Volontariato

1.500 volontari senza meta

I vertici del Csv aquilano: «Difficile dialogare con la Protezione civile»

di Riccardo Bonacina

Sono gli attivisti mobilitati dai Csv di altre regioni che però non sono riusciti ad arrivare all’Aquila: «Siamo piccoli, ma il dipartimento pensa di essere autosufficiente» Il nostro viaggio a L’Aquila parte dagli amici del Csv L’Aquila, del resto sono stati loro ad invitarci. L’appuntamento è nella tenda del volontariato del Campo Acquasanta (quello del campo di rugby, che molti aquilani chiamano il lager perché racchiuso dentro gli spalti in cemento armato e senza un albero). Ma loro hanno pietà, la giornata è calda, ci si trova poco lontano, nella sede di un’associazione locale “Abitare insieme”, impegnata per i diritti dei disabili, una delle poche associazioni che hanno ancora una “casa”. Intorno al tavolo, il presidente del Csv dell’Aquila, Gianni Pappalepore, padrone di casa; Roberto Museo, aquilano e sfollato, direttore di CSVnet, il coordinamento nazionale dei Centri di servizio che sin dal 6 aprile si ha affiancato il Csv locale; Carmine Basile, presidente regionale dell’Arci e dell’ufficio Comunicazione del Csvaq, e Maurizio Turzini, psicologo dell’associazione Comitato 24 luglio e responsabile formazione Csvaq.
Tra bisogno di tutela e tutela dei bisogni dove sta il volontariato aquilano?

Gianni Pappalepore: Nonostante siano passati già più di tre mesi, stiamo uscendo a fatica da questo periodo di incertezza, di confusione anche psicologica, perché è difficile accettare la condizione di una rottura del quotidiano e di ogni progettualità pregressa. Difficile accettare la frantumazione di quella che era la propria esistenza, siamo una città divisa e disgregata. Questa tutela è piombata qui in maniera forte, e decisioni importanti sono state prese in un momento di estrema debolezza dei soggetti locali, sia istituzionali che della società civile. Pensiamo alla scelta della localizzazione urbanistica del Piano C.a.s.e. che inciderà molto sul futuro della città. Tutto questo è stato fatto con uno scarso coinvolgimento della popolazione, non solo e, forse, non tanto perché non ci sia stata la volontà di farlo, ma proprio per la debolezza delle realtà locali. Sia per la condizione personale degli aquilani, sia per la propria condizione sociale da terremotati è davvero difficile farsi un’idea del futuro nostro e dei nostri figli. Un’incertezza che chiedeva una tutela forte, e la protezione civile è riuscita a dare le risposte forti e immediate. Però qualcosa sta succedendo, la nascita dei Comitati spontanei dà l’idea di una società civile che sta reagendo e riorganizzando al di fuori di quelle che sono le sedi istituzionali e tradizionali.
Maurizio Turzini: È chiaro che all’inizio c’era soprattutto un bisogno di tutela, ma il tempo è passato, ed è passato velocissimo. Solo ora si capisce, si comincia a capire che nulla sarà più come prima. Cambierà tutto. Forse solo ora si passa alla fase dei bisogni. Vedo il grande bisogno di riappropriarci del nostro futuro anche nel piccolo, dall’anno scolastico alla casa. Per esempio le scuole ci saranno, di certo, ma i servizi che permettevano ai genitori lavoratori di mandare i figli a scuola ci saranno? I nuovi bisogni li leggiamo con molta difficoltà a livello personale e rischiamo di non leggerli affatto a livello sociale.
Roberto Museo: Bisogna leggere i bisogni per poterli affrontare. Per questo la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di raggiungere le 292 associazioni di volontariato della nostra provincia, distribuite in 108 Comuni, realtà spesso piccole e per quasi il 50% non affiliate a reti nazionali. È emerso che le associazioni vivono esattamente la condizione degli sfollati, sono nella diaspora, 107 associazioni hanno perso la sede, compreso il Csvaq. Siamo partiti da qui anche per avanzare la nostra proposta della costruzione di una casa nuova per le associazioni aquilane..
Turzini: In questi primi due-tre mesi c’è stato il vuoto, le associazioni bisognava cercarle, erano disperse, le coop sociali sono andate via, i servizi per minori sono sulla costa? non esisteva più nulla, né la prefettura, né il Comune, né l’arcivescovado? I Comitati hanno riempito un po’ di questo vuoto, uno spazio lasciato libero da tutti gli attori tradizionali.
Carmine Basile: I bisogni bisogna poterli dire, ma i luoghi dove prendere parola non ci sono. I Consigli comunali sono stati 4/5, le assemblee sulla costa spontanee o strutturate ci sono state, ma nei campi non ci sono luoghi di discussione, ci è indirettamente sconsigliato di riunirci e comunque non sono previsti luoghi di riunione, c’è solo la sala mensa ma occorrono autorizzazioni all’uso? L’unico spazio è quello preso autonomamente dai Comitati, che però sono in cerca di una loro precisa identità e di un coordinamento. I soggetti tradizionali erano già in crisi prima del terremoto, qui non esiste il Forum del terzo settore, il Movi e il Cnca, le Acli sono più deboli rispetto al livello nazionale, l’Auser qui non esisteva, si stanno costituendo ora dopo il terremoto. Abbiamo avuto una grande difficoltà per dialogare con il sistema della Protezione civile, organizzazioni di volontariato incluse, si viaggia sui binari di due leggi parallele tra volontariato di protezione civile e volontariato della 266.
Museo: Noi, per esempio, abbiamo subito raccolto la disponibilità di oltre 1.500 volontari e di un centinaio di organizzazioni dei Csv delle altre regioni disponibili a intervenire. Abbiamo fatto subito, quindici giorni dopo il terremoto, un incontro con la Protezione civile, per vedere le forme di collaborazione tra noi e il loro sistema. Volevamo integrarci rispetto al loro sistema. Sono stati disponibilissimi a parole, ma nei fatti ad oggi, 29 luglio, non siamo risuciti a far venire una di quelle 1.500 persone disponibili. Ho mandato mail infiammate a Giarola prima, e poi al suo collaboratore Maurizio D’Amore: su questo tema, ci preoccupa l’atteggiamento di autosufficienza. La linea della Consulta permanente delle associazioni di Protezione civile, dove CSVnet siede come osservatore, ha fissato la fine della mobilitazione al 30 ottobre. E poi? E il dopo? Certo, noi sulla convocazione siamo deboli, noi non siamo riusciti neppure a parlare con la presidente della Provincia con cui ci si conosce sin da quando eravamo bambini. Non ha trovato neppure una mezz’ora per parlare del nostro progetto della Casa del volontariato. Così la disistima versa la politica rischia di essere totale. E questo è un problema serio. In quattro mesi nessuno ha convocato un tavolo dei soggetti sociali. Poi si lamentano che sono soli! Certo, soli e arroccati nel fortino.


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