Storie di vita

Con questa adozione è nata molto più che una famiglia

di Sara De Carli

Quattro famiglie italiane nel maggio 2017 sono andate in Burundi per adottare quattro bambini. Tre mesi dopo hanno fondato una onlus - 4INZU - e raccolto 10mila euro: il loro sogno è costruire una casa per i bimbi che sono rimasti a Gitega, in attesa di una mamma e un papà. Con i fiori alle finestre ma senza asciugatrice

Cosa vi garantisce dell’affidabilità di monsieur Leopold? Lo chiedo a bruciapelo a Maria Giovanna, che ha adottato un bambino in Burundi nemmeno dieci mesi fa e che ora, con il marito Leonardo e le altre tre famiglie che sono scese con lei a Gitega, la seconda città del Burundi, ha fondato un’associazione per aiutare il giovane monsieur Leopold (orfano a sua volta) a dare una casa vera ai bambini che sono rimasti con lui, in attesa di dell’affetto di una mamma e di un papà. Hanno già raccolto 10mila euro, abbastanza per acquistare un terreno: ora servono circa 60mila euro per realizzare l’edificio e arredarlo. Maria Giovanna non si scompone e risponde senza esitare: «I nostri figli, nient’altro. Olivier ma anche Enok, Chancelline ed Arsene: tutti gli vogliono un bene dell’anima, ieri era il compleanno della figlia di monsieur Leopold e Olivier ha voluto mandarle un messaggio. Non abbiamo “carte” che ci diano certezze sulla persona, ma i nostri bambini sono sereni e questo ci basta. Non siamo noi che li abbiamo salvati, è stato Leopold: Olivier è stato trovato per strada dalla polizia, aveva tre anni e mezzo. È stato affidato a Leopold, è rimasto con lui due anni. Lì è stato bene, lui ha bellissimi ricordi».

Leonardo e Maria Giovanna Dioguardi vivono nel cuore della Puglia, a Rutigliano, e sono i genitori di Emanuela, Giorgia ed Olivier. Insieme ad altre tre famiglie, neanche tre mesi dopo essere rientrati in Italia dal Burundi, hanno fondato 4INZU Onlus, di cui Leonardo è il presidente. “Inzu” in lingua kirundi significa famiglia, casa… e loro erano quattro famiglie con il desiderio di costruire una casa per tutti quei piccoli che avevano lasciato a Gitega.

«L’idea dell'adozione è stata di mio marito, che a bruciapelo un giorno mi chiese: “E se adottassimo un bambino?”. Mi ha buttato una palla infuocata», ride Maria Giovanna. Lei aveva 37 anni, Leonardo 40, Giorgia aveva appena compiuto 7 anni ed Emanuela 8: lui è cresciuto negli scout, lei nell’Azione Cattolica, in parrocchia sono stati animatori prima dei gruppi fidanzati e poi dei gruppi famiglia, lavorano insieme nell’azienda di famiglia. «Se non avessimo avuto figli avrei certamente preferito l'adozione alla Pma, poi però sono arrivate Giorgia ed Emanuela, così vicine, la cosa mi è uscita di testa. “Tu sei matto!”, ho risposto a mio marito. Ma quell’idea ha lavorato dentro di me, come un concepimento, finché abbiamo deciso di avviare le pratiche». La scelta di adottare non suscitò però grande entusiasmo: «le nostre famiglie ci sconsigliavano e persino la psicologa di un ente, in un colloquio informativo, ci disse “avete una famiglia perfetta, rischiate di mettere in crisi gli equilibri…”», ricorda Maria Giovanna. Invece «le bambine sono felicissime, dicono che non si ricordano nemmeno com’era prima di Olivier, e anche lui si è sentito fratello prima che figlio».

Ci sconsigliavano di mettere in discussione gli equilibri famigliari: le bambine invece sono felicissime, dicono che non si ricordano nemmeno com’era prima di Olivier, e anche lui si è sentito fratello prima che figlio

Prima di essere abbinati ad Olivier, l’adozione di Leonardo e Maria Giovanna ha vissuto mesi di grande buio, finché il 2 gennaio 2017 dal nuovo ente a cui si sono affidati – il GVS – arriva la telefonata tanto attesa: «Un inizio d’anno col botto, ci comunicarono che eravamo diventati i genitori – e le sorelle – del piccolo Olivier, di 5 anni. La telefonata arrivò lo stesso giorno anche alle altre tre coppie, che diventarono così i genitori di Arsene, Chancelline ed Enok». Le quattro famiglie, insieme, dopo cinque mesi, partono per il Burundi, cariche di emozioni e di bagagli: «soltanto noi avevamo 13 valigie e quattro trolley come bagaglio a mano, zeppe di materiale scolastico, latte, vestiti, omogeneizzati… nessuno ci aveva chiesto nulla, ma avevamo capito che l’orfanotrofio dove stava Olivier non aveva niente».

È il 2 maggio 2017 quando le quattro famiglie abbracciano i loro figli. Insieme ai Dioguardi ci sono Francesco e Francesca di Martinfranca, Sabino e Roberta di Canosa di Puglia e Antonio e Beatrix di Vicenza. Quello stesso giorno, senza saperlo, nasce 4INZU. «Non saprei neanche dire a chi è venuta, per primo, l’idea di fondare una onlus. Credo che sia stata concepita insieme, sul posto, senza nemmeno forse verbalizzarlo, certamente figlia anche dell’incredibile armonia che è nata fra noi famiglie. Ancora adesso ci sentiamo regolarmente, noi della Puglia ci vediamo almeno una volta al mese, noi fra poco andremo a Berlino in vacanza con la famiglia di Vicenza e proprio ad Antonio, il papà, abbiamo chiesto di fare da padrino a Olivier per il battesimo», racconta Maria Giovanna.

Non saprei neanche dire a chi è venuta l’idea di fondare una onlus. Credo che sia stata concepita insieme, in Burundi, certamente figlia anche dell’incredibile armonia che è nata fra noi famiglie

Quel che è certo è che quando Leopold saluta i bambini prima della loro partenza per l’Italia, sul pulmino che accompagna le famiglie dall’hotel all’aeroporto di Bujumbura, viene fatta una promessa: «Non ti preoccupare Loepold, ti compreremo un terreno e ti costruiremo una casa». Una promessa sull’onda dell’emozione ma anche – spiega Maria Giovanna – «da un grandissimo sentimento di riconoscenza nei confronti di questo ragazzo, perché i nostri figli erano in una situazione di estremo bisogno e lui li ha accolti e cresciuti, donandogli un affetto incondizionato. I bambini sono davvero incredibilmente sereni, sono stati preparati benissimo all’incontro con noi, abbiamo un po’ il desiderio di sdebitarci».

La casa di monsieur Leopold non è un vero e proprio orfanotrofio: Leopold è a sua volta un ragazzo orfano, che a 18 anni ha iniziato a prendere con sé altri bambini di strada e a prendersi cura di loro. Hanno vissuto di offerte, in maniera informale e precaria, trasferendosi ogni volta che i bambini erano tanti e in casa non ci si stava più o quando l’affitto diventava troppo caro, poi pian piano c’è stato un riconoscimento da parte dello Stato, una piccola sovvenzione, e da due o tre anni lo Stato del Burundi lo ha inserito nel circuito delle adozioni. Oggi con lui vivono una quarantina di bambini: «i lettini per tutti non ci sono, stanno in quattro in un letto, non ci sono tavoli per mangiare tutti, i bambini piccoli vengono appoggiati al muro e imboccati, ma di certo non mancava l’affetto. Nasce da qui il nostro desiderio, questi bambini non hanno una famiglia, almeno diamogli una casa tranquilla in cui crescere, un letto, un tavolo…», racconta Maria Giovanna.

Il progetto per la nuova casa l’ha fatto uno dei quattro papà, Francesco, ingegnere: «il caso vuole che lui collabori con i Missionari della Consolata, è stato diverse volte in Tanzania e aveva seguito come volontario il progetto di una scuola. Quell’esperienza per esempio gli ha suggerito un edificio a moduli, così che possiamo partire anche con pochi soldi e fare le cose gradualmente». 4INZU è operativa da settembre e a forza di donazione di 5 euro, iniziative delle mamme nelle scuole, lotterie, piccoli salvadanai che hanno invaso i paesi di queste famiglie in occasione del Natale, sono già stati raccolti 10mila euro, abbastanza per comprare un terreno. Per costruire l’edificio servono invece circa 60mila euro: «per questo adesso è il momento di allargare il raggio, far conoscere la nostra storia e il nostro sogno. Speriamo ad esempio che qualche azienda voglia farci da sponsor per i materiali. Molti ci chiedono su 20 euro che dono, quanto va al progetto? 20 euro, non abbiamo altre spese, la sede dell’associazione è casa mia, il sito ce l’ha fatto un amico, noi siamo tutti volontari», spiega Maria Giovanna.

Ai bambini piace avere un legame con le loro origini, con il luogo dove hanno vissuto, con le persone che li hanno cresciuti. Olivier fa l'architetto: nella casa per i miei amici mettiamo i fiori alle finestre e la lavatrice. L'asciugatrice no, non serve, in Burundi c'è sempre il sole

I più coinvolti sono i bambini, Olivier, Arsene, Chancelline ed Enok: «gli piace il fatto di avere un legame con le loro origini, con il luogo dove hanno vissuto, con le persone che li hanno cresciuti. Olivier fa l’architetto: “nella casa nuova dei miei amici dobbiamo mettere dei fiori alle finestre. E poi ci vuole la lavatrice. L’asciugatrice no, mamma, quella non serve, perché in Burundi c’è sempre il sole"».

Le foto del servizio fanno parte dell'album privato della famiglia Dioguardi, che ringraziamo

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