Parlare di disabilità, nella cooperazione allo sviluppo, è molto diverso da quello che la maggior parte di noi immagina. Portare medici e fisioterapisti, da molti anni – forse decenni – non basta più. Dalla cooperazione allo sviluppo e dalla disabilità sono maturati ormai pratiche e saperi altamente innovativi, imperniati sui diritti delle persone e sulla loro partecipazione. Occuparsi di persone con disabilità è diventato sinonimo di rendere protagoniste le persone con disabilità e questo a cascata ha coinvolto e cambiato, migliorandole, le comunità locali nel loro complesso, portando benefici e innovazioni per tutti. Il futuro della cooperazione allo sviluppo, sul fronte specifico della disabilità, si sta scrivendo in questo momento storico, con nuovi linguaggi e nuovi strumenti, alla luce della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, dell’Agenda Rehab 2030 dell’OMS e dell'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. A pochi giorni dal convegno internazionale “Essere persona. La disabilità nel mondo: quali diritti, inclusione e riabilitazione?” (Milano, 5-6 aprile), abbiamo incontrato Victoria Lee, uno degli ospiti internazionali della due giorni promossa da Aifo, Fondazione Don Gnocchi e Ovci. Victoria Lee è referente per la disabilità dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani.
Facciamo il punto. Come la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Onu nel 2006, ha cambiato le politiche sulla disabilità nei Paesi che l’hanno ratificata?
Il valore maggiore della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) è che introduce un approccio alla disabilità chiaramente basato sui diritti umani e chiama Stati e stakeholders ad abolire leggi, politiche e pratiche discriminatorie e ad assicurare, al contrario, la partecipazione e l’inclusione delle persone con disabilità. I principi della CRPD sanciti in particolare dall’articolo 3 diventano così la pietra di paragone con cui misurare tutte le azioni, per assicurare il rispetto dei diritti delle persone con disabilità. Inoltre, le disposizioni della CRPD costituiscono obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati per l'intera gamma di diritti, inclusi quelli civili, politici, sociali, economici e culturali e fanno da linee guida per lo sviluppo inclusivo, compresa la realizzazione dei Sustainable Development Goals.
Certamente rimangono sfide e, a volte, anche resistenze a una piena attuazione della Convenzione, tuttavia oggi ci sono sempre più esempi positivi e incoraggianti di processo di riforma sia di legislazioni che di politiche che si liberano dagli approcci precedenti che trattano le persone con disabilità come cittadini di “serie B” e introducono invece una uguaglianza trasformativa e inclusiva per le persone con disabilità. Queste riforme abbracciano la CRPD e la giurisprudenza del CRPD Committee in tutti i settori, come la partecipazione alla politica, l’educazione inclusiva, vivere dentro la comunità, l’accesso alla giustizia, alla salute, la capacità giuridica e si applicano anche alle azioni condotte dagli Stati all'estero, ad esempio attraverso la cooperazione allo sviluppo. Un chiaro risultato di tale riforma è una maggiore inclusione, non solo per ragazze e ragazzi, donne e uomini con disabilità, ma per tutti. I principi e le disposizioni della Convenzione vanno a beneficio di tutti noi, perché rafforzano le nostre risposte contro l’esclusione e la segregazione, e mostrano come il raggiungere colui che è più lontano di tutti dal primo, è la chiave per non lasciare nessuno indietro.
I principi e le disposizioni della Convenzione vanno a beneficio di tutti noi, perché rafforzano le nostre risposte contro l’esclusione e la segregazione, e mostrano come il raggiungere colui che è più lontano di tutti dal primo, è la chiave per non lasciare nessuno indietro.
Victoria Lee
Veniamo alla cooperazione allo sviluppo. Come la Convenzione Onu l’ha cambiata?
La cooperazione internazionale gioca un ruolo chiave nel supportare gli sforzi dei singoli Paesi per implementare politiche e difendere i diritti umani: con questa consapevolezza, l’articolo 32 della CRPD prevede nero su bianco che gli Stati siano obbligati a garantire che la cooperazione internazionale, inclusi anche i programmi di sviluppo internazionale, sia inclusiva e accessibile alle persone con disabilità. Questo articolo chiarisce che gli Stati devono collaborare con le organizzazioni di persone con disabilità – sia come attori sia come beneficiari – nella progettazione, attuazione e valutazione dei programmi, e per valutare l'impatto di tutti i progetti e programmi (sia mainstream che specifici per la disabilità) sulle persone con disabilità. Questo non solo nell’ottica di promuovere i diritti e lo sviluppo della diversità delle persone con disabilità, comprese quelle più emarginate (donne e ragazze, bambini, anziani, indigeni, migranti, ecc.), ma anche per evitare la creazione – o il mantenimento – di barriere e ostacoli alla loro inclusione. Da quando la CRPD è entrata in vigore, sono stati fatti crescenti sforzi per integrare questi obblighi nei programmi di cooperazione internazionale, compresi quelli promossi da Stati, organizzazioni regionali, intergovernative e di altri donatori.
L’articolo 32 della CRPD prevede che gli Stati siano obbligati a garantire che la cooperazione internazionale, inclusi anche i programmi di sviluppo internazionale, sia inclusiva e accessibile alle persone con disabilità
Victoria Lee
Quali sono a suo parere gli strumenti e gli approcci più innovativi e interessanti?
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani sta portando avanti la prima parte del progetto Bridging the Gap (BtG), finanziato dall'Unione Europea, per sviluppare strumenti che facilitino l'attuazione degli SDGs nell’ottica della CRPD, compresi gli indicatori dei diritti umani della CRPD, delle linee guida per i policymakers sull'attuazione degli SDG sulla base dalla CRPD e una guida alle fonti di dati per popolare gli indicatori. Questi strumenti offrono misure concrete per progredire nel realizzare i diritti delle persone con disabilità, per un approccio coordinato e coerente da parte di tutte gli stakeholders – Stati come principali portatori di doveri, ma anche attori della cooperazione internazionale, il settore privato, le organizzazioni di persone con disabilità e la società civile – per monitorare l'implementazione della CRPD e per far sì che i detentori dei vari doveri ne rispondano. Nella seconda parte del progetto Bridging the Gap, questi strumenti hanno fornito indicazioni per progetti in Burkina Faso, Etiopia, Sudan, Paraguay ed Ecuador, che contribuiscono all'inclusione socioeconomica, all'uguaglianza e alla non discriminazione delle persone con disabilità attraverso istituzioni e politiche più inclusive e responsabili. Il progetto Bridging the Gap è la dimostrazione di un'efficace cooperazione internazionale che comprende le persone con disabilità, progettata e attuata con organizzazioni nazionali e regionali di persone con disabilità sia nei Paesi donatori, sia nei Paesi beneficiari.
Può raccontarci brevemente due o tre best practice?
Il Perù ad esempio ha istituzionalizzato la consultazione e la partecipazione di organizzazioni di persone con disabilità. La legge generale sulle persone con disabilità del Perù, la n. 29973 del 2012, stabilisce che «le autorità dei diversi settori e livelli di governo hanno l'obbligo di consultare le organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità all'adozione di regolamenti, politiche e programmi legislativi e amministrativi sulla questione della disabilità. I processi di consultazione sono sviluppati sulla base dei principi di accessibilità, buona fede, tempestività e trasparenza».
Un altro buon esempio di formalizzazione della consultazione di organizzazioni di persone con disabilità, riferito specificamente alla cooperazione internazionale, riguarda il Department of Foreign Affairs and Trade of Australia (DFAT), che utilizza l’Aid Quality Check Reporting Process, che richiede ai programmi di relazionare rispetto alla partecipazione delle persone disabilità o delle loro organizzazioni nella pianificazione e sulle misure che riducono le barriere o che facilitano alle persone con disabilità a beneficiare dell'investimento. Questo aiuta a creare cambiamenti sistemici per rendere una pratica standard il coinvolgimento delle organizzazioni delle persone con disabilità nei programmi del Dipartimento.
Per quanto riguarda il tracking di una cooperazione allo sviluppo inclusiva rispetto alla disabilità, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha introdotto un indicatore per tracciare i flussi di aiuti relativi all'inclusione e all'emancipazione delle persone con disabilità e entro settembre 2019 dovrebbe essere pronto un manuale per redigere i report tenendo conto dell'indicatore di disabilità. Queste informazioni tracceranno i flussi di aiuti inclusivi e permetteranno di identificare gap nei settori e nelle popolazioni, per un'assegnazione degli aiuti più efficace. Anche l'UNDP e altre agenzie internazionali di sviluppo hanno adottato analoghi indicatori di inclusione della disabilità, ad esempio: il Ministero degli Affari Esteri della Finlandia, il Ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, il Dipartimento per lo sviluppo internazionale del Regno Unito, il Dipartimento degli Affari Esteri e del Commercio dell'Australia.
L’articolo 26 della Convenzione parla di “habilitation” and “rehabilitation”. Definisce l'abilitazione e la riabilitazione come ciò che «consente alle persone con disabilità di raggiungere e mantenere la massima indipendenza, piena capacità fisica, mentale, sociale e professionale, e la piena inclusione e partecipazione in tutti gli aspetti della vita». Sono due parole chiave oggi ma forse molti di noi – non addetti ai lavori – intendono la riabilitazione in modo più tradizionale, essenzialmente sanitaria, e immaginano i progetti di cooperazione internazionale in un modo diverso da ciò che in realtà sono. Tanto che da pochissimo l’Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights ha presentato il report "Habilitation and rehabilitation under article 26 of the Convention on the Rights of Persons with Disabilities".
L'abilitazione e la riabilitazione sono un insieme di interventi progettati per ottimizzare il funzionamento delle persone con disabilità nell'interazione con il loro ambiente. Lo scopo è contribuire all'indipendenza delle persone con disabilità e alla loro partecipazione nella società. Il fatto che siano contenuti in un articolo autonomo, l'articolo 26, aumenta la loro visibilità come una strategia importante per asicurare la partecipazione delle persone con disabilità nella società. Tuttavia, il raggiungimento del massimo funzionamento non è sufficiente per assicurare una partecipazione significativa delle persone con disabilità alla società, poiché vi sono barriere attitudinali e ambientali che lo impediscono. Di conseguenza, l'abilitazione e la riabilitazione non devono essere interpretate erroneamente come l'unica strategia per raggiungere tale obiettivo.
Concentrandosi sul funzionamento, è facile ricadere in un approccio alla disabilità di tipo medico e in un modello sanitario dell'abilitazione e della riabilitazione. Per questo l'articolo 26 istituisce quindi una framework unificante per tutti i servizi di abilitazione e riabilitazione: servizi da avviare il più presto possibile, sulla base di valutazioni multidisciplinari, che sostengano la partecipazione e l’inclusione, volontari e il più vicino possibile alle comunità in cui le persone con disabilità vivono.
Victoria Lee
Concentrandosi sul funzionamento, è facile ricadere in un approccio alla disabilità di tipo medico e in un modello sanitario dell'abilitazione e della riabilitazione, in particolare considerando che il contesto in cui esse inizialmente sono nate vedeva l'azione e le politiche relative alle persone con disabilità principalmente incentrate sul “curare” o “riparare” la menomazione di una persona come precondizione per la sua partecipazione alla società. Sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani in nome della riabilitazione, e continuano ad essere commesse anche oggi: la separazione dalle famiglie e dalle comunità, l'istituzionalizzazione forzata e il trattamento con procedure mediche inutili, invasive e dolorose. Questo background storico, durante la stesura della CRPD, ha portato al consenso generale per garantire un approccio intersettoriale alla riabilitazione dal punto di vista dei diritti umani. L'articolo 26 così affronta l'empowerment e la riabilitazione delle persone con disabilità in modo integrale, che coinvolge servizi e programmi nei settori della salute, dell'occupazione, dell'istruzione e dei servizi sociali. L'articolo 26 istituisce quindi una framework unificante per tutti i servizi di abilitazione e riabilitazione: servizi da avviare il più presto possibile, sulla base di valutazioni multidisciplinari, che sostengano la partecipazione e l’inclusione, volontari e il più vicino possibile alle comunità in cui le persone con disabilità vivono. Devono essere incorporati nei diritti umani attraverso il rispetto del consenso libero e informato, la non discriminazione, la partecipazione, la disponibilità, l'accessibilità e la sostenibilità. C’è una pressante necessità di ampliare i servizi di abilitazione e riabilitazione per le persone con disabilità e gli sforzi dovrebbero essere fatti considerandoli parte di politiche generali che includano le persone con disabilità e i loro diritti.
Le foto sono di Julian Rizzon ©Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, scattate rispettivamente in Rwanda, Ucraina e Bolivia
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