Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale a Perugia, ha scritto un altro saggio fondamentale per comprendere il pensiero e il pontificato di papa Francesco. Dopo la sua prima fatica di quattro anni fa pubblicata con Jaca Book (Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale) torna ad offrire spunti di riflessione molto interessanti sempre per i tipi della stessa casa editrice con questo nuovo Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e “ospedale da campo”. Un volume ricco di spunti che, pur addentrandosi nelle dispute della dottrina filosofica e teologica, è molto legato a questo particolare momento della storia. La mancata rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, anche per l’incapacità di gestire un’inaspettata pandemia, ha aperto uno scenario del tutto inedito anche per la Chiesa cattolica. In questo nuovo libro di Borghesi, infatti, il Papato di Roma, prima con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e poi soprattutto con Francesco, è letto dalla prospettiva del dibattito intellettuale e teologico nord americano di oltre oceano, dalla caduta del Muro di Berlino in poi.
Dai presunti “vincitori” della guerra fredda, che avevano proclamato “la fine della storia”. La storia in realtà non finì con quel trionfo del dollaro. Borghesi ricostruisce i tentativi, soprattutto attraverso il movimento teocon dei vari Novak, Weigel e Neuhaus, di egemonizzare e condizionare il cattolicesimo romano e persino il Papato. Leggendo Borghesi si capiscono le radici di quel tentativo di “scisma americano”. Uno scisma che in qualche modo ha trovato una sua clamorosa affermazione negli ultimi anni. Mai nessun Papa di Roma ha avuto infatti tante critiche e tante resistenze in un intero episcopato, come Francesco ha dovuto subire dai Vescovi nord-americani. Perché si è prodotta questa contrapposizione? Quali sono i suoi motivi di fondo? Borghesi nel saggio scopre e analizza una rete di interpretazioni fuorvianti dei pontificati, a cominciare dal palese travisamento dell’Enciclica Centesimus Annus che fa davvero riflettere. Interpretazioni che sono anche costruite su rapporti personali, intrecci di biografie. Ci sono, in certe fasi, intellettuali neanche cattolici, come l’italiano Marcello Pera, che finiscono per apparire gli esegeti del Santo Padre.
Vita ha intervistato il professor Borghesi su questa sua ultima fatica.
Partiamo subito da Papa Francesco. Perché la sua linea di una Chiesa in uscita, dell’ospedale da campo, è così combattuta dalla gerarchia cattolica degli Usa?
La Chiesa americana sembra, in larga misura, non avere le antenne per percepire la prospettiva di Francesco. E questo nonostante il viaggio di Francesco negli Usa del 2015 sia andato molto bene. Occorre allora chiedersi: perché? Perché parte dell’establishment cattolico statunitense non possiede le coordinate per intendere il Papa? Dipende da Bergoglio o dagli americani? Nel mio volume analizzo i motivi di questa distanza e li riconduco al formarsi di un’ideologia cattolica conservatrice, portata avanti da intellettuali come Novak, Neuhaus, Weigel, Sirico, che, nell’arco di 40 anni, dalla presidenza Reagan in avanti, si è imposta nel cattolicesimo statunitense. Si tratta di un “americanismo cattolico” che, nella sua critica al progressismo degli anni ‘70, sposa il modello capitalistico con le battaglie etiche contro la secolarizzazione, l’apologia del mercato senza restrizioni e la lotta contro l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio gay. Nasce una nuova figura di cattolico, il «cristianista» lucidamente diagnosticato da Lucio Brunelli in un articolo su Vita magazine del 2001. Per esso si produce una metamorfosi del cattolicesimo che da missionario e aperto al dialogo diventa identitario e conflittuale, da sociale diventa efficientista ed imprenditoriale, da comunitario diventa individualista e burocratico, da pacifico si fa bellicoso, da cattolico e universalista diventa occidentalista. Si tratta di una posizione singolare che unisce lo spirito militante e manicheo al conformismo borghese. Per questa posizione la linea del Papa, espressa nel suo manifesto Evangelii gaudium, appare ostica ed incomprensibile. Francesco rimette in discussione i due postulati della posizione teocon: l’agenda etica e l’adesione al capitalismo. Da un lato chiede ai cattolici di uscire dal ghetto, dalla fortezza in cui si sono blindati dopo la caduta del comunismo. Chiede loro di sporcarsi le mani, di prendersi a cuore le sorti del mondo, di portare la mite umanità del redentore a tutti e questo non sotto l’insegna di vessilli guerrieri ma attraverso gesti di tenerezza. Dall’altra parte contesta duramente un modello economico, quello dell’era della globalizzazione, che con la sua religione del mercato ha abolito legami e tutele sociali, ha declassato la classe media, ha creato milioni di nuovi poveri. Questo dal punto di vista degli intellettuali teocon è inammissibile. Dalla loro reazione nasce la leggenda del Papa “rosso”, peronista, populista.
Se i “nord americani” (monsignor Viganò, ex Nunzio, ha chiesto le dimissioni del Papa) sono in prima linea nell’attacco al Papa, ci sono anche frange progressiste, che lo criticano, secondo le quali il pontificato sarebbe già in declino…
La critica dei progressisti è cosa più recente. In questi anni lo hanno sostenuto pensando che avrebbe “rivoluzionato” la Chiesa. Sono rimasti delusi quando hanno compreso che su certi temi questo Papa rimane fermo nella custodia della tradizione. È il caso della ordinazione delle donne o degli uomini sposati. I progressisti hanno commesso lo stesso errore dei tradizionalisti: hanno immaginato un Papa che non esiste. Francesco non è certamente un conservatore, è un Papa missionario e sociale: questa è la sua fisionomia. I reazionari scambiano per progressismo ciò che è dettato da spirito missionario. Una prospettiva missionaria non può accettare una Chiesa immobile, chiusa sulla difensiva. Auspica una Chiesa in uscita che mira all’essenziale, a ciò che nel messaggio cristiano attrae maggiormente, fuori da molti divieti che sono solo il frutto di scelte storiche dettate da circostanze particolari. Il gesuita missionario si fa tutto a tutti per conquistare tutti all’amore di Cristo.
La cronaca di queste settimane con il viaggio di Papa Francesco a Baghdad, dedicato come lui stesso ha detto a San Giovanni Paolo II, ha ricordato a tutti noi la potenza profetica di Woytjla che non volle in alcun modo “battezzare” la guerra in Irak. Né Nel 1990-1991, né nel 2002, dopo l’undici settembre. Giovanni Paolo II “salvò” allora la Chiesa dall’identificazione con l’Occidente e si sottrasse al tentativo di strumentalizzazione da parte dei pensatori che lei analizza nel suo volume: Michael Novak, in primis, e poi anche Weigel e Neuhaus…
Sì l’americanismo cattolico si era proposto, negli anni ‘90, come l’interprete ufficiale, negli USA, del messaggio sociale di Giovanni Paolo II. Poi nel 2003, di fronte alla guerra senza giustificazioni contro l’Iraq, i pensatori teocon optarono con forza per il presidente Bush contro il Papa. I papisti erano americanisti e la guerra mostrava con assoluta evidenza dove batteva il cuore. Novak, Weigel, Neuhaus tentarono in ogni modo di persuadere il Vaticano e Roma della bontà di una guerra che avrà come risultato migliaia di morti, la distruzione di un Paese, l’esodo biblico della storica comunità cristiana irakena dalle terre di Ninive e di Babilonia. Un errore gravissimo, mai riconosciuto, che meglio di ogni altro argomento consente di porre in luce l’ideologia teocon.
In quei discorsi teo-con veniva sempre citata la Centesimus Annus, ma in realtà quella enciclica rispettava la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, che continuava ad avvertire tutti i rischi del capitalismo…
Nel mio volume descrivo l’operazione Centesimus Annus. Quando Giovanni Paolo II la pubblica, nel 1992, subito dopo la caduta del comunismo, il Papa intende proporre un modello sociale fondato sulla dignità del lavoro. L’enciclica non è affatto tenera verso il modello capitalistico che critica e corregge in modo sostanziale, e ciò in perfetta continuità con la Dottrina sociale dei suoi predecessori. Con un’operazione abilissima Novak, Neuhaus e Weigel non esitano ad “impadronirsi” del testo offrendone un’ermeneutica palesemente deformante. La loro lettura è che il Papa polacco avrebbe offerto, per la prima volta nella storia della dottrina sociale, la piena riconciliazione tra cattolicesimo e capitalismo, conciliazione già offerta da Novak nel suo volume Lo spirito del capitalismo democratico del 1982. Il Papa avrebbe rotto, in modo profondo, con la tradizionale Dottrina sociale. L’ermeneutica neocon riesce, incredibilmente, ad affermarsi e da qui nasce la leggenda della Centesimus Annus come enciclica del capitalismo. Grazie a questa operazione il filone dei Neoconservative diviene egemone nella Chiesa USA e, poi, in quella europea.
È molto interessante nel suo saggio il riferimento al lavoro di David Schindler, professore di Teologia fondamentale all’Istituto Giovanni Paolo II di Washington e co-direttore della rivista Communio, che fu cruciale nella critica serrata agli ideologi teocon, in difesa della linea Balthasar-De Lubac-Ratzinger. Un lavoro poco conosciuto in Italia anche perché poco tradotto…
Dalla metà degli anni ‘80 alla metà dei ‘90 si svolge, negli Stati Uniti, un dibattito intellettuale tra i più interessanti in seno al mondo cattolico. Da un lato abbiamo il trio teocon, con Novak-Neuhaus-Weigel, e dall’altro David Schindler. Le riviste Communio e 30 Days sono il terreno della disputa. Il tutto prende avvio da una intervista che il cardinal Ratzinger rilascia a Lucio Brunelli nel 1986 per 30 Giorni. In essa il Cardinale stigmatizzava il volto borghese dell’America reaganiana. Un’accusa che dal punto di vista della nascente corrente teocon non poteva essere tollerata. Nella sua replica Weigel teorizza il volto “cristiano” dei valori americani e critica la prospettiva di Ratzinger accusandola di cedere alla posizione progressista. Nelle sue risposte Schindler obietterà che il dualismo teologico di Weigel, tra naturale e soprannaturale, era diretto responsabile della consacrazione del volto borghese dell’America. Il cattocapitalismo era il risultato di un processo di secolarizzazione teologicamente giustificato. Il tomista “agostiniano” Schindler obiettava al tomista “cartesiano” Weigel di promuovere un dualismo sistematico tra fede e storia, tale per cui la fede non era più il lievito nella pasta ma solo il corollario di un mondo che camminava con le proprie gambe e non aveva bisogno di alcun “surplus”. La teologizzazione del capitalismo e dei suoi valori individualistici, non solidaristici, operata dai neocon era l’esito necessario di una posizione teologica inadeguata dimentica della novità cristiana nella storia.
Lei sostiene una tesi, che ricordo espressa dal grande Augusto Del Noce proprio prima della sua morte: per Giovanni Paolo II e la Chiesa, dopo la caduta del muro di Berlino, la sfida diventava quella di un’autentica teologia della liberazione senza marxismo: la strada che indicò Alberto Methol Ferré e che diventò il sogno dello stesso Bergoglio, quand’era a Buenos Aires…
L’avversario storico della Chiesa, dal 1945 in avanti, è stato il comunismo. La presenza dell’avversario stimolava la dottrina sociale e l’impegno dei cattolici sul terreno della giustizia e della lotta alla povertà. Con la caduta del comunismo questo impegno si riduce e la Chiesa si chiude, si avvita in un clericalismo amante dell’ordine e del potere. Si tratta dell’ “introversione ecclesiale” di cui parla spesso Francesco. La Chiesa da un lato si blinda di fronte al mondo della secolarizzazione avvertito come estraneo e nemico e, dall’altro, si concentra sulle proprie dinamiche interne dimenticando missione ed impegno sociale. Per questo Alberto Methol Ferré, il grande intellettuale uruguayano amico del cardinal Bergoglio, affermerà nel 2006, nel suo libro-intervista con Alver Metalli Il Papa e il filosofo, che: «In un certo modo l’ “evaporazione” della teologia della liberazione ha diminuito la spinta dell’insieme della Chiesa latinoamericana ad assumere la condizione dei poveri con coraggio. Credo che la Chiesa stia pagando lo scotto di essersi liberata troppo facilmente della teologia della liberazione. La teologia della liberazione avrebbe dovuto portare il suo massimo apporto dopo la caduta del comunismo, non spegnersi con il marxismo. Oggi è urgente supplire alla sua assenza». Per Methol Ferrè occorreva, come lei diceva, una teologia della liberazione senza marxismo. I teocon, al contrario, devono il loro successo in larga misura proprio al fatto che, in America Latina e nell’Europa dell’Est, sono divenuti i cantori di una teologia del capitalismo. Così nell’opposizione tra teologia del capitalismo e teologia del comunismo la Chiesa ha dimenticato la Dottrina sociale, la stessa che il Papa oggi ripropone e che tanta reazione provoca in un mondo cattolico abituato, da anni, a magnificare una teologia del benessere dimentica dei poveri del mondo.
Lunedì 22 marzo alle 21.15 l'Associazione Newman organizza una presentazione del libro di Massimo Borghesi via youtube e zoom. Con l'Autore ne parlerà Mattia Ferraresi, giornalista del Domani, a lungo corrispondente dagli Usa per Ansa e Il Foglio e autore di libri sulla vita pubblica americana. A coordinare il dibattito Alessandro Banfi.
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