Angelo Miotto

«Siamo tutti disabili, rimettiamo al centro della discussione la fragilità»

di Anna Spena

Neanche il Coronavirus ha potuto fermare il Festival dei Diritti Umani, che va in scena dal 5 al 7 maggio in live streaming, e quest’anno è dedicato alla disabilità. «L’emergenza che stiamo vivendo», dice Angelo Miotto, responsabile della comunicazione del Festival, «ci fa riflettere sulla condizione di chi è isolato ed emarginato, come spesso accade alle persone disabili, ci dimostra che quando non si tutelano i diritti dei più fragili finisce in tragedia, e penso alle RSA. Quindi il messaggio che lanciamo è preciso: laviamoci le mani, non la coscienza. È anche su questa consapevolezza che si poggia il desiderio del Festival di “esserci a tutti i costi”»

“Semplicemente Stephen”. “Semplicemente Ludwig” e poi ancora Frida o Vincent. Questi non sono nomi a caso ma di grandi personaggi che hanno cambiato la storia e lasciato un segno. Ognuno di loro aveva una qualche forma di disabilità, ma nessuno li ricorda per quello. Per la quinta edizione del Festival dei Diritti Umani, in scena dal 5 al 7 maggio in live streaming a causa dell'emergenza Coronavirus, dedicata alla disabilità, è stata lanciata una campagna social con gli hashtag #tuttiabilie #nessunodisabile, un invito a riflettere e a rovesciare i luoghi comuni, partendo “semplicemente” dal nome di questi personaggi e non dalla disabilità che si portavano dietro. Stephen Hawking, fra i più autorevoli fisici teorici al mondo, aveva la sclerosi amiotrofica.Ludwig Beethoven, genio della musica, era sordo. Magdalena del Carmen Frida Kahlo Calderón, poliomelitica e dopo un tragico incidente con diverse infermità è l’emblema dell'arte messicana indipendente.Vincent Van Gogh dipinse 900 quadri, i medici hanno definito i suoi disturbi mentali come un insieme fra epilessia e allucinazione che lui chiamava “vertige”.

«La comunicazione social è importante », dice Angelo Miotto, responsabile della comunicazione del Festival dei Diritti Umani, «È qui che cerchiamo di intercettare i giovani, che sono il target che vogliamo raggiungere. È principalmente con loro che dobbiamo parlare di diritti. E ancora di più dobbiamo farlo oggi, perché l’emergenza Coronavirus ci fa riflettere sulla condizione di chi è isolato ed emarginato; quando non si tutelano i diritti dei più fragili può finire in tragedia, pensiamo al caso delle RSA. Quindi ilmessaggio che lanciamo è preciso: laviamoci le mani, non la coscienza: un messaggio che ci parla dei diritti e della pandemia, ma ci invita anche a non dimenticare che nel contagio globale assistiamo ancora a tanti casi, troppi, di negazione dei diritti per mano di dittatori, mafie, multinzionali.

È anche su questa consapevolezza che si poggia il desiderio del Festival di “esserci a tutti i costi”.Per tutti noi che lo organizziamo questo Festival è una chiamata, parlare di diritti è una responsabilità».

Una ruota e uno sgabello, il ready made dell’artista Marcel Duchamp è l’immagine simbolo della quinta edizione del Festival, qual è la ragione dietro questa scelta?
L’immagine ci dice una cosa che pare complessa, concettuale, e invece è così semplice. Vedete uno sgabello. Con sopra una ruota. E però è un unicum, uno sgabello con ruota, quello che alla fine si percepisce. Poco più di cent’anni fa, Marcel Duchamp fu uno dei protagonisti di una operazione artistica di rottura con gli schemi e i preconcetti del linguaggio convenzionale. Il ready made che mostra una ruota su uno sgabello per noi è la volontà di portare le persone a riflettere sulla trasversalità della dicotomia abile/disabile. La “Ruota” di Duchamp ci invita, prima di tutto, a rompere la convenzione, a non dare nulla per scontato, a lasciarci stupire: perché se ribaltiamo il punto di partenza, non ci resta che riconoscere che siamo tutti abili, e nessuno è disabile.

Vi siete trovati davanti due opzioni, rimandare il festival o, con le difficoltà del caso, reinventarvi, in poco tempo, un’edizione nuova tutta in live streaming.
Non è stata una decisione facile. Rimodulare tutto il lavoro svolto nei mesi precedenti; avevamo immaginato un festival ricco di voci, fisicità, luoghi diversi. Ma non potevamo non mantenere l’impegno preso con il pubblico con il tema scelto per quest’anno: la disabilità. Per questo ci saremo, con un programma (qui il programma completo) in live streaming, che ptorete vedere sul nostro sito (www.festivaldirittiumani.it) o sulla nostra pagina Youtube e ovviamente sui nostri social, Facebook e Instagram. Per vocazione parliamo ai giovani e alle scuole e quindi il nostro target frequenta principalmente quelle piattaforme. Sarà una tre giorni davvero ricca.

Un Festival sui Diritti Umani non può non legarsi all’attualità. E in questi giorni l’emergenza che ci accomuna tutti è quella legata al Coronavirus.
Sul nostro sito e sui nostri social, tra i vari contenuti, è stato pubblicato il video di Gianluca Costantini, attivista per i diritti umani, che ha messo spesso il suo talento grafico al servizio di importanti cause umanitarie, per lanciare un messaggio preciso: laviamoci le mani, non la coscienza. E poi siamo tornati sempre con le illustrazioni animate di Gianluca Costantini a parlare di disabilità, e anche lì affrontiamo il rapporto disabilità/pandemia. Ecco perché abbiamo voluto esserci a tutti i costi, perché è un momento importante per riaffermare che ci vuole una nuova consapevole attenzione verso gli altri, verso i più deboli.

In che senso?
La nostra attenzione verso l’altro è troppo bassa. E non parlo solo di chi ha disabilità motorie o psichiche. Lo penso in generale perché la disabilità, meglio la fragilità, prima o poi, ci riguarderà tutti, perché tutti invecchieremo. Diventeremo fragili nella nostra condizione di anzianità. Ma è incredibile come una condizione così universale, al giorno d’oggi, sia stata rimossa da ogni discussione. In questo festival il tema della salute pubblica sarà forte, centrale.

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Quanti diritti sono stati violanti in questa emergenza
Troppi. Penso alle RSA. Ma a chi poteva venire in mente di mandare delle persone con Covid19, persone malate, dentro una struttura che ospita persone fragili, gli anziani? È evidente che siamo davanti a una negazione dei diritti clamorosa. Chi fa politica dovrebbe essere ben più consapevole del momento sociale che stiamo vivendo. Non c’è solo bisogno di politiche nuove, ma di gruppi di studio in grado di costruire case e città accessibili per i disabili e per tutta la popolazione che sta invecchiando. Perché la solitudine, la mancanza di relazioni sociali è la prima discriminazione che possiamo registrare oggi. E dopo 50 giorni di isolamento ce ne stiamo accorgendo tutti, le relazioni digitali lasciano il tempo che trovano. Tutti abbiamo bisogno di fisicità.

Come invertiamo il luogo comune della disabilità?
Lo slogan del festival di quest’anno è “da vicino nessuno è disabile”, un messaggio che gioca con le parole di Basaglia e il concetto di normalità. Adesso è evidente che non sarà uno slogan a eliminare la disabilità, ma essa stessa non può neanche essere la misura con cui si analizzano le cose. Basta far sentire le persone disabili degli eterni bambinoni, basta con una certa maniera buonista. Se la politica è vacua la cultura non può esserlo, anche per questo facciamo un Festival: per raccogliere testimonianze, informazioni, diffondere appunto consapevolezze.

Torniamo ai diritti negati. Qualcuno ha blaterato sull’immunità di gregge
È quasi stupefacente come questa questione sia stata banalizzata. L’immunità di gregge presuppone che tu debba lasciare per strada diverse persone, quelle più deboli. Mi chiedo ancora se sia possibile che in un sistema cosiddetto democratico si possa pensare una cosa così grave. Anche di questo parleremo durante il Festival.

Non ci sono politiche di welfare adeguate?
Il welfare non può essere inteso solo come una rivendicazione politica. Ma al contrario deve essere “qualcosa di normale” che permette a tutti di accedere e mantenere una buona salute, il benessere personale e collettivo, e questo indifferentemente dall’essere disabili o meno, dal reddito, o dal trovarsi in una condizione di fragilità come le persone più anziane. Il welfare non può essere sempre “qualcosa da tagliare”, non è un costo. È al contrario qualcosa da cui ripartire, un investimento, se si vuole davvero costruire un modello nuovo, diverso.

Qui tutte le informazioni per seguire il festival

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