Niccolò Agliardi

L’affido è un patto di lealtà

di Anna Spena

“Per un po’ – storia di un amore possibile” è il racconto dell’esperienza dello scrittore che diventa padre affidatario. «L’affido», dice, «è l’unione difficilissima tra due estranei. E il richiamo della famiglia biologica è un bisogno primitivo che si deve rispettare»

Niccolò Agliardi è proprio un papà. E come tutti i genitori ha capito di esserlo proprio quando i suoi figli gli sono capitati tra le mani. Poco importa se li ha incontrati quando erano già nel pieno dell’adolescenza. Se non hanno i suoi occhi. Il suo odore o i suoi modi. È un papà perché dei suoi figli si vanta “sono le mie stelle, e hanno un cuore gigante”. Dei suoi figli si preoccupa “sono felice quando li vedo che si addormentano sereni”. Con i suoi figli vive il presente, una quotidianità fatta di “disordine, caos e lavatrici”.

Niccolò Agliardi, autore e cantautore, come dicevamo è un papà e il fatto che sia un genitore affidatario non leva niente a questa nuova condizione che lo ha travolto due anni fa quando in casa è arrivato il primo figlio. Un ragazzo di 18 anni che poi è diventato Federico che è diventato il protagonista del suo libro “Per un po’ – Storia di un amore possibile” edito da Salani, nato dall’esperienza di affido fatta insieme alla Fondazione l’Albero della vita.

Come sei diventato padre?
Voglio essere molto onesto. Per una serie di circostanze lavorative mi sono trovato a contatto con la Fondazione l’Albero della Vita, che mi ha aiutato a completare una puntata di un programma al quale stavo lavorando, proprio sul tema dell’affido.

Mi aveva talmente colpito quella storia che mi sono interessato al tema e ho fatto un corso per diventare genitore affidatario. Ma dentro di me non c’era la volontà seria di diventare padre. L’ho fatto più per curiosità. Quando poi mi si è presentata davanti la possibilità di accogliere un ragazzo non ho saputo dire di no, e per fortuna. Quando la sorte e le circostanze della vita ti propongono un’unione così spericolata forse è difficile dire no. All’improvviso si diventa consapevoli e bisogna essere pronti a diventare genitori. E soprattutto bisogna avere molta fede, in senso laico, in quello che si sta facendo. Perché se non ci credi è un disastro. L’affido è l’unione difficilissima tra due estranei che si presume diventino una famiglia.

Come si convive con la temporaneità dell’essere genitori, non ti spaventa?
Io ho avuto tanta paura e ho tante paure. Ma non della temporaneità. Mi ha spaventato di più la possibilità di non essere in grado di gestire le cose, di non essere all’altezza dei miei figli, di non sapere come fare. All’inizio mi chiedevo spesso: “E se poi un giorno mi accorgo che quello che sto facendo è arrivato solo da un moto di generosità di cui poi potrei pentirmi?”. Non credo ci sia neanche tanto tempo per pensare alla temporaneità: tu diventi genitore. Devi pensare alla scuola, a lavare le lenzuola, a discutere di come si sta a tavola, a ricordare ai tuoi figli di lavarsi i denti. Non è il pensiero che un giorno potrà finire che ti attanaglia. Ma la quotidianità della quale devi essere all’altezza.

Che significa “essere idonei” all’affido?
È un concetto labile e nebuloso. Adesso per esempio l’Albero della Vita l’ha trasformato in “essere pronti”. Credo comunque che nessuno sia mai realmente idoneo. All’accoglienza, appunto, si è pronti. L’idoneità sta nel fatto che vieni scannerizzato, seguito da psicologi ed educatori che alla fine dichiarano che sei pronto. Per essere un genitore affidatario devi avere la testa, puoi passare le giornate ad improvvisare ma non puoi essere un improvvisato. Perché un genitore sbaglia – e sbaglia tante volte – ma quegli errori devono essere risolti in tempi record. Devi essere capace di sistemare il tiro. Credo che forse a noi genitori affidatari ci dichiarino idonei per questo, perché ci viene riconosciuta una capacità, ancora prima di una qualità, che è quella di saper ricalcolare. Durante la giornata stiamo lì più e più volte a ricambiare tutto mentre cerchiamo di arrivare a destinazione, e nel frattempo pure la destinazione la dobbiamo cambiare spesso.

Nel libro parli anche della rabbia. Ecco come sei riuscito a rapportarti alla rabbia dei tuoi figli adolescenti?
Prima di tutto devi rapportarti alla tua di rabbia. Succede che ti domandi “ma chi me l’ha fatto fare?”, “perché mi ritrovo questo esserino che non ha il mio odore, i miei modi e si scaglia contro di me con tutta la sua rabbia anche se quella rabbia non la merito?”. Quindi per essere genitori affidatari bisogna imparare a sostenerla quella rabbia. E poi anche il dolore, la sofferenza. Insomma tutti quei sentimenti meno nobili. È un incastro continuo tra zone d’ombra e zone di luce.

Cosa rappresentano per te i tuoi due figli?
Sono le mie stelle. Adesso in casa siamo tre maschi e mangiamo insieme, ci aspettiamo, discutiamo. Vedo la loro serenità crescere e sono felice. Io sono stato fortunato, sono due ragazzi dal cuore gigantesco e rispettosi della vita nonostante siano in credito con il mondo.

Non ti fa paura il futuro, e ancora di più non ti fa paura un futuro senza di loro?
Il futuro mi fa paura spesso. Ma ho imparato il potere del presente. Io sono uno che per carattere, come tutti gli ansiosi, ha spesso timore di quello che verrà. Ma la mia famiglia e i miei figli mi hanno insegnato a stare nel presente e vivere il presente ti elimina una quota di angosce. Perché come dicevo prima le lavatrici le devi fare oggi… non domani. La quotidianità è piena, e non la si può rimandare pensando alle conseguenze del futuro.

L’affido in una parola?
Magia. Dove non conosci il trucco ma ad un certo punto accade.

Non hai mai paura, o non sei mai geloso, della relazione che i tuoi figli hanno con i genitori biologici?
Nessuno dei due ha un papà presente e tutti e due hanno la mamma in una situazione delicata. Parliamo di loro, ma non sono l’argomento principale dei nostri discorsi. Io non mi sottraggo mai comunque. Mi chiedi se ho paura o sono geloso…Ma la premessa dell’affido è proprio quella cosa lì. E io non posso essere geloso di un bisogno primitivo perché conosco la mia famiglia biologica, conosco il legame con mio padre, conosco il legame con mia madre. Io sono un papà affidatario e devo mantenere un patto di lealtà: i miei figli, prima di essere i miei figli, sono di altri uomini e donne che non hanno avuto la possibilità di tenerli con loro. Quindi bisogna sempre rispettarlo quel dolore, che poi è il dolore di tutti.

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