Il sole è già alto e martella i sensi. Davanti a me sentieri di terra rossa battuta, alternata a rocce di granito inaspettate, come fossero cadute dal cielo. Nella pace di questa calda pianura, si scorge improvvisamente un piccolo pendio ricoperto di ciottoli e polvere grigia, crivellato da decine di “buchi” e cosparso di capanne fatiscenti fatte di teli azzurri e pezzi di legno. Di tanto in tanto si percepisce un’esplosione sotterranea accompagnata da voci soffocate, martellamenti continui e rumori assordanti di motori. Sono nella miniera d’oro artigianale di Sougou, nella provincia di Zoundwéogo, in Burkina Faso.
Nel corso della storia, nessun minerale è stato più apprezzato dell’oro. Circa 5mila anni fa, l’uomo ha cominciato ad usarlo nei più svariati ambiti (commerciale, medico, finanziario, ecc) e da allora molte sono le civiltà nate, cresciute e scomparse per quella che viene definita la “corsa all’oro”. L'Africa è il continente dove si concentra la maggior parte delle società minerarie per lo sfruttamento delle risorse auree. Uno dei principali forzieri dell’oro africano è indubbiamente il Burkina Faso, dove questo rappresenta il primo prodotto di esportazione. Fornisce il 20% del suo PIL. L’economia del Paese infatti, dipende in larga misura dal prezzo di questo minerale sul mercato internazionale.
Il Burkina Faso, letteralmente Terra degli uomini Integri , come ha voluto ribattezzarlo il suo ex presidente Thomas Sankara, è uno dei paesi più poveri al mondo, dove si muore ancora di fame, di sete e di malaria. Dove l'AIDS ha contagiato più del 20% della popolazione, l'infibulazione è praticata tacitamente e la corruzione governativa è fiorente.
Un Paese in cui il sogno panafricano di Sankara è stato strozzato dalle multinazionali e dalla corruzione governativa. Dove si dispone non solo delle ricchezze del continente, ma anche e soprattutto della vita degli africani, violando ogni giorno la dignità, il rispetto e la bellezza di uomini, donne e bambini. Come riportato dalla Federazione Mondiale dei Diritti dell’Uomo, l’estrazione dell’oro, rappresenta per il Burkina Faso, una delle principali attività economiche, a discapito dell’agricoltura, di cui ancora vive la maggior parte della popolazione locale. Proprio quest'ultima ha risentito maggiormente della “corsa all’oro” le cui disastrose conseguenze si riscontrano a livello ambientale e umano. In Burkina Faso il settore minerario potrebbe essere un’enorme risorsa per sollevare l’economia del Paese. Tant’é che molti vedono il lavoro in miniera come la migliore alternativa ai campi. In realtà però il mercato dell'oro è decisamente mal gestito. Da un lato ci sono le multinazionali che ottenuta la gestione delle miniere, si sentono libere di agire e decidere i programmi da attuare, noncuranti delle comunità locali, spesso costrette a dislocare per far posto a nuove miniere. Inoltre l’esenzione di queste multinazionali dal pagamento delle imposte, e il fatto che la maggior parte dell’oro estratto sia destinato all’esportazione, frenano la crescita economica del Paese. Dall’altro lato è lo stesso governo ad aggravare il tutto. Questo infatti, venendo meno all’istituzionalizzazione di procedure legali, per evitare la distruzione ambientale, incentivare la crescita economica e soprattutto tutelare i diritti umani dei lavoratori, alimenta il fenomeno delle miniere artigianali illegali (circa un migliaio che danno lavoro a quasi un milione di persone), gestite dai clan locali.
Nella miniera di Sougou, centinaia di corpi nascosti dalla polvere si affannano attorno ai buchi disseminati nel terreno. Sono dei tunnel verticali strettissimi con una profondità media di 80 metri. Se non sei fortunato però, da trovare la vena aurea, possono tranquillamente superare i 150 metri. Raggiunta la falda aurifera, si continua a scavare orizzontalmente. Le rocce vengono frantumate con picconi e dinamite. E con notevoli rischi per le persone che vi lavorano. La possibilità che il terreno ceda e che i lavoratori rimangano intrappolati è infatti altissima, anche perché spesso si scava nell’acqua freatica, soprattutto nel periodo delle piogge. Durante questa stagione, che va da luglio a settembre, per misure di sicurezza, l’attività mineraria andrebbe sospesa. Purtroppo però, questa interdizione viene ignorata. Il turno di lavoro di un minatore, va dalle otto alle dieci ore consecutive. Ore di totale buio, parzialmente illuminato da torce elettriche, tenute salde attorno alla fronte, da fasce elastiche. Lunghe interminabili ore, in cui si gioca d’azzardo con la morte, in cui l’aria è irrespirabile e il caldo insostenibile. I minatori che restano in superficie, cercano di fronteggiare l’alta temperatura, che a determinate profondità può raggiungere anche i 50 gradi, sventolando aria con sacchi di juta in coni rudimentali di plastica calati nei “buchi”. I più fortunati possono permettersi un ventilatore alimentato ad energia solare.
La febbre dell’oro non risparmia neppure le donne e i bambini. L’Unicef ha reso noto che in Burkina Faso, lavorano nel settore minerario, tra il mezzo milione e i 700.000 adolescenti o pre-adolescenti. Questi, assieme alle donne, generalmente sono impiegati per trasportare e spaccare le pietre portate in superficie. Ciò non esclude che anche loro possano calarsi nel “buco”. Scendere o meno nei cunicoli non è una questione di età, bensì di coraggio e corporatura. Una volta che le pietre sono state totalmente frantumate, vengono macinate e ridotte in sabbia aurifera con appositi macchinari. Rumori assordanti di generatori e motori la fanno da padrone, assieme alla polvere che ricopre corpi striscianti sfatti dalla stanchezza.
Alla roccia polverizzata viene infine aggiunta acqua e sostanze nocive, come il mercurio, così da formare un amalgama con l’oro, chiamata semplicemente “pasta”. Parte del mercurio usato viene recuperato per distillazione, riscaldando l’amalgama. I fumi altamente tossici prodotti durante questa operazione vengono regolarmente respirati e contaminano inevitabilmente anche acqua e terreni. Il lavoro nelle miniere d’oro uccide, dentro e fuori dai “buchi”. Morti imminenti o a lungo termine. Ogni giorno si rischia di rimanere vittima di crolli o incidenti con strumenti di lavoro rudimentali. Senza contare i danni a lungo termine sulla salute a causa dei carichi trasportati, dei fumi e della polvere respirati, dell’avvelenamento da cianuro che attacca il sistema nervoso centrale, causando disabilità permanente.
Nonostante ciò, con i prezzi dell’oro altissimi e la sua altrettanta richiesta, molti continuano ad essere abbagliati da questo minerale. Seppure per le loro vite non è poi così brillante. Ma quanto costa realmente l’oro? Per i minatori a volte solo un pasto. Trovare il minerale non è semplice, a volte si scava per mesi. Durante questo periodo l’investitore garantisce ai minatori solamente del cibo. Verranno pagati solo quando porteranno in superficie rocce aurifere. All’investitore spetta il 20% della produzione mineraria e, nel caso di terreni privati, ai proprietari dei terreni è dovuta una quota variabile tra l’1% e il 10%. Il profitto restante viene diviso tra il capo villaggio e i minatori. Questi ultimi, fino alla fine del processo, non sanno se le loro pietre contengono oro, né in che quantità. Potrebbero quindi scavare per mesi senza percepire alcun reddito, con la sola garanzia di un vitto. Un grammo d’oro viene venduto a privati della capitale Ouagadougou, a 10,000 franco CFA (circa 15,00 euro). In alcuni casi il guadagno è davvero sostanzioso e sono proprio le storie dei minatori che hanno ottenuto un buon profitto ad alimentare le speranze dei disperati.
Come quella di Tapsoba, un ragazzo di 26 anni, che lavora nella miniera da due mesi. «Sono stato fortunato», racconta, «perché a solo 25 metri ho trovato l’oro, per un valore di 300,000 franco CFA, il padrone ha preso la sua parte e il resto è stato diviso per due». Tapsoba ha un sogno: aprire una falegnameria tutta sua. Solo per questo continua a scavare. Attualmente ha raggiunto i 50 metri di profondità, ma non si arrende. «Sono certo che troverò altro oro» aggiunge, «la vita da minatore per me finirà presto».
Ma questi “fortunati” non sono poi molti. «Ho lavorato diversi anni in Costa d’Avorio» racconta Kabakoti, minatore di 37 anni, «ma con la guerra civile nel 2006 sono dovuto scappare. Arrivato in Burkina Faso, a Tiebelè ho sentito parlare di questa miniera e ci ho voluto provare. Sono due mesi che scavo, ho raggiunto i 38 metri di profondità, ma dell’oro ancora nulla». Sospira e poi aggiunge «Prego Allah ogni giorno, prima di entrare nel “buco”, affinché i miei sforzi siano ricompensati».
C’è poi chi, come Ibrahim, chiama la propria famiglia prima di calarsi. Lui è un minatore di 30 anni, marito e padre di due figli. «Se sono qui è solo per la mia famiglia, per dare loro una piccola casa» racconta con gli occhi bassi. «Ho guadagnato un pò, ma non è ancora abbastanza. Certo è, che in miniera ho la possibilità di guadagnare di più che nei campi». La sua voce debole si arresta, poi alza lo sguardo e con gli occhi lucidi e arrossati continua «credo di essere un buon padre, penso solo ai miei figli, quando sono giù in quel buio pesto mi sembra quasi di vederli. Li chiamo sempre prima di scendere, ho paura che potrebbe essere l’ultima volta. Raccomando loro di obbedire alla madre e di aiutarla nei lavori. Faccio lo stesso ogni volta che risalgo vivo».
Il lavoro nella miniera di Sougou non è altro che la drammatica storia della moderna schiavitù. Un luogo fatto di desolazione, di diritti umani violati, dove “si scava il futuro” senza avere futuro, ma con la speranza di di tornare alla luce con la fortuna tra le mani.
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