Anna Lisa Mandorino

Mandorino, Cittadinanzattiva: «L’associazionismo civico per uscire dall’impasse della democrazia»

di Luca Cereda

A pochi giorni dai voti referendari e delle amministrative per 10 milioni di italiani, Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva: «Non siamo in crisi di partecipazione, ma di rappresentanza e di una democrazia che potrebbe ripensare alcune forme e strumenti»

Urne aperte il 12 giugno. Dalle 7 alle 23 gli italiani sono chiamati a esprimere la loro preferenza per 5 referendum sulla giustizia. Tra questi, 9 milioni di cittadini sono chiamati anche a votate per il rinnovo del proprio sindaco e del consiglio comunale. Le elezioni amministrative interessano 978 municipi, 26 sono capoluoghi di provincia e 4 di Regione, ovvero Genova, Palermo, L’Aquila e Catanzaro. Nelle città con più di 15mila abitanti, in caso di ballottaggio si voterà di nuovo il 26 giugno 2022

La scorsa tornata elettorale amministrativa – ad ottobre 2021 – ha votato solo il 54,6 per cento degli aventi diritto. Un ulteriore calo rispetto al 61 per cento della tornata precedente.

Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, secondo lei il voto del 12 giugno tra referendum e amministrative, si collocherà nel solco delle precedenti consultazioni popolari e votazioni politiche poco partecipate?

Tutto fa pensare che la risposta possa essere sì. I referendum mettono a tema aspetti molto tecnici del diritto. Questa consultazione poteva essere un’occasione di formazione civica sul tema della giustizia, ma anche della legalità e dello stato di diritto in Italia. Non lo è stato, anche per le tempistiche di questo voto, oltre che per i temi del referendum: entrambi coincidono in larga parte con la riforma dell’ordinamento della giustizia che sta portando avanti la Ministra Cartabia.

Questo referendum sembra destinato a fallire, secondo lei ci sono altre, ragioni più profonde e radicate, di quelle tematiche e temporali che lo portano a sovrapporti in parte alla riforma della giustizia?

Certo, la principale è l’uso che si sta facendo del referendum: i partiti sempre più piegano la consultazione popolare agli scopi o alle necessità della politica. Se in Parlamento non si vuole decidere su un tema perché le elezioni politiche sono alle porte, si convoca un referendum e lo si usa come mezzo per la campagna elettorale. Questo indebolisce il referendum stesso e allo stesso tempo palesa il fatto che i partiti non sappiano trovare accordi e decidere su temi tecnici nell’interesse pubblico.

Per superare questa impasse si potrebbe pensare ad una riforma dello strumento referendario stesso?

Esattamente. Dal 24 al 26 giugno come Cittadinanzattiva organizziamo il Festival della partecipazione dove si parlerà di come ampliare il referendum, non solo com’è strutturato oggi, in chiava abrogativa. Ad oggi i cittadini non possono incidere su disegni di legge più organici, potrebbero farlo sono redendo i referendum anche “propositivi”. Per compiere questo passaggio si dovrebbe andrebbe a toccare la Costituzione, ma pensiamo sia necessario riflettere su questa dimensione referendaria, così come – da cittadini europei – speriamo si possa partecipare anche con referendum alle decisioni dell’Italia sull’Europa. Essendo questa una “questione internazionale” oggi non può essere soggetta a referendum.

Secondo lei invece, per quanto riguarda la “politica della rappresentanza” – quindi le prossime amministrative – resteranno nel trend delle ultime tornate?

Va detto che tutte le ultime votazioni hanno confermato alcune tendenze: la politica intesa come “rappresentanza”, cioè quella delle formazioni partitiche, oggi spesso manca di contenuti, funziona sugli slogan. Sulle grida, sui social. In Italia però, e non solo in Italia, si registra tanta partecipazione civica, ci si torva in piazza per i diritti personali, sociali, per contrastare la crisi climatica e altre esperienze o posizione collettive. Interpretabili come traduzione della necessità del popolo di partecipare a ciò che lo interessa.

Quindi secondo lei siamo di fronte ad una crisi partecipazione, della “scheda che non c’è”, ma è una crisi che affonda le radici nella crisi delle fiducia nelle Istituzioni?

È così, però credo e vedo che il mondo dell’associazionismo civico, del Terzo settore, ovvero coloro che si occupano indirettamente – ma a volte in modo diretto – della Cosa pubblica senza però ricoprire cariche, ha interesse ad avere ricaduta sulla qualità della democrazia. Sono esperienze che vanno considerate. La qualità della democrazia si intreccia e si rintraccia in una giustizia sociale forte, sentita e partecipata, e una mancanza di associazionismo civico, di qualità della democrazia, usurano le istanze di giustizia sociale e allargano sempre più la forbice delle disuguaglianze.

I fatti legati all’elezione, al referendum o a quello che è successo con la scelta del Presidente della Repubblica sono la rappresentazione plastica della crisi della rappresentanza.

La sfida, allora, qual è?

Fare in modo che questo interesse civico e civile alla Cosa pubblica, questa presa in carico di responsabilità trovi adeguata rappresentanza nei luoghi istituzionali. Questi operatori, comprese parti estese del Terzo settore, devono avere il coraggio di dire di continuare e consolidare la loro missione culturalmente politica. In questo caso lavorare con la scuola per rendere organica la promozione della cittadinanza attiva degli studenti è fondamentale, altrimenti si resta ancorati solo alle esperienze sporadiche promosse dalla volontà di alcuni insegnanti.

Infine, a proposito di scuola, riteniamo che i seggi elettorali non siano più da aprire nelle scuole, per non interrompere il diritto allo studio dei ragazzi. La proposto è quella del voto digitale, a distanza, che possa coinvolgere e rendere partecipi persone anziane o con disabilità che oggi spesso sono tangiate fuori dell’espressione democratica del voto.

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