccupazione di fatto che come un principio filosofico, quella della Quadragesimo anno era però una formula organizzativa che racchiudeva in nuce la concezione della persona propria del Magistero della Chiesa. Il suo presupposto fondante era infatti il valore della persona, intesa non come astratto centro di imputazione di generici ed eterei valori, ma nella sua dimensione di capax: la persona è capace di essere ?libera? ed è quindi irriducibile a qualsiasi assorbimento nel potere statuale .
Il principio di sussidiarietà traduceva nella filosofia sociale il riconoscimento della ?autonomia? della persona umana, intesa anche nella sua derivazione etimologica indicante un soggetto in grado di darsi le norme del proprio agire, recuperando quindi una dimensione di sovranità individuale che non poteva essere assorbita, ma piuttosto aiutata, dall?istituzione pubblica.
Da qui il ruolo sussidiario dello Stato, legittimato a intervenire solo in quei casi in cui, per la natura e la dimensione dei problemi, il singolo o la comunità a lui più immediatamente vicina, non sono in grado di autoregolarsi e gestirsi da soli.

Benedetto dalla Chiesa
Proprio per questa sua valenza, il principio di sussidiarietà sarà ripreso più volte dal Magistero della Chiesa cattolica. In tempi più recenti, Giovanni Paolo II, in uno dei suoi più impegnativi discorsi, quasi all?inizio del pontificato, rivolgendosi ai giuristi cattolici riuniti in convegno sul tema della libertà di assistenza in Italia, affermò che la libertà non sarebbe rispettata “se prevalesse la tendenza ad attribuire allo Stato e alle altre espressioni territoriali del potere pubblico una funzione accentratrice ed esclusiva di organizzazione diretta dei servizi o di rigidi controlli che finirebbe con lo snaturare la funzione legittima loro propria di promozione, di propulsione, di integrazione e anche – se necessario – di sostituzione dell?iniziativa delle libere formazioni sociali secondo il principio di sussidiarietà”.

Giorgio Vittadini e Luca Antonini

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