Migranti

La piazza dei piedi medicati di Trieste

di Daniele Biella

Siamo stati accanto a Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi in Piazza Libertà a Trieste. Loro, insieme ad altri volontari, supportano e curano tutti i giorni i piedi dei migranti che arrivano in città devastati dopo settimane di cammino lungo la Rotta Balcanica. La maggior parte di loro ha subito violenze e respingimenti da parte delle polizie di frontiera

Questa è una storia che ha a che fare con la cura. Delle persone, della cittadinanza, dell’essere umano. Il luogo in cui ci troviamo è la stazione di Trieste, ma potrebbe essere ovunque ci siano persone bisognose d’aiuto e qualcuno che trova tempo ed energie per dare loro una mano. Nel giardino di fronte alla stazione ferroviaria, ovvero Piazza Libertà, ogni giorno dopo le 18 arriva una signora 67enne, Lorena Fornasir, psicologa, e il marito 84enne, Gian Andrea Franchi, storico e filosofo. Al loro fianco, una frequente alternanza di volontari ma soprattutto, nei pressi delle panchine, ogni sera nuove persone che arrivano dalla Rotta Balcanica, la famigerata rotta migratoria che negli ultimi anni viene battuta da migranti forzati in arrivo da Medio Oriente e Africa diretti verso Paesi europei come Germania e Francia. Migranti che camminano a piedi migliaia di chilometri attraversando illegalmente le frontiere, dato che sono inesistenti le vie legali per arrivare in Europa anche per chi volesse chiedere asilo politico.

Cosa fanno Fornasir, Franchi e gli altri volontari dell’associazione Linea d’Ombra (nome che ricalca il titolo del romanzo di Joseph Conrad)? Parlano con i migranti, ma più che ogni altra cosa li medicano. Sì, perché arrivano spesso in condizioni proibitive. Spesso giovani uomini soli, ma non raramente anche donne, bambini e anziani. Tutti stremati dopo settimane di cammino, soste in rifugi di fortuna e, per la maggior parte di loro, più di un respingimento da parte delle polizie di frontiera.

Il problema è che questi respingimenti, pushback, sono violenti, troppe volte. Gli imputati in prima fila sono i tutori dell’ordine croati: al confine della Bosnia si susseguono abusi da diversi anni, documentati di fatto dai migranti – segni di botte sul corpo, cellulari sequestrati o rotti intenzionalmente, addirittura a volte sottrazione di scarpe e vestiti – e da inchieste giornalistiche, senza che le cose migliorino. La società civile si è mossa da subito, e ultimamente è nata anche una rete europea contro i pushback in cui Linea d’Ombra (che accetta di buon grado donazioni di scarpe e vestiario: la nostra presenza è coincisa con l’arrivo di un trolley pieno di indumenti dalla Lombardia) è parte attiva. Ma finora i numerosi appelli al Parlamento Europeo, anche da Parlamentari stessi, sono caduti nel vuoto. “E ultimamente ci viene segnalato che i respingimenti (che a livello istituzionale vengono definite "riammissioni", ndr) avvengono a ogni frontiera, compresa quella tra Italia e Slovenia”, ci spiega Franchi mentre la moglie è intenta a medicare i piedi di un giovane nordafricano. L’Italia che respinge senza dare l’opportunità di chiedere asilo? Il ministro Lamorgese in vista proprio a Trieste a inizio settembre 2020 ha detto che non deve accadere, ma i racconti dei migranti raccolti da Linea d’Ombra rivelano tale pratica. E la serata che Vita.it passa in piazza sembra confermarlo: “sono giorni strani, perché normalmente gli arrivi sono di almeno 50 persone al giorno, ma ultimamente non superano le 20-30”, aggiunge Franchi, “la preoccupazione che vengano respinti è molto alta”. A tutti i nuovi arrivi Linea d’Ombra distribuisce un volantino con le prime informazioni essenziali.

A dare una mano a Linea d’Ombra il giorno che arriviamo c’è anche Gennaro Giudetti, 29 anni di cui 10 passati nel mondo come volontario in contesti difficili (Colombia, Territori Palestinesi, campi profughi del Libano al confine con la Siria, e ultimamente impiegato in Congo, Yemen ma anche Codogno e Lodi come logista per Msf, Medici senza frontiere: la sua vita è oggetto di un docufilm appena uscito nelle sale, “La febbre di Gennaro”). Più stabilmente ci sono le persone come Gordana Omanovic e Marianna Buttignoni che preparano i pasti, le dottoresse Erika Bribò e Alessia Albano dell’associazione Strada SiCura, e gli operatori di Ics, Consorzio italiano di solidarietà, storico ente non profit attivo nei Balcani fin dalle guerre degli anni ’90 e che a Trieste verifica chi tra i presenti può chiedere subito asilo politico per poi trovare adeguate strutture di accoglienza. Tra i loro accolti ci sono persone che poi tornano in piazza ad aiutare, e questo testimonia più di ogni altra cosa l’importanza dell’aiuto che stanno fornendo i volontari.

È il caso di Umar Adnan, che ha una storia personale più che sconvolgente: “poco più che maggiorenne, in fuga dal Pakistan, ha trovato sulla sua migrazione la violenza della polizia croata, di cui porta ancora i segni sulle gambe”. Segni che Umar ci fa subito vedere: nonostante le gambe siano state curata e sia passato un anno e mezzo da quel momento e ora cerca di ricominciare a vivere a Trieste, la ferita psicologica è ancora aperta e probabilmente lo sarà per sempre. “Sono ancora molto arrabbiato con chi mi ha fatto questo. Ero da solo, volevano a tutti i costi obbligarmi a dire che ero un passeur (la persona che organizza il passaggio illegale di migranti alle frontiere, ndr), per questo si sono accaniti così tanto su di me”, ci spiega con la traduzione del connazionale Raheem Ullah, che a Trieste lavora come ricercatore biologo e quando ha tempo a disposizione si offre come mediatore volontario per Linea d’Ombra. Fornasir aveva promosso la petizione online su Change.org “Torture ai confini d’Europa” per chiedere alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo di condannare le violenze della polizia croata, ma nonostante le quasi 70mila firme raccolte nulla è cambiato.

Di fatto risolviamo situazioni mediche e di monitoraggio che altrimenti dovrebbero affrontare le istituzioni. Siamo ritenuti funzionali”

Lorena Fornasir

Fornasir e Franchi hanno all’attivo anche più di una decina di viaggi umanitari proprio al confine tra Bosnia e Croazia, ma dallo scoppio della pandemia non sono più tornati. La situazione in quella frontiera è addirittura peggiorata, con attacchi personali a chi fa volontariato da parte di altri cittadini, sulla falsariga di quello che sta accadendo sulle isole greche: senza adeguate soluzioni istituzionali il tema dell’aiuto ai migranti forzati diventa una sorta di “guerra tra ultimi” in cui esasperazione da una parte e propaganda politica anti-accoglienza dall’altra portano ad atti violenti fino a poco tempo fa impensabili. A Trieste la situazione dal punto di vista della sicurezza è nettamente migliore, a parte il fatto che attualmente i migranti di passaggio non trovano alloggio in strutture ma in un silos abbandonato non lontano dalla stazione, e con l’arrivo dei mesi invernali le condizioni non possono che peggiorare. Nonostante i volontari di Linea d’Ombra non siano ben visti da una parte della politica locale, vengono lasciati operare: “di fatto risolviamo situazioni mediche e di monitoraggio che altrimenti dovrebbero affrontare le istituzioni. Siamo ritenuti funzionali”, sottolinea Fornasir, determinata quanto pacata in ogni sua azione. Il resto della popolazione triestina? “C’è chi anche se non viene in piazza ci appoggia, c’è poi chi è indifferente. Poche sono le persone apertamente ostili”.

La nostra è una forma di resistenza che è anche un modo per dare concretezza all’esistenza"

Gian Andrea Franchi

Le ombre della sera, nel frattempo, si allungano nella piazza. Finite le medicazioni e i dialoghi con chi è nelle condizioni di farlo – i volontari si affidano ai racconti spontanei dei migranti, non chiedono per primi le loro storie personali, al massimo la loro provenienza e le tappe del tragitto che hanno affrontato – i due coniugi (che avrebbero tutti i requisiti per una candidatura al Premio Nobel per la Pace) si avviano verso casa. “Ogni notte è devastante lasciare queste persone al loro destino. Quando volto loro le spalle mi assale la tristezza”, sussurra la donna con le energie residue della giornata. “La nostra è una forma di resistenza che è anche un modo per dare concretezza all’esistenza: queste persone hanno il diritto di chiedere condizioni migliori per la loro vita, è assurdo che invece trovino anche ostacoli e violenze nel loro cammino”, conclude l’84enne Franchi, il cui spirito di lotta contro le ingiustizie è più fresco che mai.

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