Giuseppe Smorto

Racconto di una Calabria dove è possibile tornare

di Maria Pia Tucci

A sud del Sud, viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti. Il nuovo libro di Giuseppe Smorto. «Nella maggior parte delle esperienze che racconto non viene costruito niente che già non ci sia, sono invece utilizzati spazi esistenti grazie alla buona volontà delle persone e alle idee. Questo per dire che in Calabria non mancano le idee o gli spazi, ma quello che si può registrare in assoluta tranquillità è che c’è un fallimento enorme della politica.»

Esce domani, 20 maggio 2021, il libro di Giuseppe Smorto: A sud del Sud, viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti. Ventuno capitoli, tre dedicati alla sanità, fatti di luoghi, persone, risorse, santi e diavoli, che disegnano una Calabria semi sconosciuta e «spesso trattata con superficialità» lo dice subito Giuseppe Smorto, appena iniziamo a parlare.

E poi «Gli incontri e voglia di unire i puntini» sono le prime motivazioni quando la domanda al giornalista. originario di Reggio Calabria, da 40 anni penna preziosa de il quotidiano La Repubblica, è: «Perché l’ esigenza di un viaggio dentro la Calabria?»

«Mi sono reso conto che tra gli scaffali della mia biblioteca, i libri che parlano di Calabria per il settantacinque per cento trattano di criminalità e ‘ndrangheta, un’ altra piccola percentuale racconta lo sport e poi un’ altra, ancor più piccola, è la sezione dedicata alle bellezze di questa terra. Alle sue risorse ambientali e naturalistiche. A quello che abbiamo avuto in dote senza meritarcelo, insomma».

Inizia così il dialogo con l’ autore, o meglio continua. Perché durante il viaggio nel viaggio, alla riscoperta di angoli nascosti di Calabria e di storie che potessero segnare un racconto mai letto fin qui, non è mancato il confronto tra noi.

Ma a questo punto, che le pagine sono consegnate ai lettori, che cosa vuol dire aver sentito il bisogno di unire i puntini?

«Vuol dire che ci sono delle realtà, in Calabria, che per motivi legati a rivalità personali, non si parlano. Mi ha illuminato in questa riflessione lo scritto del direttore del Quotidiano del Sud, (Rocco Valenti – ndr), durante la pandemia. Parlava delle file al pronto soccorso davanti l’Ospedale di Cosenza e ha detto: sarebbe bastato un qualunque informatico dell’ Università della Calabria, per gestire il tutto. Per me una immagine perfetta di cosa sia gestire la Calabria. Una facoltà di Ingegneria informatica che le classifiche individuano come una delle migliori in Italia e un ospedale in tilt. Bene: le due realtà non si parlano. Eppure sarebbe bastato questo per risolvere il problema. Questo è quello che non succede».

Dove ti ha portato questo viaggio e cosa ha messo a nudo?

«Mi sono messo in viaggio a tutto tondo. Anche dal punto di vista imprenditoriale ho individuato puntini e macchie. Eccellenze e idee, capannoni abbandonati. Un viaggio che mi ha permesso di vedere posti e luoghi di contraddizione. Cantieri chiusi, in luoghi simbolo, come può essere il caso del Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria. Nei fatti un cantiere chiuso dal 2012 con 603 stanze, più di un castello, che aspettano di essere abitate e ogni volta che c’è un temporale il cantiere si allaga e le strutture ne risentono. Ma anche luoghi riutilizzati, valorizzati. Vedi il Centro autismo della Comunità Progetto Sud a Lamezia Terme o il Parco di Ecolandia a Reggio Calabria, o ancora a Pellaro il centro di medicina solidale, ad esempio. Nella maggior parte delle esperienze che racconto non viene costruito niente che già non ci sia, sono invece utilizzati spazi esistenti grazie alla buona volontà delle persone e alle idee. Questo per dire che in Calabria non mancano le idee o gli spazi, ma quello che si può registrare in assoluta tranquillità è che c’è un fallimento enorme della politica».

Ma come lo spieghi il fallimento della Politica, quella delle Istituzioni, di cui si legge nel tuo scritto, se lo mettiamo a confronto con l’ enorme lavoro delle associazioni, anche questo riccamente documentato, che sono, nei fatti, gli attori delle politiche territoriali?

«Forse è uno degli altri motivi per cui ho scritto il libro. E cioè che l’ enorme lavoro di queste associazioni è poco conosciuto. In realtà la politica in Calabria, negli ultimi anni è diventata una forma clientelare di controllo sul territorio, nella migliore delle ipotesi. Non ha espresso dei leader grandiosi ma molto trasformismo e, alla base di tutto, – come ha detto Gianni Speranza, già sindaco di Lamezia – c’è questo mostro enorme della regione che distribuisce alti stipendi e una scarsa efficienza ».

Indipendentemente dal colore politico?

«Certo. Io non ho visto una grande differenza. E mi pare che anche la sinistra, che in Calabria ha avuto dei martiri, di cui parlo nel libro, da Rocco Gatto a Peppino Valarioti, a un certo punto, abbia delegato anche la responsabilità della lotta alla mafia alla Chiesa o alle associazioni che si occupano di solidarietà. Perché le più belle esperienze di cui parlo nascono proprio da realtà cattoliche».

E a questo proposito, c’è un capitolo che racconta le due facce della Chiesa calabrese…

«Sì. Quella che ferma la processione davanti la casa del boss e quella che invece fa le battaglie, che non sono mai battaglie ideologiche ma sono impegno sul territorio. Che sono certamente da celebrare».

Il tuo viaggio ha toccato la Calabria dal Pollino allo Stretto. Come hai trovato le infrastrutture? E già che ci siamo, visto che è tornato sul tavolo del dibattito politico: del Ponte sullo Stretto, cosa ne pensi?

«Viaggiare in Calabria in treno, se si ha tempo, è il viaggio più bello. La linea ferrata è tutta sulla litoranea, tranne una parte del crotonese, che si affaccia un po’ nell’ entroterra. Ma qui entra in gioco la misura del tempo, perché ad esempio, da Reggio Calabria a Cariati, che pure non è l’ estremo nord della regione, ci vogliono più di quattro ore. Dunque se guardiamo alle misure della Next Generation EU è chiaro che pensiamo alle infrastrutture che servono, ma quello che manca in Calabria sono le infrastrutture sociali: le scuole, gli ospedali. In una società ideale il ponte potrebbe anche essere la molla, il grande rimbalzo. Aldilà delle problematiche ambientali che ci sono c’è una situazione troppo arretrata in rapporto a quella che dovrebbe essere una grande opera come il ponte sullo Stretto. Prima di arrivare a questa opera bisogna sistemare la ferrovia. Il ponte parte dalla montagna, va prosciugato Ganzirri. Mi pare che prima della enorme opera ci siano paesi da raggiungere e poi non va escluso il fattore criminale. In una situazione del genere lo Stato è in grado di garantire che il fiume di soldi stanziati non finisca tra i guadagni illeciti della criminalità? Infondo, in Calabria sono le opere pubbliche, l’ edilizia e il narcotraffico che da sempre ingrassano le tasche della ‘ndrangheta. Quindi prima del ponte mi aspetterei una maggiore presenza e un maggiore controllo da parte dello Stato e del Governo».

Questo libro è un possibile itinerario per conoscere meglio la Calabria e superare le “superficialità” con cui spesso questa regione viene raccontata?

«Io vorrei tramettere, a chi lo leggerà, la voglia di andare in certi posti e conoscere le persone di cui parlo. Spero di aver fatto un libro che può aiutare le persone, che si interessano finalmente a questa parte dimenticata d’ Italia, a capirla un po’ di più. Anche e soprattutto ora che si avvicinano le elezioni regionali. E poi fornire la lettura, in controtendenza, di storie di persone che sono tornate. Dalla Calabria si parte da centinaia di anni, io racconto che in Calabria si può tornare ».

*Foto in copertina: Murales davanti lo zuccherificio abbandonato a Lamezia Terme

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