«Luca è tutta la nostra vita, non abbiamo mai detto “avrebbe potuto essere diverso”. Questo è Luca ed è così, l’abbiamo accettato sempre, senza rabbia né disperazione. È il mio bambino, da riempire di coccole e carezze. Lui ci cerca con gli occhi, sorride, è sereno. E questo ci basta»: non c’è molto altro da dire per mamma Isabella, che con una semplicità disarmante per raccontarsi, insieme a suo marito Giuseppe, usa il termine «genitori sereni». Luca sta per compiere 17 anni e nell’altra stanza, dalla sua carrozzina, guarda la tv cambiando canale con un switch che comanda con gli occhi. Ama soprattutto la musica, i programmi di intrattenimento e i quiz. Ma anche le passeggiate al parco e il mare, a patto che non sia troppo caldo.
La sindrome di Luca porta il cognome del pediatra che la scoprì per primo, negli anni Cinquanta: sindrome di Goldenhar. Un papà prima che un pediatra, che osservò e studiò sulla propria figlia la malattia e i suoi sintomi. Il quaderno pubblicato a novembre 2016 da Orphanet afferma che la Sindrome di Goldenhar in Europa colpisce 2,9 bambini ogni 100mila nati: una delle quasi 7mila differenti malattie rare di cui il 28 febbraio si celebra la Giornata Mondiale e che soltanto in Italia colpiscono complessivamente 1-2 milioni di persone. Una persona su tre fra quelle trattate alla Lega del Filo d’Oro ha una malattia rara, che si rivela quindi una delle principali cause della sordocecità: in larghissima parte di tratta di bambini e adolescenti. Luca è uno di essi, è seguito dalla Lega del Filo d’Oro da quando aveva tre anni, con soggiorni periodici a Osimo per dei trattamenti specifici e un appoggio costante alla sede di Molfetta, a cominciare dall'appuntamento settimanale con la "ludolega" e dall'accompagnamento psicologico per i genitori. «È una malattia genetica rara ma in questi anni abbiamo conosciuto tanti altri bambini, uno a Taranto, uno a Genova, uno a Milano… E ognuno è diverso dall’altro. Tanti hanno recuperato molto il ritardo psicomotorio, camminano, mangiano, parlano… Luca no, lui è gravissimo», dice Isabella, senza invidia né rimpianto.
La sindrome di Luca non si era preannunciata durante la gravidanza: «c’era solo un cervelletto più piccolo, ma per il ginecologo non significava nulla, perché era un dato anomalo unico e isolato». Invece quando Luca nacque fu immediatamente evidente «che qualcosa non andava, essendo questa sindrome caratterizzata da un’asimmetria del volto, con il padiglione auricolare che può essere chiuso e delle appendici di tessuto cartilagineo ai lati dell’orecchio», ricorda Isabella. «Siamo passati dal “tutto bene” alla diagnosi peggiore, con questa sindrome e un grave ritardo cognitivo. Luca non si muoveva e non piangeva, aveva un’attività cardiaca normale, respirava, ma nulla di più. Non ha mai succhiato né deglutito cibo, gli misero subito il sondino nasogastrico. Ci parlarono subito di una sordità profonda e di un dermoide nel fondo oculare. Io sono un’infermiera, mi sono buttata nella gestione di Luca, quando siamo stati dimessi, a dieci giorni dalla nascita, ero completamente autonoma», ricorda Isabella: «psicologicamente invece è stata durissima, anche se non ho mai voluto far pesare la mia angoscia sul resto della famiglia».
I primi quattro anni sono completamente dedicati a Luca, senza nemmeno il tempo di respirare. La quotidianità è scandita dai bisogni di Luca e dal controllo costante della temperatura sua e dell’ambiente: ha problemi di termoregolazione, quando la temperatura esterna sale lo prende come una febbre, va spogliato e messo nel bagnetto per abbassargli la temperatura. La diagnosi però era chiara: «Nei primi anni ho girato tantissimi centri, volevo sentire cosa mi proponeva ciascuno, sapere il parere di tutti, sapere cosa potevo fare. Non cercavo il miracolo, sapevo che il bambino è così, la malformazione c’è e non c’è intervento possibile, però non mi davo pace a pensare che non si potesse far nulla. L’unica strada erano le terapie, per stimolare il movimento, la capacità visiva, la capacità uditiva… Io volevo sfruttare al massimo questa strada», racconta mamma Isabella. È così che approdano alla Lega del Filo d’Oro, a Osimo: «avevo notato che Luca iniziava a seguire gli oggetti, iniziava a sorridere a noi genitori, mi sembrava ci riconoscesse e che avesse uno sguardo più intenso. Qui ci hanno sempre incoraggiato ad andare avanti, a lavorare per stimolarlo, convinti che Luca è un bambino che poteva avere qualche capacità, anche cognitiva. Man mano è migliorato».
Luca oggi ha 17 anni, è in carrozzina, tiene sollevata la testa, riesce a fare ciao con la mano se qualcuno lo aiuta, tenendogli sollevato il braccio destro. «Dal punto di vista cognitivo invece ha fatto tantissimi progressi, segue abbastanza bene gli oggetti, ci avevano detto di una sordità profonda e invece ha una soglia di udito abbastanza buona… Ha iniziato a comunicare con noi facendoci capire quanto gli piacesse passeggiare: appena gli mettevo il cappello o le scarpe, sorrideva. Sulla via del ritorno invece, riconosceva il tragitto e nei pressi di casa iniziava a fare "no" con la testa, ad agitarsi. Ecco, il modo di comunicare di Luca è questo».
«Finché Luca vive, io farò tutto per lui. Ci sono state tante giornate difficili, periodi lunghi senza serenità, in cui Luca non dormiva la notte e aveva un’agitazione che nessuno riusciva a calmare, stavamo lì e lo accarezzavamo per ore… a 10 anni ha avuto una crisi respiratoria forte, abbiamo dovuto fare la tracheostomia… Mio marito fa più fatica, ma a me basta sentire che Luca sta bene. Da novembre poi è un altra persona, è tranquillo, stiamo scoprendo un altro Luca», dice mamma Isabella. E sì, «io credo proprio che lui oggi sia un ragazzo contento».
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