«La voce degli ultimi, ciò che Pasolini sognava nella sua contrastata visione politico-civile, oggi rinasce, torna in campo, con temi antichi che sono gli stessi di oggi»: Angelo Righetti, psichiatra, parla così della sua “Edipo Re”, l’imbarcazione di 16 metri a vela e motore, acquistata nel 1956 dagli amici Giuseppe Zigaina e Pier Paolo Pasolini attorno al cui tavolo sedettero artisti come Moravia, Elsa Morante e Maria Callas. L’Edipo Re in questi giorni è al Lido di Venezia, ormeggiata in riva di Corinto. Ieri sera produttori e attori sono saliti a bordo, mischiandosi con i ragazzi del Centro Don Orione di Chirignago, Venezia, di cui Righetti è stato a lungo direttore sanitario, che avevano preparato un piccolo catering: «Giovani con grave disabilità, gli ultimi degli ultimi, quelli che anche i servizi scartano. Doveva vederli ieri sera con i loro cravattini…», racconta orgoglioso Righetti, «i vip salivano a bordo imbastiti nel loro ruolo e poi, arrivati qua, cambiavano faccia. È stato fantastico, ma vissuto in modo normale, non come evento. Ecco, noi vorremo che l’inclusione fosse la normalità, non una cosa straordinaria, da evento».
La presenza della Edipo Re in laguna è legata alla proiezione del documentario "L'Isola di Medea", che racconta il backstage di quel “Medea” che Pier Paolo Pasolini girò nell’estate del 1969, con Maria Callas. Questo guscio di legno la ospitò proprio durante le riprese. Il documentario – a cura del filmmaker Sergio Naitza e prodotto da Lagunafest con Karel – è stato girato a Grado a bordo della Edipo Re e in queste sere di Festival viene proiettato sulle vele dell'imbarcazione. Cultura e red carpet così si incrociano con le storie di ordinaria inclusione: proprio qui sopra verrà presentato questa sera il Manifesto sull’Inclusione, con Righetti, il rettore dell’Università di Padova, Rosario Rizzuto e il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. «È un atto culturale e politico, c’è tanto bisogno di inclusione oggi ma è necessario articolarla in ciò che si può fare per l’inclusione, altrimenti sono solo belle parole. Il manifesto chiede che tutti si impegnino in questo, a declinare l’inclusione. E con inclusione io non intendo solo quella delle persone più fragili, dobbiamo tutti includerci a vicenda», spiega Righetti.
C’è tanto bisogno di inclusione oggi, ma è necessario articolarla in ciò che si può fare per l’inclusione, altrimenti sono solo belle parole. Il Manifesto chiede che tutti si impegnino in questo, a declinare l’inclusione. E con inclusione io non intendo solo quella delle persone più fragili, dobbiamo tutti includerci a vicenda
Angelo Righetti
Ma come inizia tutto ciò? Righetti, 68 anni, psichiatra legato a Franco Basaglia e al suo «fare le cose, un passo dopo l’altro», già coinvolto nel cinema ai tempi del Si può fare con Claudio Bisio, non è un navigatore: «La barca è per me un incontro lontano nel tempo, la conoscevo perché avevo una grande amicizia con il pittore Giuseppe Zigaina, che era l’amico più caro e anche l’ispiratore di molti film di Pasolini. L’ho presa cinque anni fa perché mi spiaceva veder morire un simbolo importante, un pezzo di storia della cultura italiana», ricorda. Insomma, è un colpo di fulmine di quelli che non si possono spiegare con la ragione.
Una volta andato in pensione, per ristrutturarla Righetti ci ha messo la sua liquidazione, poi l’ha ceduta alla cooperativa sociale Impresa a rete, mentre i progetti sono gestiti dall’associazione EdipoRe, formata da ospiti e operatori del Centro don Orione di Chirignago. La volontà di Righetti è che la barca, già simbolo culturale, diventi simbolo e metafora di un grande progetto sociale, in vari settori: «È un Marco Cavallo in mare», sintetizza lui con un’immagine potente e ambiziosissima, rimandando a quel cavallo azzurro che fu simbolo dell’apertura dei manicomi e che ancora continua a vivere. «La chiave di lettura è che “si può fare”. Non solo ne siamo convinti, è quello che pratichiamo. L’investimento più importante oggi è quello sulla povertà, che è l’unico bene che abbiamo in abbondanza. Bisogna investire sulla povertà se si vuole risvegliare processo civile e umano, partire dalla finanza e dalla ricchezza non ci porta a nulla», spiega. Non è uno slogan: «Non mi fraintenda, non si tratta più solo di criticare e utilizzare il pensiero critico, ma di fare un’azione proattiva. Si deve produrre ricchezza e redistribuirla: ricchezza in tutti i sensi, umana, culturale, economica… partendo da chi questa ricchezza non ce l’ha per malattia o sofferenza, questo è mondo con cui lavoriamo, non solo quello della salute mentali ma di tutte le fragilità e le malattie croniche, dove è in agguato l’eliminazione seriale delle persone. Investendo su questo si modifica il destino di tutti».
L’investimento più importante oggi è quello sulla povertà, che è l’unico bene che abbiamo in abbondanza. Bisogna investire sulla povertà se si vuole risvegliare processo civile e umano, partire dalla finanza e dalla ricchezza non ci porta a nulla. Investendo su questo, si modifica il destino di tutti
Angelo Righetti
«Un piccolo sogno praticato», così Righetti definisce l’Edipo Re. Ci sono già attività in atto, perché Impresa a Rete, di cui lui è presidente, nel 2013 insieme ad altre organizzazioni dell’economia sociale ha creato la rete RES-INT, rete dell'economia sociale internazionale: l’Edipo Re appartiene già all’immaginario di molte di queste realtà. Il primo utilizzo della barca sarà legato a progetti di turismo accessibile, «perché tutti possano godere della bellezza»: il progetto TRAVEL ABILITY renderà disponibile e sicuro il turismo assistito per le persone con disabilità, cominciando da Venezia, Firenze, Roma e Napoli. Ma Edipo Re (questa volta l’associazione) seguirà anche un progetto per i tanti minori stranieri non accompagnati accolti nel piccolo comune di Tarvisio, «3mila abitanti e 500 minori stranieri non accompagnati. Li accoglieremo nelle tante fattorie sociali della rete RES-INT, con una scuola steineriana aperta anche a ragazzi italiani in ogni luogo, mentre con il MAE cercheremo di raggiungere le famiglie di origine di questi ragazzi, inviando loro 100 dollari al mese e creando coesione sociale oltre confine. Questi ragazzi sono un po’ come Pollicino, mandati avanti nel bosco dalla famiglia che non poteva dar loro da mangiare… sta a noi fare che questi "pollicini" nel loro viaggio incontrino uomini, non orchi».
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