Welfare

Il Centro diurno per anziani? Trasloca su Zoom

di Ciro Intino

Il progetto “Il Centro a Casa” realizzato dall’Associazione Alberto Sordi insieme a Fondazione Mondo Digitale e Università Campus Bio-Medico di Roma ha formato un gruppo di anziani tra i 75 e i 95 anni all’uso di internet, tablet e smartphone. I docenti? Giovani universitari volontari. Il progetto è partito nelle settimane del lockdown e sta continuando con successo. Storia di un Centro Diurno che ha saputo cambiare prospettiva

Dall’inizio della pandemia da Covid-19 distanza sociale e solitudine stanno ridisegnando i rapporti tra le persone. Ai tratti somatici travisati dalle mascherine e alla distanza interpersonale per strada, tra i tavoli e sui mezzi pubblici si sono aggiunti la separazione dei nuclei familiari e il sostanziale isolamento delle persone anziane sole. Vedove e vedovi, persone che nonostante gli acciacchi dell’età riescono a provvedere a se stesse, hanno sperimentato quest’anno una nuova dimensione, privati come sono di quella parte di autonomia spesso vitale per continuare ad invecchiare bene. Molti di loro frequentano i centri anziani di quartiere, chiusi per decreto da mesi. La sospensione di questi spazi per motivi sanitari ha segnato, mesi fa, la fine di un modello di aggregazione di successo, spesso sostitutivo di affetti familiari lontani o poco disponibili alla condivisione di spazi e tempi comuni.

L’esperienza del Centro Diurno per Anziani Fragili Alberto Sordi è riuscita a spezzare la catena della solitudine degli anziani di Trigoria e a offrire una prospettiva nuova grazie a un radicale cambio di prospettiva. Dopo la chiusura a causa del lockdown di primavera, gli operatori del Centro Diurno per Anziani Fragili e il personale dell’Associazione e della Fondazione Alberto Sordi si sono chiesti cosa potessero fare per i loro ospiti, anziani dai 75 ai 95 anni d’età. E hanno immaginato una “versione virtuale” del centro diurno. L’ostacolo più grande era però quello di avvicinare il maggior numero di ospiti alle nuove tecnologie. Ecco dunque il coinvolgimento dei volontari dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dei formatori della Fondazione Mondo Digitale che da sempre opera per abbattere le barriere erette dal digital divide.

Connettere gli anziani tra loro, costruire un ponte tra i vari ospiti del centro, aiutarli a considerare la tecnologia un’opportunità e non un limite e insegnargli concretamente come si maneggia uno smartphone o un tablet per connettersi in una video chiamata tramite Whatsapp, Skype o Zoom sono state le fasi salienti di questo processo che, nei mesi scorsi, ha portato gli utenti del centro a trasformare i loro classici incontri di persone in riunioni online. Chi ha aderito al progetto “Il Centro a casa” ha scoperto un modo nuovo di socializzare, seppur a distanza, conservando alcune buone abitudini indispensabili per mantenere il giusto livello di benessere fisico e psichico.

Nelle “stanze virtuali” animate da telefonini, tablet e pc gli anziani ospiti hanno proseguito i loro incontri e superato l’isolamento forzato. Grazie agli operatori di Fondazione Mondo Digitale sono nati momenti di condivisione delle esperienze nei quali far fluire emozioni e dove gli utenti, rimasti nelle proprie case, si sono ritrovati in collegamento con operatori e volontari per leggere i quotidiani, raccontare la propria giornata, i pensieri e le preoccupazioni dalla poltrona più comoda, costruendo insieme un nuovo ambiente di socialità grazie a internet e alle nuove tecnologie.

Il progetto, avviato nelle settimane del lockdown la primavera scorsa, è proseguito per tutta l’estate e andrà avanti anche nei prossimi mesi. Piccoli gruppi di cinque persone si ritrovano circa due volte alla settimana nelle modalità della videoconferenza per non più di un paio di ore (poiché la stanchezza può prendere il sopravvento e l’attenzione cala), coadiuvate dagli studenti volontari dell’ateneo di Trigoria. Il progetto è riuscito a mantenere tra gli ospiti un buon livello di socializzazione e ad abbattere, almeno in parte, la barriera invisibile della solitudine.

All’inizio di questa esperienza pilota gli incontri servivano soprattutto a imparare a restare connessi, a prendere e lasciare la parola agli altri partecipanti. Presto sono diventati veri e propri momenti di aggregazione e sono ritornati i racconti della giornata, della famiglia, la lettura dei giornali e la condivisione di ricordi e vecchie fotografie.

Il valore di questo progetto, nel quale un gruppo di studenti dei corsi di laurea in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana, Scienze Infermieristiche e Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma ha svolto attività di volontariato svolgendo un importante ruolo di cerniera intergenerazionale, è rafforzato da dati significativi sul benessere della persona anziana oggi: in un Paese come l’Italia segnato dall’arretratezza nelle telecomunicazioni, le famiglie composte da soli anziani sono le più in difficoltà. Appena il 34% ha a disposizione un servizio di banda larga nei nuclei composti da ultrasessantacinquenni e solo l'11,9% degli over 75 è grado di usare lo smartphone per navigare sul web (Istat, Cittadini e ICT, 2019). A questo si aggiunge il fatto che oggi in Italia il 27% degli anziani vive in condizioni svantaggiate, con patologie croniche e scarse risorse economiche. Inoltre, come scrive l’Istat nel rapporto annuale 2020, gli anziani svantaggiati non svolgono attività di associazionismo né di volontariato, non utilizzano Internet, non praticano sport o attività fisica e non partecipano ad attività culturali fuori casa (oltre il 95% non frequenta cinema, teatri, musei, mostre o concerti).

Per l’Università Campus Bio-Medico di Roma il significato più importante, oltre a fornire competenze trasversali a chi domani per lavoro si dovrà relazionare con un paziente anziano, è quello di aver portato per la prima volta all’interno dei percorsi universitari uno scambio intergenerazionale in grado di favorire il dialogo tra giovani e anziani, infondere lo spirito di servizio e allontanare per quanto possibile il peso della solitudine. Perché nessuna nuova tecnologia o scoperta scientifica potrà mai sostituire la forza dei rapporti umani.

*Direttore della Fondazione Alberto Sordi

La foto di copertina e le altre foto relative alle attività del centro sono precedenti alla pandemia

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