Settantasei giorni ci separano dal 1° luglio, data in cui l’assegno unico e universale dovrebbe vedere la luce. L’approvazione della legge delega per l’introduzione dell’Assegno Unico, infatti, è contemporaneamente punto di arrivo e inizio di un percorso: come sarà l’assegno unico e universale dipenderà dai decreti attuativi. Le legge delega prevede un arco di 12 mesi per i decreti legislativi, anche se l’impegno politico è chiaro: l’assegno sarà operativo dal 1° luglio. La riforma interessa il 27,3% dei nuclei familiari italiani. L’unanimità con cui la delega è stata approvata è – rispetto al risultato finale – una promettente premessa: il lavoro da fare però è tanto e va fatto presto e bene.
Le famiglie al momento a dire il vero si fanno principalmente sola domanda: “Quanto sarà l’assegno?”. E al momento la risposta non c'è, dovendolo appunto stabilire i decreti legislativi. Per la simulazione fatta dal Gruppo di lavoro Arel/Feg/Alleanza per l’infanzia sarebbe – con le risorse attualmente stanziate – di 145 euro al mese per ogni figlio minore se l’assegno fosse ad importo fisso per tutti, mentre con un universalismo selettivo si immagina un assegno di 161 euro al mese per ciascun figlio minorenne per tutte le famiglie con Isee sotto 30mila euro; un assegno decrescente fra un Isee che sta tra 30mila e 52mila euro; un assegno di 67 euro al mese per ciascun figlio minorenne oltre i 52mila euro di Isee. Le cifre sarebbero inferiori per i figli maggiorenni. Le risorse stanziate ad oggi ammontano a circa 20 miliardi, di cui 14,2 miliardi reperiti dall’abolizione di istituti esistenti e circa 6 di nuove risorse.
Massimo Baldini è uno dei componenti del Gruppo di lavoro che ha redatto il documento “Sulla proposta di istituzione dell’Assegno Unico e Universale per i Figli (AUUF)", insegna Scienza delle Finanze all’Università di Modena e Reggio Emilia e si occupa principalmente di welfare state, povertà e distribuzione del reddito.
A prescindere dal vincolo delle risorse, quali sono i pro e i contro di un assegno che sia veramente universale anche nell’importo e di uno che invece sia ancora agganciato all’Isee? Non sarebbe davvero finalmente tempo di un cambio di prospettiva radicale, che sganci le politiche per la famiglia dalle politiche per la povertà? Nel vostro lavoro si legge che rispetto all’universalismo «il Gruppo ritiene che la natura dell’istituto richieda un rigoroso rispetto del primo significato, peraltro pienamente accolto dalla Legge delega, che pone tra gli obiettivi la creazione di un istituto universale, rivolto a tutti i nuclei familiari con figli (universalismo non categoriale) e auspica però anche il rispetto della seconda accezione nella misura più ampia possibile».
Nel gruppo di lavoro c’è stata condivisione sugli obiettivi generali della misura, ma anche pluralità di vedute su molti aspetti. Qui mi permetto di esprimere le mie opinioni. La legge delega è compatibile con un “universalismo moderatamente selettivo”, che garantisca a tutti i figli il diritto al sostegno e correli solo debolmente il trasferimento alle condizioni economiche della famiglia, proprio perché le politiche contro la povertà sono altre. È auspicabile quindi che l’importo non si azzeri oltre una certa soglia di reddito o di Isee. Quanto all’aggancio all’Isee, se – come nella nostra proposta – l’assegno sarà costante fino a valori significativi di Isee, gran parte delle famiglie riceveranno lo stesso importo. Ma se invece vi sarà una forte selettività rispetto all’Isee, si rischieranno due effetti negativi: scoraggiare il lavoro, soprattutto femminile, perché quanto più si lavora tanto maggiore diventa l’Isee e basso l’assegno, e scoraggiare il risparmio, perché l’Isee dipende anche dal patrimonio familiare. Sono i rischi della selettività.
La legge delega è compatibile con un “universalismo moderatamente selettivo” proprio perché le politiche contro la povertà sono altre. È auspicabile quindi che l’importo non si azzeri oltre una certa soglia di reddito o di Isee. Quanto all’aggancio all’Isee, se l’assegno sarà costante fino a valori significativi di Isee, gran parte delle famiglie riceveranno lo stesso importo. Ma se invece vi sarà una forte selettività si rischieranno due effetti negativi: scoraggiare il lavoro, soprattutto femminile e scoraggiare il risparmio
Massimo Baldini
Al momento in ogni caso siamo distanti dai 250 euro al mese di cui ha parlato Draghi. Quante risorse in più sarebbero necessarie per dare 250 euro al mese ad ogni figlio, con un universalismo che sia senza categorie ma anche senza selettività?
Oggi non si parte da zero nel sostegno alle famiglie con figli: possiamo valutare in circa 120 euro al mese l’importo mediamente trasferito ad ogni figlio fino a 21 anni, tra assegno al nucleo familiare e detrazione. Con la riforma si passerà a circa 170 euro al mese, per una spesa totale di 20 miliardi all’anno. Facili conti mostrano che l’ulteriore aumento a 250 euro al mese per ogni figlio fino a 21 anni costerebbe altri 10 miliardi circa, una cifra decisamente superiore alle risorse disponibili al momento. Possiamo quindi pensare che i 250 euro a cui Draghi ha accennato una volta siano l’importo massimo per casi particolari ad esempio figli con disabilità e nuclei con molti figli e reddito molto basso.
Quello attuale è un punto di equilibrio che giudica soddisfacente rispetto all’obiettivo dell’assegno unico di supportare le famiglie con figli e ridare fiducia alle famiglie nel mettere al mondo un figlio, anche considerando la necessità che abbiamo di incentivare la natalità?
Sono personalmente piuttosto scettico sul fatto che l’assegno possa incentivare la fecondità. L’obiettivo principale dell’assegno è sostenere le famiglie nella loro scelta di avere figli, evitare che per questo abbiano difficoltà economiche. 50 euro al mese in più aiutano, ma aiuta di più la prospettiva di una carriera lavorativa o avere servizi adeguati che supportino le donne nel loro doppio ruolo di lavoratrici e madri. Il fatto che al Nord – dove c’è più lavoro – si facciano più figli che al Sud ci dice che per un aumento della fecondità è soprattutto centrale la fine della lunga crisi economica italiana. Sarebbe un grande risultato se l’assegno contribuisse a interrompere il calo verticale che negli ultimi anni sta registrando il tasso di fecondità.
Sarebbe meglio evitare di introdurre una clausola di salvaguardia, perché costringerebbe milioni di famiglie ad un doppio conteggio per capire se si guadagna o si perde con il passaggio al nuovo regime, con grandi complicazioni anche per l’amministrazione pubblica. La mia impressione comunque è che la riforma sarà introdotta con gradualità anche per fare in modo che nessuno perda: sarebbe paradossale se qualcuno ci rimettesse, visto che lo Stato investe 6 miliardi in più all’anno.
C’è tra le famiglie grande preoccupazione circa la possibilità di “perderci”: voi avete stimato che il numero dei nuclei che avranno un assegno inferiore alle prestazioni vigenti è piuttosto elevato, circa 1,35 milioni di nuclei, con una perdita annua mediana di 381 euro. Però avete anche evidenziato che le perdite maggiori sono riconducibili a gruppi di famiglie ben precisi: quali? Come gestire importante questo tema? Avete scritto che «se il disegno degli istituti vigenti è poco razionale, è del tutto naturale che una riforma possa produrre “perdenti”. Ciò è inevitabile a parità di vincolo di bilancio; è forse più preoccupante nel caso di una riforma che in media eleva di quasi il 50% l’impegno finanziario e soprattutto se riguarda in misura non irrilevante nuclei in condizione economica modesta». Basta la clausola di salvaguardia?
Si tratta soprattutto di casi particolari e meritevoli di grande attenzione, ad esempio famiglie con molti figli che oggi ricevono più di un trasferimento, o famiglie con disabili. Un’analisi approfondita di questi casi permetterà di disegnare lo strumento in modo da evitare che si verifichino perdite. Anche il passaggio all’Isee potrebbe determinare perdenti, se ad esempio una famiglia di lavoratori dipendenti con reddito medio-basso e molti figli ha patrimonio significativo, che oggi non rileva per ricevere l’assegno al nucleo familiare, ma domani sì se si userà l’Isee. Per questo non va esclusa la possibilità, ammessa dalla delega, di fare riferimento alla sola parte reddituale dell’Isee. Sarebbe meglio evitare di introdurre una clausola di salvaguardia, perché costringerebbe milioni di famiglie ad un doppio conteggio per capire se si guadagna o si perde con il passaggio al nuovo regime, con grandi complicazioni anche per l’amministrazione pubblica. La mia impressione comunque è che la riforma sarà introdotta con gradualità anche per fare in modo che nessuno perda: come lei dice sarebbe paradossale se qualcuno ci rimettesse, visto che lo Stato investe 6 miliardi in più all’anno. La storia delle passate riforme del sistema di welfare italiano ci dice che i nuovi istituti spesso si sono aggiunti ai vecchi proprio per evitare perdenti. Anche per la debolezza della politica, che non si può permettere di creare scontento, neppure in nome di una riforma migliorativa dell’esistente. Si pensi ad esempio al fatto che abbiamo ancora la Social card di 40 euro al mese, malgrado l’introduzione del ben più generoso Reddito di cittadinanza.
Sappiamo che il disegno di una misura – tanto più se così attesa, delicata e gravida anche di significato – è fondamentale per il buon funzionamento della misura stessa e per la sua efficacia, che non dipendono affatto solo dal finanziamento. Sappiamo che correggere ex post gli errori del disegno della misura è sempre più difficile. E abbiamo già visto – per quanto tutti sappiamo che su questa misura siamo già in ritardo – a cosa ha portato la fretta di rendere operativa una misura. Quali sono i punti di attenzione che il vostro gruppo di lavoro consegna come prioritari al Governo in questa delicata fase?
È importante che la misura sia semplice anche nel suo disegno finale e non costringa le famiglie a nuovi oneri burocratici per ottenerla. Va studiato bene il coordinamento con le altre forme di aiuto alle famiglie, in particolare il Reddito di cittadinanza. È opportuno mettere in agenda una riforma complessiva dei trasferimenti ai nuclei con disabili, visto che l’assegno al nucleo familiare attuale interessa molto anche loro e in certi casi non può essere facilmente sostituito dal nuovo assegno unico. Bisogna inoltre semplificare davvero il quadro dei trasferimenti esistenti, sfoltendo la pletora dei tanti bonus moltiplicatisi negli ultimi anni. E coordinare questa riforma con quella che riguarderà l’imposta sul reddito. Infine, quale sarà il destino della contribuzione sociale vigente? Sarebbe equo fiscalizzarla, oppure applicarla anche agli autonomi.
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