“Our father who art in heaven”. Sulla superstrada SS385, qui meglio conosciuta come la Catania-Gela, il padre nostro è recitato in lingua inglese da un gruppo di ragazze nigeriane che su quella strada lavorano tutti i giorni dalle prime luci del mattino fino all’imbrunire. A pregare con loro, avvolte in un saio grigio-azzurro e dal velo bianco, con le mani rivolte al cielo e a piedi scalzi, c’è Suor Chiara con Suor Bernarda e Suor Marta, le tre Sorelle minori del Cuore Immacolato che secondo la regola di San Francesco d’Assisi vivono in estrema povertà in un piccolo convento a Caltagirone. Senza un soldo in tasca, con un cellulare vecchio che viene acceso soltanto un’ora al mattino e soprattutto senza luce elettrica. «Se abbiamo bisogno di qualcosa per le nostre figlie, ci rivolgiamo direttamente al Signore e lui provvede», spiega Suor Chiara che precisa: «Tra quelle ragazze non c’è una sola prostituta».
L’esperienza delle tre sorelle con le donne nigeriane vittime di tratta inizia in un viaggio di ritorno in autobus da Palermo a Caltagirone. Suor Marta si accorge di quelle ragazze che potrebbero essere sue coetanee e dice a Suor Chiara che bisogna fare qualcosa. Fino a quel momento sono le figlie di nessuno. Mai una visita da parte di un’organizzazione internazionale o di qualche associazione di volontariato. Fino a quando arriva Suor Chiara: «Mi preoccupo solo di ciò che posso fare io, anche se rimango soltanto una serva inutile nelle mani di Dio».
Da luglio del 2017, pochi mesi dopo il loro arrivo nel Calatino, le tre sorelle comunicano al vescovo di Caltagirone monsignor Calogero Peri il desiderio di andare sulla Catania-Gela per assistere le prostitute. Il vescovo francescano benedice la missione e così, con un auto presa in prestito dalla Caritas o con l’aiuto di qualche volontario, le tre sorelle , settimanalmente, lasciano il convento per raggiungere quella strada dove al mattino c’è sempre un via vai di clienti di ogni estrazione sociale: «Abbiate rispetto e educazione per queste ragazze», manda a dire Suor Chiara mentre organizza al meglio la missione.
Il baule dell’auto “a noleggio” è pieno di brioscine, biscotti, un ottimo caffè caldo preparato proprio da Suor Chiara, magliette per l’intimo, calze, scarpe dal 39 in su, e soprattutto giubbotti con cui le tre sorelle vestono le loro ragazze durante le ore di lavoro. «Non portiamo soltanto i perizomi, ma solo perché le ragazze quando ci vedono un po’ si vergognano, hanno senso del pudore e una grande dignità. In più quando ci incontrano, forse perché ci vedono scalze, sono loro a chiederci se abbiamo bisogno di qualcosa». Nella superstrada costeggiata dall’oasi del Simeto, tra gli stormi di uccelli che migrano dall’Africa e l’Etna innevato che svetta sopra gli aranci, le tre sorelle scendono dall’auto con in mano quelle buste resistenti dei supermercati colme di beni per le loro “figlie”.
Non appena si vedono corrono per abbracciarsi. È un abbraccio più che mai lungo in questo momento d’incontro. Le figlie di Suor Chiara parlano dei loro problemi, si confidano in disparte, qualcuna di loro piange, mentre Suor Chiara sa già che dovrà tornare al più presto da lei.
Nel viaggio da una postazione a un’altra, “ognuna con la sua storia”, Suor Chiara appare solo per un attimo provata: «Come può sentirsi una madre sapendo che tutte le sue figlie sono sulla strada?». E se le chiedi se il Papa è a conoscenza della sua iniziativa, lei risponde: «Macché, io sono solo l’ultima ruota del carro».
Tra un abbraccio, una confidenza e una preghiera Suor Chiara chiede alle sue figlie di fare almeno il test dell’Hiv e dell’epatite. È lei stessa a portarle in ospedale, così come ogni tanto fa in convento.
A pochi chilometri da Caltagirone, a Ramacca, nella comunità per minori migranti Etty Hillesum, non lontani dal Cara di Mineo, il centro per richiedenti asilo più grande di Europa che ospita oltre due mila migranti, incontriamo Suor Gea.
Le figlie di suor Chiara arrivano in autobus da Catania tutte le mattine proprio a Ramacca, allo svincolo dell’autostrada tra le proprietà di aranceti e un via vai di passanti che ti chiede subito: «Chi è lei e cosa ci fa qui». Le ragazze disposte in fila ordinata scendono dalla rampa dell’autostrada in cerca di un passaggio verso il luogo di lavoro sulla Catania-Gela.
Suor Gea, insieme con Suor Janet e Suor Graziella fanno parte del progetto Migranti dell’Uisg, l’Unione internazionale superiore generali, che per volere di Papa Francesco e su invito del Cardinale Franco Montenegro e con il sostegno del vescovo di Caltagirone, hanno trovato “altri luoghi” per aiutare i migranti che sbarcano in Sicilia. Al progetto aderiscono una decina di suore di varie congregazioni e nazionalità, sparse tra Caltagirone, Agrigento e Caltanissetta dove opera Suor Francesca impegnata sotto un ponte dell’autostrada a curare le ferite di più di quaranta migranti che lì vivono accampati.
Suor Gea, Suor Janet, Suor Graziella, la suora che organizza escursioni con i migranti in bicicletta, e fino a poco tempo fa Suor Gabriella ora a Parma, stazionavano tutti i mercoledì pomeriggio con un furgone davanti all’ingresso del Cara di Mineo. Qui, sorvegliati dai militari dell’esercito italiano dell’operazione Strade Sicure e dalle forze dell’ordine, hanno allestito per diversi mesi la loro scuola itinerante, con un bel gruppetto di migranti del Bangladesh che nei loro quadernoni hanno cominciato a prendere appunti d’italiano e d’inglese.
Da un paio di mesi, le suore sono state autorizzate per accedere nella struttura e le lezioni ora si svolgono all’interno. Suor Gea e Suor Chiara s’incontrano al Cara tutte le settimane per aiutare i migranti nelle attività di doposcuola e assistendo il vescovo durante i battesimi.
«Abbiamo preso alla lettera quello che ha detto il Papa, usciamo dai nostri conventi e andiamo in periferia», spiega Suor Gea che dall’India, dopo 18 anni in Africa tra il Camerun e il Ciad, continua la sua missione a fianco dei più deboli.
Sulla Catania-Gela, nel frattempo, le figlie di Suor Chiara hanno acceso un focolare per riscaldarsi. Non appena hanno visto Suor Chiara si sono coperte la vita con i giubbotti. Intonano un canto popolare nigeriano mentre cominciano a danzare con le suore. I clienti d’un tratto sembrano meno.
Fermi in macchina in attesa della prossima postazione, Suor Chiara racconta parte dell’inferno che hanno vissuto le sue figlie: «Hanno percorsi diversi, molte di loro sono arrivate con i barconi, altre arrivano da Milano. Tra riti voodoo e le false promesse della partenza, sono costrette a pagare un riscatto che va dai 40 ai 60 mila euro. E guadagnano 15 euro a prestazione. Dietro di loro c’è una rete di traffico internazionale che nemmeno immaginiamo», aggiunge Suor Chiara.
Secondo l’Oim, l’organizzazione internazionale per le migrazioni, circa l’80 per cento delle ragazze nigeriane sbarcate in Italia rischia di diventare vittima di tratta, la maggior parte sono minorenni, come molte delle figlie di Suor Chiara.
Sulla Catania-Gela tra le sorelle scalze e le rispettive “figlie” nigeriane è arrivato il momento del saluto con il padre nostro in inglese che Suor Chiara recita alla perfezione. «Incontrare loro significa fare l’esperienza di Cristo, perché il corpo di queste ragazze è sfruttato, offeso e svilito com’è stato offeso il corpo di Cristo», spiega Suor Chiara mentre le sue figlie la salutano con l’ultima benedizione: «God bless you».
Chiara, la suora scalza tra le prostitute nigeriane
Testi a cura di Alessandro Puglia
Foto a cura di Alessandro Puglia
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