Social innovation

Alla radici del Sicomoro, l’impresa sociale di Francesco

di Josephine Condemi

Identikit della cooperativa sociale di Matera unica esperienza italiana selezionata come esemplare in occasione di “The Economy of Francesco”. Il presidente Michele Plati: «Non ci interessa puntare il dito sulle cause delle situazioni ma dare alle persone la possibilità di realizzarsi»

Said, a settembre, ha aperto un locale. Mohammad, a febbraio, un negozio di profumi personalizzati in tempo reale. «Un albero da solo è bello, ma è più bello quando diventa foresta»: Michele Plati, presidente della cooperativa sociale “Il Sicomoro” di Matera, sintetizza così l’approccio generativo dell’unica esperienza italiana selezionata come esempio da “The Economy of Francesco”. “Vogliamo essere quella struttura su cui salire per avere la possibilità di sviluppare i propri progetti di vita”. Il Sicomoro, nel racconto evangelico, è l’albero attraverso cui Zaccheo, piccolo di statura, riesce a emergere dalla folla ed entrare in relazione con Gesù. È simbolo di amore e rinascita. Ma, concretamente, è anche lo strumento che risolve un problema pratico: per partecipare, occorre vedere ed essere visti.

«Non ci interessa puntare il dito sulle cause delle situazioni ma dare alle persone la possibilità di realizzarsi», spiega Plati, «In quasi vent’anni di attività, abbiamo capito che è impossibile nella cooperazione sociale essere monospecialisti e non trasversalizzare i processi».

“Il Sicomoro” è una cooperativa sociale di tipo A, nata nel 2002 nell’ambito del progetto Policoro della Caritas diocesana di Matera, da un gruppo di giovani tra i 20 e i 30 anni. Oggi impiega 133 dipendenti (di cui 103 donne), con un fatturato 2020 di oltre 5,4 milioni di euro. Si occupa di integrazione di persone diversamente abili, migranti, anziane. Gestisce tre residenze per grandi età: la residenza Brancaccio di Matera, che comprende 116 posti tra la parte sociosanitaria e la RSA; casa Acerenza a Potenza (100 posti); la residenza di S.Chirico Raparo (Pz) con poco più di 20 posti. Accoglie 112 persone nei progetti SAI – Servizi di Accoglienza e Integrazione diffusa, di cui 37 nelle tre comunità per minori stranieri non accompagnati a S.Chirico Raparo, Missanello (Pz) e Irsina (Mt).

Nel 2003, da un progetto cofinanziato da Fondazione con il Sud, è nata la cooperativa MEST, di tipo B, finalizzata alla produzione di beni e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. MEST oggi ha 28 dipendenti (di cui 15 donne) e un fatturato 2020 di quasi 650.000 euro. Oltre a tre mense e a servizi di pulizia e manutenzione, MEST gestisce “Panecotto-Ethical Bistrot”, nel cuore dei Sassi, e il birrificio sociale agricolo inaugurato a luglio dal progetto GRUYT, con capofila il consorzio “La Città Essenziale”. Insieme, “Il Sicomoro” e “MEST” occupano direttamente 161 persone e hanno fatturato, nel 2020, 6,5 milioni di euro.

«Abbiamo condiviso l’approccio della legge 381/1991: se esistono due tipologie di cooperative è perché i servizi di assistenza sono diversi dalla produzione», sottolinea Plati. «Durante la pandemia, ci siamo cimentati nella realizzazione di un piccolo opificio industriale, perché occorre produrre beni, non solamente servizi. Occorre crescere, senza esagerare ma evitando il nanismo della cooperazione che crea le condizioni di dipendenza dalla politica. Se dobbiamo assumere persone Down, noi non ci poniamo il problema del contributo, non perdiamo tempo a chiederlo, vendiamo il prodotto o il servizio. Altrimenti, come diceva Keynes, ‘nei tempi lunghi siamo tutti morti».

«Quando abbiamo iniziato, non c’era alcun servizio finalizzato all’inserimento lavorativo delle cosiddette fasce deboli», ricorda Chiara Godani,

referente sull’inserimento lavorativo de “Il Sicomoro”. «Dal 2009, per cinque anni abbiamo lavorato sul progetto “Linea d’ombra”, che attraverso l’8×1000 e Fondazione con il Sud ha strutturato per 60 persone con ritardo mentale e disagio cognitivo laboratori di formazione: cucito, cura del verde, falegnameria, così da fare un bilancio di competenze con il coinvolgimento dei servizi territoriali. Anche se un 20% ha avviato un rapporto di lavoro, la Regione non ha creato un servizio di inserimento lavorativo. Tuttavia, il nostro territorio ha una percentuale sopra la media di rapporti di lavoro che coinvolgono persone con ritardo mentale e disagio cognitivo: se da una parte è difficile trovare un tessuto economico favorevole, dall’altra c’è una grande sensibilità del tessuto sociale che non si tira indietro a sostenere questi progetti». La legge 68/99, ricorda Godani, obbliga all’assunzione di un diversamente abile solo aziende con 15 dipendenti. «Ma molte volte sono le imprese piccole ad accettare il tirocinio più delle altre. Le famiglie, a cui spesso sono affidate le soluzioni insieme alla cooperazione sociale, hanno voglia di opportunità per i propri figli: le aiutiamo a renderli autonomi, perché tutti possono dare qualcosa».

«Il territorio ha esigenza di innovazione», sottolinea Plati, «Ma in questi 20 anni la Pubblica Amministrazione è diventata una zavorra: l’unica soluzione è liberarsi dall’intervento pubblico, che ha esaurito la sua forza propulsiva, e costruire comunità di cittadini, cittadelle di realizzazione di capacità».

A luglio, all’interno della residenza “Brancaccio” è stato inaugurato l’orto comunitario: rialzato, “a portata di schiena”, è stato pensato da Franco, che ha scelto di abitare la residenza per stare accanto alla moglie, e realizzato con il contributo dei migranti del progetto SAI Matera e dei ragazzi dei campi estivi in collaborazione con l’Uisp. Nell’orto vengono coltivati i pomodori utili a Panecotto – Ethical Bistrot e le spezie per il birrificio sociale agricolo. Nell’orto, le persone diversamente abili partecipano all’animazione per gli anziani.

«Alla base c’è sempre l’idea che più fragilità insieme possono convivere, anzi creano forza», spiega Luca Iacovone, direttore della residenza. «Per una persona anziana, è stimolante avere cura di un operatore down e viceversa».

La residenza Brancaccio (nella foto di apertura) è la più antica di Matera: fondata come ricovero caritatevole per gli anziani poveri e soli, ha superato lo stigma proprio attraverso un ritrovato rapporto con la città. «C’è un calendario di animazione quotidiano», racconta Iacovone, «La parrocchia anima il torneo di biliardino, la UISP fa ginnastica leggera, i docenti del conservatorio insegnano musica, un giornalista realizza un “TG Brancaccio”, la pineta ospita dibattiti politici e spettacoli teatrali: accogliamo gruppi informali o associazioni che assicurino continuità, dalle signore che impastano i dolci ai bambini delle scuole che preparano i quadretti per Natale”. Il risultato è che “le persone residenti sono stimolate, tornano a vivere». La struttura, che comprende 150 persone tra residenti e operatori, durante la pandemia non ha registrato alcun contagio. «Non era scontato, ed è un dato che restituisce la qualità dell’impegno di tutti gli operatori per garantire sempre, anche nella vita fuori dalla struttura, la sicurezza sanitaria” chiosa Iacovone. In sperimentazione, tecnologie IoT per aiutare il telemonitoraggio: Pensiamo alla residenza per la grande età come un’antenna sul territorio che funzioni anche come un centro di servizio h24», spiega Iacovone, «Un hub che monitori anche gli anziani che abitano nei paraggi. Rilevatori della qualità dell’aria, tecnologie indossabili come orologi e canottiere intelligenti, possono segnalare eventuali anomalie, anche notturne, e aiutare a mantenere il contatto con l’anziano».

Alla “Brancaccio”, i servizi di lavanderia, cucina e animazione sono a cura della cooperativa MEST. Al front office c’è Mohiyadin, rifugiato somalo inserito dopo un tirocinio di sei mesi.

«La parte più interessante dei progetti di integrazione è l’inserimento lavorativo», sottolinea Serena Vigoriti, responsabile area migrazione de “Il Sicomoro”. «Nei primi anni, alla domanda ‘Cosa facevi prima di arrivare in Italia?’ moltissimi rispondevano ‘l’imbianchino’. Qualcosa non quadrava. Un altro cono d’ombra riguardava le donne nel nucleo familiare: troppo spesso si trascuravano le professionalità femminili puntando sul marito come l’unico ad avere la possibilità di lavorare. Abbiamo cambiato approccio, ascoltato e fatto tesoro».

Per Matera 2019, “Il Sicomoro” ha presentato la “Silent Academy”, con l’idea di portare il talento originale dei migranti nel tessuto sociale: laboratori artigianali diffusi di arte partecipata nei diversi luoghi delle province materana e potentina, in cui le persone migranti hanno incontrato i cittadini temporanei di Matera, insegnando ciò di cui erano maestre.

«Spesso immaginiamo il migrante come persona da riempire di documenti, contenuti, linguaggi», evidenzia Plati, «Ma questa persona arriva qui, con il suo carico di problemi, e sappiamo dirgli solo cosa gli manca? Attraversa il deserto, il mare e gli offriamo il corso di informatica? Non abbiamo niente da imparare?»

Premiato da Ashoka tra gli otto progetti innovativi in Italia sulla migrazione, la “Silent Academy” ha reso visibile un approccio che punta sull’autodeterminazione e il potenziamento delle proprie capacità. «Ci siamo accorti che era necessario non fermarsi, accompagnare quando possibile all’autoimprenditorialità», ricorda Vigoriti.

È la storia di Mohammad, scappato dalla Siria con la propria famiglia nel 2010 e arrivato a Matera nel 2017. «Da bambino andavo con il mio bisnonno nella nostra fabbrica di profumi, in Libano», racconta. «Le essenze sono agrumate, fiorate, legnose e si abbinano a seconda della personalità. Il mio naso ha imparato a distinguere più di 150 tipi di profumi. Quando sono arrivato in Italia ho fatto il cameriere, il lavapiatti, il magazziniere, ma volevo tornare al mio lavoro, al lavoro che in famiglia facciamo da generazioni». A febbraio, ha aperto a Matera il suo negozio, per creare profumi personalizzati in tempo reale: Il Sicomoro mi ha aiutato a imparare l’italiano e a fare le pratiche per aprire l’attività, da quelle con il commercialista fino al finanziamento. Ora vorrei aprire un altro negozio nel Nord Italia, per diffondere la cultura dei profumi arabi di qualità».

Said Elshazly, 23 anni, è in Italia dal 2012. Aveva tredici anni e mezzo quando è arrivato a Mazara del Vallo, in Sicilia, ed è stato trasferito nella comunità di S.Chirico Raparo. La sua famiglia, a Rosetta, nel nord dell’Egitto, viveva di pesca in alto mare. «Ero partito per andare a pescare e son finito qui», racconta, «Era tutto diverso, piangevo sempre. Ho fatto la terza media a S.Chirico, poi mi sono spostato a Matera, ho frequentato l’alberghiero, e una ragazza mi ha proposto per l’affidamento nella sua famiglia, fino ai 18 anni. Ora ho due famiglie, si sono conosciute», sorride. «Mentre andavo a scuola, sono stato inserito al bistrot PaneCotto nel Sasso Caveoso: non avrei mai pensato di fare il cuoco, ma in comunità aiutavo in cucina, mi piaceva abbinare i sapori insieme, vincevo le gare a scuola e mi sono incoraggiato». Nel bistrot gestito dalla cooperativa MEST, Said ha iniziato da tirocinante fino a diventare gestore. «Un percorso bellissimo. Ma avevo voglia di approfondire la cucina etnica, che mi permette di tenere insieme la mia identità di italo-egiziano».

La cooperativa è quindi diventata socia del nuovo locale di Said: «Hanno davvero voluto investire su di me, sul mio sogno. Vorrei consolidare l’attività e poi magari aprire qualcosa anche in Egitto. Sto aspettando la cittadinanza italiana, che mi permetterebbe di lavorare più serenamente. Un anno che passi fuori diventa tanti anni: mi sento cresciuto prima del dovuto, ma a 23 anni non mi pento. La Basilicata mi ha reso quello che sono, ho trovato tante persone che mi hanno dato una mano, in altre regioni è più difficile. Qui la gente ti conosce».

È più facile vedere, essere visti, camminare insieme.

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