Scuola

Per essere bravi maestri abbiamo aperto un oblò nella porta

di Sara De Carli

Tutto è iniziato con un oblò nella porta delle aule. A Como, alla Scuola Oliver Twist di Cometa, da quest'anno gli insegnanti entreranno in aula durante le ore dei colleghi e seguiranno le loro lezioni, dandosi poi dei feedback. Durante l'estate hanno fatto una formazione mirata, con una docente chiamata da Washington. L’obiettivo? Migliorarsi, imparando l’uno dall’altro.

A Como, alla Scuola Oliver Twist di Cometa, le porte delle aule hanno tutte un oblò nella porta. Un piccolo dettaglio architettonico, una questione di luce e di bellezza, che però ha ispirato una rivoluzione della didattica. Con l’anno scolastico che sta per iniziare, a Cometa gli insegnanti entreranno nelle aule durante le ore dei colleghi, si siederanno tra i banchi, accanto agli studenti, seguiranno la lezione, osserveranno i colleghi. L’obiettivo? Migliorarsi tutti, come docenti, imparando l’uno dall’altro.

Il collega-specchio

Giuseppe Sinatra ha trent’anni. È laureato in fisica, è docente abilitato, ha un dottorato in apprendistato, formazione della persona e mercato del lavoro concluso da poco all’Università di Bergamo e insegna matematica e fisica in Cometa da cinque anni. È il vicecoordinatore del nuovissimo Liceo Artigianale, il primo in Italia: un liceo scientifico delle scienze applicate con alternanza scuola lavoro, che affianca al diploma la certificazione di competenze lavorative professionali. «Il cuore del mio lavoro di insegnante è l’apprendimento del ragazzo, non il programma. Se un collega mi aiuta a capire cosa va bene e cosa no nel mio metodo didattico, questo è un valore enorme, perché mi premette di prendermi cura meglio dei ragazzi», spiega. «La lezione non è il momento in cui io affermo il mio territorio, ma il momento in cui io sono chiamato a contribuire alla crescita di ciascuno di quei 25 ragazzi che ho di fronte». Ed ecco l’oblò: «All’inizio mi dava fastidio, perché gli insegnanti tendono un po’ a pensare che il loro lavoro debba rimanere segreto nella camera del mistero, invece passando nel corridoio vedevo che mia collega di italiano usava molto il cooperative learning e i ragazzi avevano facce contente… Allora un giorno sono entrato, mi sono seduto e ho osservato. Lei insegna italiano e io matematica, ma ho imparato moltissimo. Certo, il bello di Cometa è che c’è una fortissima corresponsabilità fra noi, siamo abituati a lavorare insieme nella stessa direzione, questo ha fatto sì che io avessi la libertà di entrare e lei quella di accettarmi».

Gli insegnanti tendono un po’ a pensare che il loro lavoro in aula debba rimanere segreto nella camera del mistero, invece passando nel corridoio vedevo che mia collega di italiano usava molto il cooperative learning e i ragazzi avevano facce contente… Allora un giorno sono entrato, mi sono seduta e ho osservato.

Giuseppe Sinatra

Fin qui la memoria. La novità è che quell’esperienza occasionale e finanche casuale, ma viva, è stata messa a sistema. «È una cosa nata dall’esperienza, non progettata a tavolino, ma abbiamo cominciato a farla in tanti, abbiamo scoperto che è un grandissimo aiuto, l’abbiamo proposto a tutti», continua il professor Sinatra. Così a luglio, durante la formazione dei docenti, hanno chiamato a Como una docente di Washington, per imparare a osservare la pratica didattica e darsi feedback reciproci. Un docente prepara una lezione vera, di quelle che avrebbe proposto ai ragazzi in classe, e l’ha fa davanti a tutti i colleghi, docenti e tutor, un centinaio di persone in tutto. Poi il prof si siede e i colleghi, a turno, vanno alla lavagna e descrivono cosa è stato fatto, anche grazie a una scheda di osservazione in dieci domande, che aiuta a fare l’anamnesi di quel che si è attivato “dentro”, nel fare ogni attività proposta, ciò che ci aiutato, ciò che ha fatto scattare qualcosa, ciò che ci ha messo in difficoltà… «Questo feedback è per l’insegnante che ha fatto la lezione e per tutti gli altri, perché ci aiuta a capire quali siano le modalità più efficaci e stimolanti per apprendere quella lezione specifica, sapendo che non c’è una ricetta unica, che non c’è un sistema perfetto né un sistema da buttare, nemmeno la tanto demonizzata lezione frontale e che la stessa lezione in una classe va fatta in un modo e in un’altra in un modo diverso», riflette Sinatra.

Facile? Per nulla. «Per questo durante il campus abbiamo provato tutti!», spiega Giovanni Figini, 30 anni, professore di italiano, storia e geografia e neo coordinatore dei corsi – alias preside – della Scuola Oliver Twist. «C’è l’imbarazzo di fare lezione davanti ai colleghi ma anche quello di dare un feedback. Certo, la compattezza del team fa la differenza. All’inizio tendevamo a dire “io avrei fatto così”, adesso siamo passati al fare domande, “perché hai scelto di fare così? che obiettivo volevi raggiungere?”. La domanda è potentissima, perché ti costringe a interrogarti sulla tua pratica didattica, cosa che è impossibile fare mentre insegni, perché sei troppo concentrato sulla lezione e ragazzi. Il collega che ti osserva, così, diventa il tuo specchio».

La domanda è potentissima, perché ti costringe a interrogarti sulla tua pratica didattica, cosa che è impossibile fare mentre insegni, perché sei troppo concentrato sulla lezione e ragazzi. Il collega che ti osserva, così, diventa il tuo specchio».

Giovanni Figini

Una mezza rivoluzione, se è vero quanto afferma un articolo pubblicato a metà giugno su The Economist, secondo cui uno dei principali problemi della scuola europea, in termini di qualità dell’insegnamento, è proprio il fatto che «insegnare è ancora una professione a porte chiuse», con il 40% dei docenti dei Paesi dell’area OCSE che non ha mai affiancato o osservato un altro insegnante, né ha mai ricevuto commenti e feedback sulla sua pratica didattica. Chapeau.

Apprendere dall’esperienza

La pratica sistematica dell’osservazione tra colleghi non è però l’unica caratteristica che fa di Cometa una scuola speciale: qui sta davvero prendendo forma una nuova figura di insegnante. Per cominciare qui c’è una percentuale altissima di insegnanti che hanno fatto o stanno facendo il dottorato in apprendistato, formazione della persona e mercato del lavoro (sei lo hanno concluso, cinque lo stanno facendo e due stanno per iniziarlo): un unicum al mondo. La diretta conseguenza è una riconcettualizzazione forte di tutta l’attività pedagogica e il dispiegarsi davvero di una comunità di pratica e ricerca. Bisogna venire qui per capire davvero cos’è una comunità educante. «Questa dimensione di ricerca-azione che oggi ci caratterizza, senza dottorato non ci sarebbe. Insegnare è un’arte sottilissima, devi continuamente fare ricerca, il dottorato è un modo per fare alternanza tra la pratica e la ricerca, è una spirale senza fine tra il fare e il sapere, lo stesso metodo che proponiamo ai nostri ragazzi», afferma il prof Sinatra. Per il suo dottorato, ad esempio, lui ha riscritto il curriculum di matematica per la qualifica del triennio dell’operatore del legno: «c’è stato un miglioramento del 15% dei risultati degli studenti, significa che chi ha raggiunto una valutazione sufficiente all’esame di matematica – che viene dalla Regione – è passato dal 63 al 78%».

Apprendere dall’esperienza è l’approccio peculiare di Cometa in tutti i suoi corsi. «Se parti da un pezzo di realtà, da un problema vero – un preventivo, un oggetto da produrre – scattano le domande. Quando ho visto questo metodo ho scoperto il gusto dell’insegnare e dell’insegnamento e mi sono innamorato», racconta Giovanni Figini. Che infatti è un fiume in piena: «Ogni nostra lezione parte da domanda, ha un target, attiva delle preconoscenze, dà conoscenze nuove, fa fare un’attività». Il docente chi è, allora? «Non la persona onnisciente ma quella curiosa, entriamo in aula con delle domande, che approfondiamo insieme ai ragazzi e a cui rispondiamo insieme ai ragazzi», afferma. Normalmente si pensa l’insegnante come quello che spiega le cose e se le fa ripetere: «invece per noi il punto più alto è la creazione di qualcosa o la capacità di valutare qualcosa, in un giudizio originale. Who is doing the heavy lifting? Il lavoro duro a scuola lo fa non l’insegnante, ma il ragazzo. I docenti sono i maestri che guidano, perché non è vero che la cosa migliore è l’autoapprendimento: il ragazzo da solo non riesce a sviluppare un pensiero critico, non perché non ne abbia le capacità ma perché è dentro un rapporto che si scoprono le cose. La nostra scuola è organizzata così, ogni lezione o gruppo di lezioni riproduce questo in piccolo».

Who is doing the heavy lifting? Il lavoro duro a scuola lo fa non l’insegnante, ma il ragazzo. I docenti sono i maestri che guidano, perché non è vero che la cosa migliore è l’autoapprendimento: il ragazzo da solo non riesce a sviluppare un pensiero critico, non perché non ne abbia le capacità ma perché è dentro un rapporto che si scoprono le cose.

Giovanni Figini

Rinnovare per riconquistare, non innovare per buttare

Il nuovo Liceo Artigianale è lo sviluppo naturale del percorso avviato con la Oliver Twist. Si parte con dodici alunni, ma negli intenti il Liceo è l’esemplificazione compiuta di una strada possibile: «o almeno, ci sono le condizioni perché lo sia», sorride Alessandro Mele, CEO di Cometa e direttore della Scuola Oliver Twist. «Noi stiamo cercando di interpretare un cambiamento epocale, non tanto per buttare la vecchia figura dell’insegnante ma per riconquistarla. Rinnovare, non innovare per buttare. Siamo prigionieri di un paradigma quantitativo, figlio della crisi educativa degli adulti, per cui l’esito del tuo apprendimento è funzione del numero di pagine che hai letto. È l'idea prevalente oggi della scuola, al centro l'insegnamento anziché l'apprendimento. Il risultato è un progressivo indebolimento della capacità di rapporto con la realtà. È un’impostazione idealista: con il Cartesianesimo è cresciuto l'equivoco per cui è il pensiero che crea la realtà. Poi è arrivato google e ci siamo accorti che il modello non funziona più. Allora? Allora oggi la scuola è tornata al problema di fondo: come fare a insegnare un metodo di conoscenza? Come riconquistare una cultura, che è capacità di generare bellezza? Per noi, riportando a scuola la realtà e il rapporto con la realtà. Il lavoro è la chiave più potente per farlo, perché costringe i docenti e i ragazzi a fare i conti con la realtà, è conoscenza delle cose non delle forme. Noi lo facciamo da dieci anni, sommessamente dico che siamo ormai un laboratorio di innovazione, di cui iniziare a pensare di formazlizzare le pratiche».

Per diventare bravi maestri serve un oblò nella porta

Testi di Sara De Carli
Foto di Cometa

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