L’unica cosa che sembriamo saper dire è “gli zingari non li vogliamo”. Ci crogioliamo nel luogo comune de “le zingare rubano i bambini”. Ma cosa sappiamo davvero della comunità più perseguita d’Europa? Abbiamo parlato con Laura Corradi, ricercatrice e docente presso l’Università della Calabria. Traveller, attivista e studiosa, è impegnata nei movimenti femministi, queer, antirazzisti ed ecologisti. Si laurea a Padova in Scienze Politiche e consegue un Ph.D. in Sociologia alla University of California di Santa Cruz, dove insegna Feminist Theory e Sociology of Sexualities. La Corradi ha pubblicato con Mimesis Edizioni “Il femminismo delle Zingare”, dove capitolo dopo capitolo vengono smontati i luoghi comuni e i costrutti mentali che si sono tramandati secolo dopo secolo.
Laura Corradi affronta un fenomeno sociale poco conosciuto in Europa e quasi inesistente in Italia: il femminismo delle donne rom, gitane e traveller. Le zingare appartengono alla più grande minoranza d’Europa, perseguitata nel passato ma anche nel presente. L’attenzione dell’autrice è posta sulle soggettività che producono saperi e lotte contro il sessismo, il classismo, la rom-fobia, le forme di anti-zingarismo sociale e istituzionale – che non accennano a diminuire –, puntando al rispetto culturale nel superamento di patriarcato e omofobia nelle comunità. Il volume offre una brillante analisi delle ricerche sociologiche recenti che documentano diverse forme di oppressione multipla, ma anche agency politica e attivismo di genere in queste comunità nei vari paesi europei.
Il femminismo delle zingare prende in considerazione il punto di vista e le sfide delle attiviste zingare come protagoniste attive della narrazione di una storia non ancora raccontata.
Com'è nata l'idea del libro?
Mentre lavoravo ad un quaderno dell'UNAR dal titolo 'Donne Rom' mi sono resa conto della presenza di soggettività femministe sparse in giro per l'Europa: le rom nei paesi dell'est, le gitane nella penisola iberica, le traveller irlandesi … lingue diverse, ma tutte impegnate contro l'antizingarismo e il patriarcato – quindi mi sono impegnata a creare un testo che mettesse in comunicazione queste realtà distanti geograficamente ma vicine politicamente, mettendo in luce le commonalità, oltre che le differenze. L'ho scritto in inglese, perché avesse maggiore diffusione, ma ora è pubblicato anche nella nostra lingua sperando che questo libro sia di ispirazione per i movimenti femministi e antirazzisti in Italia, e per le molte rom attiviste di genere che in Italia si battono contro la rom-fobia e per il superamento delle discriminazioni sessiste e razziste.
Nell'immaginario collettivo il femminismo non esiste nelle comunità rom, perché abbiamo questa visione sbagliata?
Per tre motivi. Il primo è che nella comunità gagè (non-rom) sopravvivono pregiudizi riguardo una presunta 'arretratezza culturale' delle persone rom: in realtà si tratta della forma specifica che il patriarcato ha assunto in queste comunità a lungo perseguitate (i primi editti anti-gypsy risalgono al 400 in Inghilterra – venivano chiamati così perchè si pensava fossero 'egyptians', egizi …). Credo dobbiamo imparare a distinguere fra tradizioni culturali e oppressione patriarcale – ad esempio la violenza sulle donne non è un dato culturale specifico delle comunità rom, come qualcuna aveva sostenuto, ma è una espressione del patriarcato (ovunque nel mondo, e nessuna società ne è esente). Il secondo motivo è che le femministe rom hanno forme espressive che non ricalcano quello delle donne occidentali – è un fenomeno che si sviluppa in maniera carsica, sotterranea, anche se talvolta nell'est europeo ci sono state manifestazioni, questo è un femminismo che ha molto in comune con quello delle donne di colore, nei paesi del sud del mondo, e indigene/aborigene – nel senso che è un femminismo che cerca di combinare la lotta contro il patriarcato con la lotta per il riscatto culturale e sociale delle proprie comunità. Il terzo motivo è che il femminismo rom sta facendo molta fatica ad affermarsi: come sostiene la femminista rom Diana Elena Neaga, le donne rom spesso vivono una 'condizione di impossibilità' dovuta a estrema povertà e isolamento dal resto della società: fino a quando manca la garanzia della sopravvivenza, come possono affermarsi le rivendicazioni di genere? È chiaro che un potenziamento sociale ed economico delle donne nelle comunità rom è la chiave di volta per il superamento dell'oppressione patriarcale, che colpisce anche i giovani uomini rom che non si conformano ai modelli di maschilità dominante.
Perché da un punto di vista storico e sociale quella Rom è la comunità più perseguitata d'Europa?
A causa dell'ignoranza. Se la gente venisse istruita sulla storia, saprebbe che le comunità rom in Europa sono state decimate dal nazi-fascismo – e che avrebbero dovuto essere risarcite, ma non lo sono state nemmeno moralmente, al contrario del riconoscimento che è stato dato al popolo ebraico – per le ingiustizie subite, per l'etnocidio, per le immani sofferenze a loro arrecate. Quando si parla di Olocausto si omette ancora il Porrajmos che ha riguardato le comunità zingare, portate nei campi di concentramento e mandate alle camere a gas. La persecuzione non è terminata dopo la guerra, e l'antizingarismo è ancora l'unica forma di razzismo socialmente accettata in europa. Le istituzioni europee hanno una grave responsabilità in tutto ciò, nell'aver reso ancora più vulnerabili comunità già vessate nei secoli. La persecuzione delle popolazioni rom ha anche una sua 'utilità politica': per chi gestisce il potere politico ed economico, avere un comodo capro espiatorio a portata di mano, un gruppo sociale su cui veicolare la rabbia della gente, è molto utile in tempi di crisi … L'attenzione viene dirottata dai veri responsabili di politiche che hanno portato il nostro paese sull'orlo del crollo finanziario ed ecologico – creando disoccupazione, mancanza di case e servizi – per essere scaricata su gruppi che non hanno voce politica … In altre parole si fomenta la guerra tra poveri – mentre il creemy layer, lo strato cremoso dei ricchi, dei potenti e dei corrotti continua a difendere i propri privilegi in maniera ancora indisturbata.
L'antizingarismo è così sentito solo in Italia o è presente anche in altri paesi d'Europa?
L'Italia è uno dei paesi additati più volte dalle autorità europee per l'antizingarismo di questi anni – in particolar modo fomentato dalle istituzioni, da certi media, e da uomini politici che amano mostrare i muscoli – e hanno tutto l'interesse a fare delle politiche anti-gitane e della rom-fobia un cavallo di battaglia, per distogliere l'attenzione dai veri problemi. Anche la costruzione di eventi mediatici come il clamoroso sfratto di un gruppo di zingari ricchi rientra in questa strategia di indirizzamento del disagio e della rabbia popolare lontano dai responsabili. Ma il fenomeno c'è anche in altri paesi europei dove, con l'avanzata delle destre xenofobe e razziste, le comunità rom sono sotto attacco e ci sono state manifestazioni nell'est dove si gridava 'gypsies to the gas' …
Quali sono i principali gruppi associativi di donne Rom?
Ne fornisco molti esempi nel mio libro, ma essi non sono esaustivi: mi sono limitata alle lingue che parlo – ci sono anche coordinamenti internazionali di gruppi di donne rom di diverso orientamento politico – e c'è una femminista rom Soraya Post che è stata eletta nel parlamento europeo come membra del partito scandinavo Feminist initiative. In Italia c'è l'associazione Romnì con sede a Roma, fondata da Saska Jovanovic, diventata famosa con la campagna 'Sposati quando sei pronta' – che magari alle femministe bianche non sembra una grande rivendicazione, ma invece è una istanza radicale, che va alle radici del potere patriarcale – mettendone in discussione una prerogativa chiave – e dando alle ragazze la possibilità di continuare legittimamente i propri percorsi di studio. Sta sbocciando una Primavera Rom in Europa, e le ragazze sono le principali protagoniste.
Laura Corradi, ex operaia, traveller, attivista e studiosa, è impegnata nei movimenti femministi, queer, antirazzisti ed ecologisti. Si laurea a Padova in Scienze Politiche e consegue un Ph.D. in Sociologia alla University of California di Santa Cruz, dove insegna Feminist Theory e Sociology of Sexualities. Attualmente ricercatrice e docente presso l’Università della Calabria, si occupa di studi di genere e metodo intersezionale e di sociologia della salute e dell’ambiente. Le sue pubblicazioni si possono trovare sul sito bodypolitics.noblogs.org
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