Si può essere soli e allo stesso tempo iperconnessi? Immersi in un mondo di relazioni virtuali che non compromettono il corpo? Sembrerebbe di sì. Oggi gli adulti hanno paura di vedere i giovani assuefatti dalla rete, da internet. Capaci solo di confrontarsi con videogiochi e social network. Ma è veramente cosi? Quanto ancora oggi tiene la distinzione tra mondo reale e mondo virtuale?
Abbiamo chiesto allo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, che ha curato il libro “Il Ritiro sociale negli adolescenti – La solitudine di una generazione iperconnessa”, edito da Raffaello Cortina Editore, di fare chiarezza. Ci ha restituito una visione chiara del fenomeno e del ruolo della società, della famiglia e della scuola nel nuovo contesto che stiamo vivendo.
Com’è nato il libro?
Questo libro è il frutto del lavoro di un’équipe che da circa quindici anni si interessa di giochi, affetti e relazioni adolescenziali in Internet; di come l’avvento di quelle che, all’epoca delle nostre prime riunioni, erano definite “nuove tecnologie” e “comunicazioni mediate tecnologicamente” abbiano modificato il modo di attraversare l’infanzia e di interpretare l’adolescenza; di come le esperienze virtuali sostengano la realizzazione dei compiti di sviluppo adolescenziali o segnalino la crisi evolutiva, una condizione di stallo, di disagio o dipendenza. Un’équipe che ha sempre affiancato il lavoro di ricerca e quello clinico, così come avviene da sempre nella tradizione dell’Istituto Minotauro. Abbiamo così iniziato con le indagini sulla fisiologia dell’utilizzo adolescenziale di device e relazioni virtuali, proseguendo con ricerche sulla dipendenza, interessandoci inevitabilmente del fenomeno dei ritirati sociali, con il contributo anche di antesignane tesi universitarie sul fenomeno degli hikikomori giapponesi e sulle più evidenti similitudini, e differenze, rispetto al ritiro sociale dei giovani italiani.
Perché sono così importanti le relazioni digitali per le nuove generazioni?
La prima cosa che cerchiamo di fare in questo libro è distinguere l’uso adattivo che i giovani fanno delle nuove tecnologie e di internet con quello degenerativo che poi può sfociare in una dipendenza. Anche se, ad oggi, non è stata ancora ufficialmente diagnosticata una “dipendenza da internet”.
In che senso “uso adattivo”?
L’uso di internet può essere fisiologico, adattivo appunto, o patologico. Oggi la società ha intrecciato così tanto la vita reale con quella virtuale che definire i confini dell’una e dell’altra è quasi impossibile. E forse è proprio questa la domanda da porsi: ha ancora senso dividere queste due realtà?
Ha senso?
No. A regalare un cellulare agli adolescenti sono i loro genitori. E i lavori di oggi e sempre più quelli del futuro passeranno attraverso i social network. La comunicazione si fa su internet, la politica pure. Non saremo mai in grado di stabilire fino in fondo che uso si sta facendo della rete. I ragazzi che oggi arrivano nei centri clinici non sono dipendenti da internet, ma ritirati sociali. E i due fenomeni sono assolutamente diversi. Anche perché gli adolescenti di oggi sono una generazione che è nata dentro internet. E i segnali di disagio che riceviamo non esprimono un “disagio da internet” ma un “disagio della persona attraverso internet”.
Quali potrebbero essere le principali derive?
Il cyberbullismo che include le condotte vessatorie perpetrate nel mondo digitale il sexting. Come spiegano Loredana Cirillo e Tania Scodeggio nel capitolo curato da loro, viene virtualizzata l’esigenza evolutiva di mettere alla prova il nuovo corpo erotico dell’adolescenza, per testarne l’efficacia nel sedurre l’altro, per mettere alla prova e governare il nuovo potere relazionale e sessuale acquisito, del quale occorre prendere le misure e saggiare l’efficacia. Il sexting può essere inteso come una pratica ad alto valore simbolico ed evolutivo, poiché rappresenta un ambito di sperimentazione e di collaudo del potere della nascente femminilità, di verifica della capacità di accendere il desiderio nell’altro, anche a costo di assumere atteggiamenti eccessivamente provocanti ma mossi dall’urgenza di ricevere sguardi di approvazione e riconoscimento. Il sexting, quindi, può rappresentare un fattore di protezione: scambiarsi foto o messaggi erotici è vissuto come più sicuro rispetto all’esperienza sessuale vera e propria. Anche la pornografia sembra svolgere la stessa funzione. Entrambi proteggono i più fragili dall’in- contro reale, dal rischio di un rifiuto, di una malattia venerea, dai litigi tra innamorati, dalle complicazioni associate alla relazione di coppia.
Da cosa dipende?
Oggi abbiamo chiuso la vita dei ragazzi dentro le mura di casa. Tutto quello che avveniva prima fuori con il corpo oggi avviene in casa. Con internet non si è soli ma il corpo è in solitaria. I figli di oggi sono iper protetti. Si vive nel terrore di un mondo pericoloso. Ma nella seconda infanzia il corpo va consegnato all’autonomia dei ragazzi. Pensate ad un ragazzo di 13 anni che giocava con la fionda, o la cerbottana all’area aperta. E magari tornava a casa con le ginocchia sbucciate. Oggi riversa quello stesso istinto nei videogiochi. Non si sbuccerà le ginocchia, ma ciò non significa che sarà meno pericoloso. Possiamo lamentarci dei videogiochi? Sì. Ma se non siamo pronti a consegnare il corpo dei ragazzi alle piazze e ai giardini questi andranno a cercare quello di cui hanno bisogno nelle piazze virtuali. In casa si corrono gli stessi rischi che si correvano fuori.
E gli adulti?
C’è uno sdoganamento della loro vita sui social. Tutti li usano. La gente fotografa la pastasciutta e la mette online. E poi quelli che non dovrebbero usare internet sono gli adolescenti perché potrebbero diventarne dipendenti?
Qual è il ruolo della scuola e della famiglia?
Devono farsi carico anche della vita virtuale dei ragazzi che gli hanno consegnato loro. È la società che ha creato la vita in internet. Quindi a casa e a scuola bisogna educare alla saggezza digitale. La scuola discute sull’usare o meno il cellulare in classe. Invece dovremmo chiedere ai ragazzi: Come va con internet? Ti senti in difficoltà? Combini qualche guaio? I ragazzi hanno bisogno di adulti che li aiutino a controllare un mondo che è incontrollabile. Di adulti di riferimento che insegnino ai ragazzi ad usare la rete per farne un uso consapevole. Educare al digitale oggi significa anche educare alla vita. Crescono dei bambini digitali e poi per paura gli chiedono di non essere digitali proprio nell’età dell’autonomia. Ma cosa significa chiedere ad un adolescente di non entrare più in internet?
Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta. Presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano e dell’agippsa (Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza). È docente di “Compiti evolutivi e clinica dell’adolescente e del giovane adulto” presso il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Tra le sue pubblicazioni: Giovane adulto. La terza nascita (con F. Madeddu, Milano 2014), Adolescenti navigati. Come sostenere la crescita dei nativi digitali (Trento 2015), Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti (Milano 2017).
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