Inventarsi un lavoro

La giocattolaia di Catania

di Sabina Pignataro

Chi incrocia Claudia Barone per le strade della città mentre corre da una libreria, ad una ludoteca, passando per una scuola, ne resta ammaliato e sorpreso perché, nello zaino di 30 chili che porta sulle spalle nasconde martelli, trapani a manovella, seghetti, chiodi, lime, carta vetrata, colori e albi illustrati: «Ai miei laboratori partecipano anche le bambine e i bambini con disabilità. Ma non tengo mai corsi esclusivi»

Un po’ Geppetto, un po’ Mary Poppins, un po’ assistente sociale. Claudia Barone di lavoro fa la giocattolaia e tiene incontri e laboratori di falegnameria per bambini e per adulti.

Chi la incrocia per le strade di Catania, mentre corre da una libreria, ad una ludoteca, passando per una scuola, ne resta ammaliato e sorpreso perché, nello zaino di 30 kg che porta sulle spalle, nasconde martelli, trapani a manovella, seghetti, chiodi, lime, carta vetrata, colori e albi illustrati. «Quando incontro i bambini per i miei laboratori – racconta- metto tutti questi strumenti a loro disposizione e lascio che sviluppino la loro fantasia. Amo osservarli mentre manipolano questi oggetti, che per loro sono inconsueti, e danno vita a marchingegni di ogni tipo, seguendo semplicemente la loro innata capacità di ideare cose a partire quasi dal niente, dagli scarti di legno, di forme, di colori».

Certe volte, la giocattolaia di Catania si scontra con le ansie e la preoccupazione di quei genitori o insegnanti poco abituati a pensare al bambino come ad un individuo competente. «Io invece credo che i bambini non siano né stupidi né incapaci. Ma siano solo un po’ bassini». Per questo la Giocattolaia di Catania ha coniato per loro il sostantivo “FaleGNOMI”.

«Ai miei laboratori partecipano anche le bambine e i bambini con disabilità. Ma non tengo mai corsi esclusivi. Sono convinta, vivendo in una terra che è stata da sempre aperta e accogliente, che i confini non facciano (quasi) mai bene». Certo, confessa, «davanti ai bambini che hanno delle difficoltà o delle disabilità più marcate, l’ansia dell’adulto si fa più presente e pressante, ma è una sfida che accetto volentieri: sono convinta che ognuno abbia il diritto ed il dovere di sperimentare e crescere. Ciascuno sulla base della propria capacità, delle proprie inclinazioni, del proprio corpo e del proprio desiderio».

È nell’ambito dello spettro autistico che Claudia trova i muri più alti. «Ma anche le soddisfazioni sono più intense. Come quella volta che ad un laboratorio in libreria ha partecipato un bambino – avrà avuto 5 anni- che continuava a guardare il tavolo pieno di ritagli di legno, a prenderli e a metterli già a grande velocità. Stava cercando di costruire qualcosa, ma faticava a rimanere concentrato. Nessuno mi aveva indicato di dargli un’attenzione diversa, quindi io mi limitavo ad osservarlo. Poi, ad un certo punto, mentre l’incontro stava volgendo al termine, e gli altri stavano ultimando i loro prototipi, questo bimbo scoprì il trapano a manovella e si accorse che usandolo al contrario, con la punta all’insù, gli oggetti potevano girare. Felice di questa scoperta si costruì un elicottero!».

Ecco, commenta Claudia con un po’ di emozione, «La mia esperienza con la disabilità è questa: ognuno ha i suoi strumenti e i suoi tempi. Sono convita che lavorare in gruppi in cui ci siano tutti possa essere un fertilizzante per le menti di tutti. Compresa la mia. Perché io mi ostino a spiegare che il trapano si usa con la punta in giù, e quel pomeriggio, per l’ennesima volta, ho imparato che ci sono modi diversi. Che quello che per me ha un significato, per qualcun altro può averne uno completamente diverso. Ed è incantevole così. Senza voler cadere nella retorica buonista del “la disabilità è un dono”, perché non credo che sempre lo sia, mi sembra necessario e doveroso agire assecondando i desideri, canalizzando le energie, scambiando pensieri e scoperte».

Benché abbia solo 36 anni, Claudia ha alle spalle una robusta formazione, che si è arricchita negli anni di tanti percorsi eterogenei. «Mi sono sempre concessa la gioia di seguire le mie passioni», racconta. «Dopo la maturità artistica ho scelto la facoltà di scienze politiche, laureandomi e abilitandomi al servizio sociale». All’abilitazione ha fatto seguito un master in programmazione di politiche sociali e un corso annuale in zooantropologia assistenziale a Napoli: una sorta di “pet therapy” in cui un animale sociale, educato al contatto e agli stimoli diversi – come urla improvvise, movimenti non coordinati- si fa mediatore nel rapporto tra l’operatore e l’utente al fine di raggiungere gli obiettivi definiti dall’equipe. «In questa situazione il giudizio viene meno, il polo d’attenzione non è più sul bambino, e l’apprendimento e il gioco si fanno più liberi e costruttivi», spiega.

Per tanto tempo Claudia ha pensato di voler fare un mestiere utile. Ha tenuto corsi di italiano L2 per migranti e stranieri, all’Arci di Catania, e a Perugia ha conseguito anche la certificazione per diventare esaminatrice. «Purtroppo, però, come capita alla stragrande maggioranza di chi al sud si occupa di sociale, questi progetti – benché meravigliosi e importanti- pagavano nulla o molto poco». Da lì, l’idea di dedicarsi alla falegnameria, una tradizione di famiglia. «I giocattoli li avevo sempre costruiti, li fabbricavo insieme a mio padre (insegnante di scultura) nella mansarda di casa nostra. Ricordo che a cinque anni avevo già progettato una famiglia di gnomi dal cappello a punta».

Oggi quella mansarda è diventata il suo laboratorio, dove costruisce balene a manovella, ippopotami a rotelle, acrobati che camminano sul filo, giostre e case per bambole.

I suoi progetti però l’hanno spinta anche al di fuori della sua Sicilia. Nel 2015, quando si trovava a Tena, nella selva ecuadoregna, per scrivere la tesi di antropologia sul modello educativo di quella comunità, è riuscita ad avviare – tramite un crowdfunding, un laboratorio di falegnameria finalizzato alla costruzione di giocattoli con il legno recuperato dai disboscamenti illegali. La voce di questo laboratorio è arrivata anche alla vicina università regionale amazzonica di Ikiam che le ha proposto la cattedra in “Inventos”. «Meccanica, pedagogia, sociologia, psicologia si sarebbero fuse nell’osservazione del gioco dei bambini e nella costruzione di prototipi». Poi le cose sono andate diversamente e, tornata in Italia, Claudia ha iniziato a proporre i suoi laboratori a Catania, Ragusa e Siracusa. Per i bambini, ma anche per gli adulti. «Durante gli incontri succede che ci si spogli di tante sovrastrutture e maschere».

Instancabile, oggi si muove su e giù per l’Italia: «A Marzo sarò a Bergamo», dice. «Oltre all’insegnamento, ho in pista anche dei progetti con le aziende di giocattoli, un modulo scenografia alla Scuola di Cinema d’animazione per bambini e ragazzi di Nicolosi (Catania) – la prima in Italia – ; e poi spettacoli teatrali con i miei legni protagonisti, come "Pinocchio smarrito" al Teatro Coppola (sempre a Catania) e una pubblicazione in arrivo».

C’è ancora chi, incontrandola, le chiede: «Sì, belli i giocattoli. Ma qual è il tuo lavoro?». «Ecco – risponde la Giocattolaia di Catania- la falegnameria rappresenta per me un pass per conoscere storie, per continuare a giocare, per imparare sempre. E poi io credo che ognuno di noi abbia una lucina, e quella lucina vada seguita per mari e per monti».

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