Il magazine Marsica Live, a sua insaputa, l’ha scelta come la marsicana più influente del 2018. E le ragioni sono state condivise da tutti: Carla Venditti, 58 anni, suora abruzzese di Avezzano, è diventata negli ultimi anni il simbolo dell’antiracket per il suo impegno sulle strade con le donne vittime di tratta.
Come ha iniziato?
Tre anni fa. Sembra strano dirlo, ma ho iniziato per caso. Stavamo organizzando delle missioni e dei nuovi progetti. Il focus dovevano essere i minori e i più fragili. E poi ho pensato: “e alle donne in strada chi ci pensa?”.
E poi?
Ho fatto una prima uscita in strada. Io e un mio amico avvocato. Mi ricordo di aver pensato: “è questo il posto in cui devo stare”. E poi da li non abbiamo più smesso e si sono aggiunti altri volontari. Ci muoviamo tra l’Abruzzo e il Lazio. Non avevo programmato tutto quello che sarebbe successo dopo. Sono sempre stata sensibile alle sofferenze degli altri e sentivo di dover stare lì dove la gente soffriva: e in strada si soffre tantissimo. Quello era il periodo in cui papa Francesco ripeteva insistentemente “Apritevi! Apritevi”, così ho deciso di parlare con i miei superiori che mi hanno appoggiata.
Cosa avete organizzato?
Con le Apostole del Sacro Cuore di Gesù di Avezzano abbiamo deciso di mettere a disposizione la nostra casa e di prenderci cura della ragazze che ci chiedevano di lasciare la strada. Parliamoci chiaro: non eravamo pronte ad accogliere, ma quella ormai era diventata la nostra missione e la dovevamo abbracciare.
Quante ragazze potete ospitare in casa?
Sei alla volta. Il percorso dura un anno. Siamo consapevoli di non avere un approccio “scientifico” nel senso classico del termine. In casa non ci sono educatori e ci muoviamo secondo un’altra logica: la logica di famiglia. Ecco noi siamo una famiglia. Dove ci sono regole da seguire e ci si rispetta a vicenda. Si sta insieme, si fa lezione di italiano insieme. Se qualcuna ha un impegno si chiede il permesso per andare. Le ragazze sono libere, possono scegliere di restare e rispettare le nostre regole o di andare via: hanno scelto sempre tutte di restare.
Non crede sia difficile, senza competenze tecniche, creare una relazione in strada?
Mi e ci aiuta l’abito: siamo suore. Non dico che il nostro approccio sia il migliore possibile. Ma è il nostro: pensiamo e ci muoviamo come una famiglia, la scelta di non avere educatori con noi in casa è stata pensata, voluta, decisa. Queste ragazze dentro hanno tantissime cose che non sono mai state tirate fuori. Sogni calpestati. Ad esempio ad una ragazza piace cantare, e noi le abbiamo trovato una nostra amica che le fa lezioni di canto.
Qual è l’obiettivo finale?
Far in modo che queste ragazze ritrovino l’indipendenza e la stabilità.
Come riuscite a raccogliere fondi?
Un po’ con le risorse interne. Poi abbiamo fondato l’associazione amici dell’oasi Madre Clelia che ci permette di raccogliere il 5xmille.
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