José Graziano da Silva, brasiliano, agronomo di formazione è stato dal 2012 al 2019 direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), primo latinoamericano a ricoprire questo ruolo. Adesso ha fondato in Brasile l’Istituto Fame Zero "per riaprire il dibattito pubblico in Brasile sulla questione della fame affinché si possano riformare le politiche pubbliche necessarie per contrastare un fenomeno che è tornato ad essere un’emergenza”, spiega. “Secondo una recente ricerca della Fondazione Getulio Vargas il numero dei brasiliani che vivono sotto la soglia della povertà è triplicato negli ultimi anni”. Ma l’Istituto nasce soprattutto “perché volevamo dare voce a chi la fame la soffre”.
Come è cambiato il problema della fame in Brasile negli ultimi anni?
La fame di oggi non è come quella del passato. La cosiddetta rivoluzione verde, il cui padre putativo fu l’agronomo Norman Borlaug che per questo vinse il premio Nobel per la pace nel 1970, ha rappresentato in quegli anni un cambiamento di paradigma importantissimo. Prima di questa svolta la fame c’era perché non c’era cibo a sufficienza. Oggi la situazione è completamente capovolta. C’è cibo in abbondanza, addirittura lo si getta. Eppure in tanti in Brasile fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. La carne è sparita dalla tavola, i poveri adesso mangiano uova come proteina animale principale.
A cosa si deve questa emergenza alimentare?
Innanzitutto all’esplosione del Covid che ha messo in ginocchio il paese, creando disoccupazione e miseria. L’inflazione ha galoppato, l’aumento dei prezzi sugli alimenti base dei brasiliani, ovvero carne, riso e fagioli è stato esorbitante. Ma poi ci sono motivazioni più strutturali.
Per esempio?
I tagli alle politiche pubbliche degli ultimi governi, soprattutto la soppressione del Consiglio Nazionale di sicurezza Alimentare e Nutrizionale (Consea) che è stato il primo atto simbolico del presidente Jair Bolsonaro. Ma anche la soppressione del Ministero dello Sviluppo Agricolo che concentrava le azioni di appoggio all’agricoltura familiare. Pezzo dopo pezzo è stato smontato tutto quello che aveva permesso al Brasile di uscire dalla piaga della fame ad inizio Millennio.
Sullo sfondo non pensa che manchi una riforma agraria che superi il latifondismo retaggio dell’epoca coloniale?
Certo. Se i piccoli produttori non possono avere accesso alla terra per produrre cibo per sé e per generare reddito è chiaro che soffriranno la fame. Le fornisco un dato. Oggi i salari più miseri in Brasile non sono quelli che ricevono le persone che lavorano in nero in città. Ma sono quelli che ricevono i braccianti agricoli, molti ridotti in condizioni di vera schiavitù. Basti guardare i dati relativi all’insicurezza alimentare in Brasile che sono di gran lunga maggiori nelle aree rurali che in città. Il paese vive questa enorme contraddizione. Da un lato è il secondo maggior esportatore al mondo di prodotto agroalimentari, come certificato anche dall’Organizzazione mondiale del commercio, dall’altro tre famiglie su quattro, che vivono in contesti rurali si trovavano in situazione di insicurezza alimentare tra l’agosto e dicembre del 2020, in piena pandemia. A dirlo una ricerca dell’Università libera di Berlino pubblicato lo scorso aprile.
Il nome Fame Zero è lo stesso nome del programma lanciato dall’ex presidente Lula nel 2003 che in appena 10 anni riuscì a far uscire il Brasile dalla mappa mondiale della fame. Un caso?
Niente affatto, volevamo rendere omaggio ad un programma che è stato un successo non solo per il Brasile ma a livello globale. Un programma celebrato dall’ONU che influenzò così tanto la formulazione degli obiettivi del Millennio che, poi, nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile l’obiettivo numero due è stato addirittura chiamato “Fame Zero”. La meta è importantissima: porre fine entro il 2030 alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile in un pianeta dove circa 795 milioni di persone – ovvero una persona su nove – sono denutrite. Negli obiettivi del Millennio si parlava solo di ridurre la fame. Ma grazie all’esperienza eccezionale del Brasile si è capito che raggiungere ovunque nel mondo la sicurezza alimentare è un obiettivo possibile.
La fame è tornata a mietere vittime nel mondo, quale la sua ricetta per uscirne?
Il primo punto su cui lavorare è la redistribuzione del reddito. La fame non è la conseguenza della mancanza di produzione di alimenti ma della mancanza di accesso ad essi, ovvero della mancanza di soldi per poterli acquistare. Il secondo punto è quello dell’importanza della donazione di cibo, soprattutto in un momento ancora critico per molti paesi come il Brasile a causa del Covid. Deve essere un valore sociale che dobbiamo insegnare. E poi servono nuove politiche pubbliche. Bisogna tenere bene che il diritto al cibo è un diritto umano fondamentale e quindi si debbono impiantare strutture e programmi permanenti perché questo diritto sia garantito a tutti in modo egualitario. Non è un singolo governo che sradica la fame, ma la società, con un lavoro costante nel tempo.
Credit Foto Fao/Giuseppe Carotenuto
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