Trentanove anni, figlio di Franco ex operaio Ilva e di Mariella, casalinga. Doveva andare in fabbrica, al posto di suo padre, come suo fratello Fabio. Michele Riondino invece fa l’attore, consacrato al grande pubblico con Il giovane Montalbano e nelle prossime settimane con la fiction “La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata“ sempre figlia della penna di Camilleri. Riondino però non ha dimenticato le sue origini e i problemi della sua città, Taranto. È da qui infatti che nasce il “contro-concertone” del Primo Maggio organizzato proprio nella città pugliese di cui è co-direttore artistico insieme a Roy Paci. Una manifestazione costruita e pensata insieme al Comitato Liberi e Pensanti con l’obbiettivo di riportare nel capoluogo ionico l’Uno Maggio Libero e Pensante e al centro dell’attenzione pubblica il caso Ilva. L’evento, che è passato in cinque anni da 40mila a 200mila spettatori, è totalmente autofinanziato e quest’anno punta su una raccolta di crowdfunding Musicraiser.
Com’è nato l’impegno civico sulla questione tarantina?
In modo molto naturale. Sono tarantino, figlio di operai. La mia storia è irrimediabilmente legata al siderurgico e al ricatto occupazionale tipico di questo territorio. Ho cominciato a fare attivismo politico e a manifestare contro l’Ilva a 14 anni. Ricordo che le mie prime lotte le feci in casa. Mio padre mi ha sempre detto che non ci si mette mai contro la fabbrica. Ha cambiato idea quando non è più stato un dipendente. Oggi il problema c’è ancora, nonostante tanti dipendenti abbiano finalmente maturato la consapevolezza che quella fabbrica ci sta uccidendo tutti.
In che senso c’è ancora il problema?
Non tutti hanno il coraggio di denuciare. Ecco perché la storia inziata il 2 agosto 2012, all’indomani della scelta della magistratura di chiudere la fabbrica, è importante.
Cosa è successo nel 2012?
Ci fu un’enorme manifestazione di tutte le sigle sindacali. In coda a quella manifestazione nacque il Comitato Liberi e Pensanti, da un gruppo di giovani che chiesero di prendere la parola su quel palco per dire la loro. I segretari nazionali non permisero loro di parlare e così ebbe inizio tutto. Quegli operai si unirono alla coda del corteo e, a bordo di un Apecar, si fecero spazio all’interno di piazza delle Vittoria durante il discorso di Landini. Irruppero in piazza e presero la parola denunciando il fatto che quei sindacati non potevano più rappresentare i lavoratori e i tarantini. Io ero fuori città e vidi quello che avevo sperato succedesse tante volte in tv. Da lì abbiamo cominciato a fare attivismo.
In cosa consiste il ricatto occupazionale di cui parla?
Mio padre lavorava all’Ilva e tra il 1990 e il 2000 ebbe la possibilità di consegnare la propria occupazione al figlio. Era una sorta di porta girevole con cui si dava la possibilità di passare il testimone dai padri ai primogeniti. Un modo per fregare sia padri che figli. Un sistema per cui, per dirla semplicemente, il prepensionamento del genitore avrebbe gravato sulle spalle dei giovani. Io ero quel primogenito, anche se fortunatamente ho potuto fare un’altra strada.
E come si arriva all’Uno Maggio Libero e Pensante?
Prima di arrivare al concerto organizzammo diverse manifestazioni ed eventi. Il comitato divenne famoso prima del concerto per le assemblee cittadine. Andavamo in giro facendo assemblee pubbliche e dando la parola alla cittadinanza. Il nostro primo motto fu “Io non delego, io partecipo” che si era fatto materia viva in quelle assemblee. E per la prima volta si cominciò a capire chi era con chi. In quel periodo durante una nostra assemblea interna, ragionando su cosa fare per attirare l’attenzione mediatica uno di noi, Massimo Battista, operaio Ilva ex sindacalista, propose l’organizzazione di un concerto per il primo maggio.
Quello che sembra chiaro ascoltando quello che dice è che per voi sul cuore del discorso non è l’Ilva ma la città…
Sì, il tentativo che portiamo avanti è provare a far parlare l’opinione pubblica di Taranto invece che di Ilva, produttitività, Pil e forza lavoro.
E il suo ruolo all’interno del Comitato è quello di cassa di risonanza?
Sì, il mio ruolo nel comitato è sempre stato quello di un tarantino che però vive fuori e che è un personaggio pubblico. Quindi posso veicolare quel messaggio a tutti. La possibilità di fare un concerto sfruttando i contatti che avevo era concreta e intelligente. Abbiamo immaginato un evento che vedesse la mattina convegni e assemblee che facessero informazione e poi il concerto in cui la musica facesse da cassa di risonanza ai nostri messaggi politici. Tra un cambio palco e l’altro si fa politica.
Buona parte della riuscita del nostro concerto sta nel demerito di quello di piazza San Giovanni. Quel concerto è vuoto di contenuti. Non parla più di nessuno e a nessuno
È una sorta di risposta al Concertone del Primo Maggio di Roma?
È più che altro la risposta ai sindacati nazionali che non fanno più quello che dovrebbero. Ed è una risposta che funziona se in cinque anni siamo passati da 40mila persone a 200mila. Anche se secondo me una cosa andrebbe detta.
Quale?
Buona parte della riuscita del nostro concerto sta nel demerito di quello di piazza San Giovanni. Quel concerto è vuoto di contenuti. Non parla più di nessuno e a nessuno.
E la presenza di così tanti big a Taranto come si spiega? Siete riusciti a portare, gratis, nomi come Caparezza, Vinicio Capossela, Subsonica, Fiorella Mannoia, Litfiba, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi e Afterhours…
Credo che il motivo stia nella credibilità e forza del messaggio. Tutti questi artisti, e tanti altri, hanno deciso di sostenerci perché hanno capito l’importanza della battaglia che combattiamo. E per questo non li ringrazierò mai abbastanza.
Se lo aspettava un successo del genere?
No, finché non abbiamo visto il pubblico non ci credevamo. Ogni 5 minuti andavo a controllare quante persone c’erano davanti al palco. E mi sembravano sempre pochissime. Poi, al pomeriggio, ha cominciato ad esserci la folla. Abbiamo visto pullman provenienti da tutta Italia. Eravamo emozionati. Alcuni di noi piangevano per l’emozione. Avevamo la consapevolezza che San Giovanni ormai era a Taranto.
Per la prima volta abbiamo messo in piedi un crowdfunding con Musicraiser. Abbiamo approfittato del loro entusiasmo e abbiamo trovato dei veri compagni di viaggio. Sono persone che hanno visto in noi un potenziale. Speriamo che funzioni
Quest’anno è importante per tanti motivi. Il primo riguarda una proposta che volete mettere sul tavolo. Quale?
Sì, parleremo di un “accordo di programma”. Che è, per quanto ci riguarda, l’unica soluzione possibile per la questione tarantina. La questione è banale: quella fabbrica non è più competitiva. Prova ne è il fatto che il Governo la sta svendendo agli indiani, che non hanno alcun interesse ad ambientalizzare l’azienda. Per capirci è come se se avessimo una vecchia Fiat 500 che per legge non può più circolare. Ma ’assicurazione voglia convincerci che sia possibile ricondizionare il mezzo e continuare a farlo circolare. Stiamo parlando di un impianto degli anni 50, sfruttato nei 90 – spingendolo al massimo – che oggi è vecchio ed esausto. Pensiamo che si dovrebbe fare come a Genova nel 1996 quando fu chiuso lo stabilimento e venne bonificato ricollocando la forza lavoro. Quella vicenda fu possibile gestirla così per due motivi. Da una parte c’era unità di intenti tra sindacati, operai e istituzioni. Dall’altra che tutto quello che c’era a Genova è stato trasferito a Taranto. Noi vorremmo fare lo steso senza trasferire a nessuno il “pacco”.
In concreto qual è la vostra proposta per l’Ilva?
La nostra è una proposta per Taranto. Vogliamo che chiuda l’Ilva. Che venga usata tutta la forza lavoro per bonificare l’impianto così da mantenere l’occupazione. E intanto convertiamo la vocazione economica della città.
Per quanto tempo gli operai potranno essere occupati sulla bonifica del sito?
La chiusura di quell’impianto sarà un processo che andrà avanti per 30 anni. Oggi siamo condannati alla grande industria perché la grande industria ci ha ucciso le altre fonti di reddito. Non abbiamo terziario, non abbiamo turismo e abbiamo un porto strategico che non si può sfruttare. Chiudiamo l’Ilva e puntiamo su un altro sviluppo economico. Dobbiamo cominciare ora un piano B perché quell’azienda è morta, e lo dice il mercato.
Tutto questo impegno e il concerto hanno un costo. E voi siete totalmente autofinanziati. Dove trovate i soldi?
È il motivo per cui è considerato un evento di popolo. Senza l’impegno e il sostegno di tutta la cittadinanza, anche economico, non avremmo mai potuto mettere in piedi nulla. Certo oggi i soldi che ci servono sono sempre di più e così abbiamo pensato di sfruttare altri canali. Per la prima volta abbiamo messo in piedi un crowdfunding con Musicraiser. Abbiamo approfittato del loro entusiasmo e abbiamo trovato dei veri compagni di viaggio. Sono persone che hanno visto in noi un potenziale. Speriamo che funzioni. Anche perché tutto quello che facciamo è realizzato senza alcun supporto da parte delle istituzioni locali. Nessuno ci ha mai proposto un sostegno di nessun genere. Solo sotto elezioni comunali tutti gli schieramenti ci hanno fatto promesse. Ma poi, naturalmente, una volta chiuse le urne sono spariti tutti. Siamo soli contro tutti. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.
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