Giorgia Pagliuca, torinese classe 1997, è una giovane ecologista che parla, scrive e vive di sostenibilità. La sua passione l’ha portata sui social: qui, è conosciuta come @ggalaska e condivide con adulti e ragazzi – oltre 27mila quelli che la seguono – le se sue “eco tips”. Attraverso la sua presenza online, Giorgia esplora, insieme ai suoi follower, alternative ecologiche che vanno dal settore alimentare a quello della cosmesi. Raccontare agli altri i piccoli cambiamenti quotidiani sostenibili è il suo obiettivo e l’ha portata a scriverne un libro: Aggiustiamo il mondo. Diario di un’ecologista in crisi climatica, uscito recentemente per Aboca Edizioni.
Qual è stato il percorso che ti ha portata a essere l’ecologista di oggi?
Prima di diventare @ggalaska sono stata una quindicenne curiosa, animata dal desiderio di “fare qualcosa” di utile per l’ambiente. E così mi sono avvicinata a una dieta vegana, senza però avere la piena consapevolezza dell’impatto del settore alimentare: quella è arrivata con lo studio. Dopo lo studio delle scienze sociali, mi sono specializzata con un master in comunicazione alimentare e sostenibilità presso l’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo, per approfondire le disuguaglianze nel settore “food”. Ho iniziato a condividere online quanto imparato sul campo, con l’intenzione di contribuire attivamente al cambiamento: ed è così che ho scritto il mio primo libro.
Chi riesci a raggiungere parlando di sostenibilità sui social?
Se andiamo a vedere semplicemente gli Analytics del mio account, dunque quello che avviene al di là del mio volere, la fascia più attiva sul mio profilo è quella dei giovani tra i 25-34 anni. La fascia di età che più mi sfugge è quella dei 13-17 anni, questo probabilmente è dovuto al fatto che Instagram è un mezzo limitato, non arriva ai super giovani, ma non solo. Quando sui giornali parliamo dei “giovani eco” dipingiamo un’immagine monolitica, avendo come riferimento il profilo di Greta Thunberg. Ma non è così. Sono andata nelle scuole a parlare con i ragazzi degli istituti tecnici e delle tematiche ambientali ancora non sono consapevoli: non per disinteresse, ma perché non gli è stato mostrato quanto sta accadendo nel sistema alimentare. Non tutti conoscono le disuguaglianze legate alla crisi climatica e non sanno che la crisi ambientale è questione di giustizia sociale. Fondamentalmente, manca l’istruzione climatica e mancano le risorse per affrontare questo tipo di questioni. Non possiamo addossare la colpa agli insegnanti, ma la scuola deve prevedere per i ragazzi dei momenti di incontro con specialisti del settore. Servono voci che informano, capaci di portare punti di vista approfonditi.
Dopo anni di esperienza da “green content creator” sui social, hai deciso di raccontare i tuoi consigli di sostenibilità con un libro: Aggiustiamo il mondo. Diario di un’ecologista in crisi climatica. A chi è rivolto?
Il mio non è un libro rivoluzionario ma è un modo per parlare fuori dall’ambiente accademico a un pubblico curioso, senza limitazioni di età. Il libro è per me la base per la costruzione dei pilastri per le persone che vogliono approcciarsi alla sostenibilità. E per la svolta ecologista servono delle basi È un libro di riflessione su quanto conta l’azione individuale rispetto a una collettiva e una governativa. Se queste ultime possono fare immediatamente la differenza, è anche vero che tutto ciò dovrebbe avvenire con una grande presa di coscienza delle persone che agiscono in società. Se noi – come individui – percepiamo quali sono i danni che infliggiamo al nostro pianeta, allora possiamo costituire una maggiore consapevolezza. Per questo parlo di basi solide. Servono a comprendere, ridurre l’eco-ansia e a delineare il percorso che dobbiamo seguire. Non esiste l’ambientalista perfetto e non esistono manuali che possano illustrare, punto per punto, quali compiti portare a termine per diventarlo. Abbiamo però bisogno di piccoli cambiamenti quotidiani: sono quelli che spiego nel mio libro.
Cosa intendi con eco-ansia? Nel libro ne parli in relazione all’impatto ambientale domestico e alla paura degli ecologisti di non fare abbastanza per “salvare” la Terra. Spieghiamola meglio.
È uno stato ansioso clinicamente riconosciuto. L’eco-ansia non è slegata dalla difficoltà economica e sociale. Si inserisce in un clima in cui regna l’incertezza: viviamo su un pianeta che stiamo alterando e ne subiamo le conseguenze. Basta pensare alle pandemie, che spesso nascono come effetto dell’intervento dell’uomo su alcuni ecosistemi. È una responsabilità collettiva, ma non bisogna avere paura di agire pensando che la singola azione non è sufficiente. Per “aggiustare il mondo” è importante condividere, non farsi prendere dal panico e ricordarsi che si può fare la differenza nonostante la paura della fallibilità. Ecco perché è importante riconoscere il peso dei piccoli cambiamenti.
In occasione del Venerdì Santo hai preparato un pasto per le persone in condizione di svantaggio sociale insieme a Caritas Roma. Come ha segnato il tuo ruolo di attivista quest’esperienza?
Vivere un’esperienza diretta ti permette di comprendere cosa esiste fuori del tuo orticello. Lo rifarei altre mille volte: parlo di sostenibilità e attivismo online, ma mi sento come se concretamente non facessi mai abbastanza. Non voglio essere impegnata solo su carta, non voglio che il mio sia un attivismo performativo. Per questo è importante provare cosa vuol dire preparare un pasto per la Caritas. Nel mio caso, l’iniziativa è stata promossa da Heura, una startup spagnola che si occupa di soluzioni alternative plant based alla carne. Abbiamo servito il pranzo a oltre 60 persone con cui si instaura un rapporto diretto: si tratta principalmente di uomini che potrebbero essere i nostri nonni, ognuno con la propria storia. Un'esperienza importante, da condividere: essere presenti per aiutare.
Da ecologista, come vivi la politica? Credi che stia interpretando correttamente la crisi climatica?
L’attivismo è (anche) azione politica, che non si riduce alla manifestazione del venerdì. L’attivismo deve essere accompagnato dal voto. Quando ho chiesto online, sul mio profilo Instagram, di partecipare alla cosa pubblica andando a votare, ci sono persone che mi hanno tolto il follow, quasi questo fosse il gesto di disappunto più forte. Evidentemente, per molti, l’ambientalismo va considerato a parte rispetto alla politica. Ma, a mio avviso, l’azione individuale va di pari passo con quella pubblica. Probabilmente questo accade perché molti ambientalisti non si riconoscono in alcun partito. In Italia manca una politica che dal punto di vista governativo si renda conto dell’importanza dell’attivismo e che, al tempo stesso, sappia interpretarlo concretamente. Per farlo, deve partire dal dialogo con i giovani.
La foto in apertura è di Aboca editore
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