È un film nato grazie al crowdfunding e realizzato con l’appoggio di vari soggetti del mondo no profit quello che il 7 aprile scorso s’è aggiudicato un importante premio nella capitale europea del cinema. Parliamo di “Rwanda” che, all’indomani del venticinquesimo anniversario del drammatico genocidio del 1994, è stato premiato dal Festival del cinema indipendente di Parigi come miglior film drammatico d’Europa. Un risultato di tutto rispetto, calcolando che erano 79 i film in gara, provenienti da 30 Paesi. Attori protagonisti sono Mara Moschini e Marco Cortesi, compagni nella vita e sul palcoscenico (quest’ultimo è anche co-sceneggiatore); la regia è di Riccardo Salvetti, la produzione è firmata Horizon Srl. La pellicola narra la storia vera di un ragazzo hutu e una ragazza tutsi, Augustin e Cecil, protagonisti di un gesto di incredibile coraggio con il quale riuscirono, durante i massacri, a salvare oltre 20 persone, la maggior parte delle quali bambini. Vita ha intervistato Marco Cortesi, 39 anni, un lungo passato negli scout.
Com’è nato il progetto di Rwanda?
Dopo 480 repliche in teatro dell’omonimo spettacolo, abbiamo pensato di realizzare una vera e propria fiction. Condivisa l’idea con la nostra community su Internet, abbiamo avviato una raccolta fondi tramite una piattaforma web, incassando il doppio (30mila euro) di quanto c’eravamo prefissati.
Con una cifra del genere, però, non si realizza un film in Africa…
Il crowdfunding ha generato un effetto-domino virtuoso: si sono mossi sponsor privati, soggetti istituzionali (la Regione Emilia-Romagna, l’Emilia-Romagna Film Commission) e una settantina tra Onlus e Ong, fra le quali Caritas Italiana, Diaconia Valdese, Cuamm, Vis, Vispe, Docenti senza frontiere… Siamo così riusciti a girare il film, con una troupe di 30 professionisti, un cast di attori principali e la bellezza di 485 comparse.
In cosa il film si differenzia dallo spettacolo teatrale?
La novità principale è l’originalità della sceneggiatura. Mi spiego: nel realizzare il nostro progetto abbiamo sperimentato anche noi una sorta di razzismo: una storia ambientata in Africa è stata giudicata da tanti poco interessante, al punto che il progetto rischiava di naufragare. Purtroppo in Italia c’è molta poca attenzione a quanto avviene fuori dall’Europa: pensiamo al conflitto in Sud Sudan, quanti dei nostri media ne parlano? Per nostra fortuna, tuttavia, le cose finalmente si sono sbloccate e abbiamo sperimentato di persona l’intervento della Provvidenza.
E poi?
A un certo punto c’è venuta l’intuizione di far decollare la storia da quell’esperienza. Il film parte proprio da qui: da noi due, bianchi, in teatro che discutiamo, amareggiati. Poi, magicamente – come solo il cinema riesce a fare – ci ritroviamo catapultati in Africa, dove prende corpo la vicenda di Cecil e Augustin. Il tutto narrato con un tocco sapiente, che assicura al film, in alcuni momenti, atmosfere oniriche che ricordano “Il favoloso mondo di Amélie”, alternandole a scene crude e molto realistiche.
Il messaggio finale?
Lo troviamo racchiuso in una citazione in chiusura: “Siamo tutti esseri umani”. Il nostro intanto consiste nel provare ad annientare quelle separazioni che mettono una parte dell’umanità contro l’altra esasperando e strumentalizzando le differenze, siano essere tra tutsi e hutu, tra bianchi e neri.
Dopo il successo di Parigi, ora Rwanda è in corsa in altri Festival…
La vittoria di Parigi ci ha provocato un’emozione incontenibile. Al momento della proclamazione dei vincitori m’è uscito un urlo, tanto era insperato questo successo… La notte nessuno di noi è riuscito a dormire: per un po’ abbiamo continuato a pensare che si trattasse di uno scherzo. E invece è tutto vero. Ora è la volta degli States: a fine aprile concorriamo in un festival a Phoenix, a giugno all’importante Da Vinci Festival a Los Angeles. L’avventura continua.
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