Una piuma avvolta da un filo spinato su uno sfondo blu. Accanto alla tomba di Segen, il migrante eritreo di appena trenta chili, morto esattamente un anno fa il giorno dopo il suo sbarco al porto di Pozzallo, è apparso un disegno. Una piccola tela ora appena spostata dal vento di marzo con cui qualcuno – il disegno non è firmato – ha deciso di rendere omaggio al migrante poeta che con i suoi versi ha raccontato le sofferenze dell’inferno libico.
«Sarà stato forse l’amico che è andato a trovarlo in ospedale poche ore prima di morire, un conoscente, un mediatore culturale, un artista del luogo o semplicemente un lettore delle sue poesie, non possiamo saperlo, ma chiunque sia stato ha amato Segen e ha interpretato al meglio le sue poesie», spiega Padre Gianni Treglia, sacerdote missionario che proprio qui tra le zolle del cimitero di Modica l’anno scorso ha celebrato il funerale del ragazzo facendo scrivere su una croce il vero nome di Segen, Tesfalidet Tesfom.
A guardare quel disegno, con quella piuma che non riesce a prendere il volo, sembra di leggere i versi che furono ritrovati dagli operatori dell’hotspot di Pozzallo nel suo portafogli e pubblicati da Vita.
Il filo spinato è quello dei campi di detenzione in Libia, Bani-Walid, dove Tesfalidet fu rinchiuso per mesi al pari di tanti altri migranti, il lager da dove uscì malnutrito e con uno stato avanzato di tubercolosi che lo portò alla morte una volta sbarcato in Italia e dopo essere stato salvato dai soccorritori della Ong Open Arms. La prigione a cielo aperto simile a quelle in cui sono rinchiusi i migranti prima della partenza e dopo i “soccorsi” della guardia costiera libica, finanziata dall’Italia e dall’Europa.
In quella piuma legata e imprigionata dalle spine con lo sfondo blu c’è il grido di dolore di Segen cantato nei suoi versi: «Dimmi, non sono forse tuo fratello? Perché non chiedi notizie di me? Ti prego aiutami».
Don Mussie Zerai, il prete eritreo già candidato al Nobel per la pace è andato a pregare sulla tomba di Tesfalidet: «Quando ho visto quel disegno ho pensato alla sofferenza nell’animo di Tesfalidet per tutto quello che ha patito e anche alla sofferenza di chi lo ha accolto ridotto pelle e ossa, quindi il senso di impotenza di fronte a tanto cinismo di chi è al potere. La piuma come segno della vena poetica del ragazzo, a cui è stato impedito di vivere, quindi di raccontare, realizzare il suo sogno, i muri e fili spinati visibili e invisibili che ha incontrato nel suo cammino alla ricerca di libertà e di un futuro dignitoso», commenta Don Mussie.
Oggi al cimitero di Modica preghiamo per Segen, accompagnati da una comunità che non ha mai dimenticato quel volto scavato, le braccia magre, le gambe che non riuscivano a sorreggersi, il filo di voce con cui Segen diceva ai medici: «Libia, Libia».
…i muri e fili spinati visibili e invisibili che ha incontrato nel suo cammino alla ricerca di libertà e di un futuro dignitoso
Don Mussie Zerai
Con alcuni volontari della Caritas di Noto e Don Corrado Bonfanti, anche lui sacerdote missionario che insieme a padre Gianni Treglia vive nel santuario Madonna delle Grazie di Modica, abbiamo portato dei fiori: dei crisantemi gialli e un iris viola simile ai tanti che svettano alti in primavera nelle campagne tra i muri a secco del Ragusano.
«Il nostro fratello Tesfalidet vive nella misericordia di Dio, oggi preghiamo per ricordare a noi stessi di essere misericordiosi perché il significato della sua morte possa guidarci nelle nostre azioni», dice Don Vittorio che sta già pensando a come incidere quel disegno con le due poesie di Segen sulla tomba del ragazzo.
Tesfalidet non è il solo migrante a essere sepolto nel cimitero di Modica. Non è il solo a essere morto dopo lo sbarco. Vivien, Stephen, Nadage, Oseghale, anche loro come Segen sono morti dopo essere arrivati in Italia, chi dopo il parto, chi suicida, chi in circostanze poco chiare.
Le lapidi dei migranti al cimitero di Modica vicine a quella di Segen
Quella piuma sulla tomba di Segen è stata disegnata anche per loro, per i morti nel Mediterraneo e per i vivi ora detenuti in quelle prigioni documentate dalle più autorevoli associazioni umanitarie internazionali e che il mondo politico impegnato ad innalzare muri e chiudere i porti si rifiuta di vedere.
«In quella tomba è sepolta una parte della nostra umanità, perché non ha saputo proteggerlo, prevenire tutte quelle sofferenze che lui ha subito a causa del cinismo e opportunismo politico del mondo “civilizzato” »,aggiunge Don Mussie.
Allora per un attimo succede che quella piuma sembra liberarsi dal quel filo spinato che la recinge, affidata, sono le parole di Segen:«Al Tempo che è maestro», che «sa distinguere il bene dal male, chi lo rispetta e chi non gli dà valore». Lontani da un presente pieno di «uomini che non provano pietà o un po’ di pena», gli uomini se così possono definirsi che ha incontrato Segen nel suo cammino
Quella piuma accanto alla sua tomba significa essere fedeli alla voce del poeta, a quel pianto luminoso che Tesfalidet ci ha lasciato in eredità: «Perché nulla è irraggiungibile, sia che si ha tanto o niente, tutto si può risolvere con la fede in Dio//. Ciao, ciao, Vittoria agli oppressi». Firmato: Tesfalidet Tesfom, di Mai Mine.
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