Il dibattito nelle piazze e sui media non accenna a diminuire, ma adesso almeno è cominciato anche quello parlamentare. Dalle 9.30 di giovedì 28 gennaio è cominciata in Senato la discussione del ddl sulle unioni civili: il numero 2081 a firma Monica Cirinnà del PD. Al suo interno non solo i diritti che la comunità gay italiana chiede a gran vocer da anni ma anche la controversa stepchild adoption, la poco felice definizione con cui si intende l'adozione di un figlio da parte del partner del genitore naturale. Il voto definitivo al Senato dovrebbe arrivare martedì 2 febbraio. Ma nel frattempo a dominare è una grande confusione, sia sul contenuto del ddl che sui temi sul tavolo. Per questo abbiamo intervistato Adriano Pessina, ordinario di Filosofia Morale presso la facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Oggi il ddl Cirinnà esordisce in Parlamento. Premesso che un testo definitivo lo si avrà solo dopo la discussione in aula, è evidente che si tratta di una legge che si compone di due macrotemi. I diritti civili e quindi il discorso delle unioni civili da una parte. La stepchild adoption, cioè l’adozione di un bambino da parte del partner del genitore naturale dall’altra. Mi sembra che sulla prima parte non ci siano grandi obiezioni mentre la grande discussione ci sia sul secondo argomento. È così?
Vedremo se questo testo sarà modificato, ma sono due argomenti differenti che, in effetti, andrebbero affrontati in due contesti diversi. Per quello che riguarda le unioni civili ho già avuto modo di dire che dal punto di vista giuridico e politico sono favorevole al riconoscimento di alcuni diritti che tutelino delle relazioni stabili tra persone dello stesso sesso. Si tratta comunque di far valere il criterio fondamentale per cui l’uguaglianza non è la negazione delle differenze, perché le differenze non sono indifferenti. In ogni caso abbiamo bisogno di condividere più spazi di riflessione e di analisi delle situazioni se davvero abbiamo a cuore il futuro della nostra umanità.
Differenze rispetto al matrimonio?
Certo, tanto più saranno evidenti le differenze e tanto meglio saranno garantiti i diritti dei due diversi istituti sociali.
E per quello che riguarda la stepchild adoption?
Il tema dell’adozione da parte del partner del genitore naturale – argomento che vale anche per le coppie eterosessuali – dovrebbe semmai rientrare in una eventuale riforma delle attuali leggi che regolano l’adozione e l’affido del minore in stato di abbandono. Come è noto, la critica alla stepchild adoption è legata al convincimento che vengano attribuiti dei diritti alle coppie omosessuali che aprano di fatto alla possibilità del riconoscimento della maternità surrogata. Del resto perché usare per una legge italiana la nozione di stepchild adoption se non per richiamare istituti giuridici che di fatto prevedono proprio questo riconoscimento? Nel merito, poi, se non si vuole questo, basta separare le questione del riconoscimento dei diritti civili da questa problematica.
Però a leggere il ddl non si configura come un’adozione vera e propria. Piuttosto come un’adozione “depotenziata”. Il bambino ad esempio non entra nella linea ereditaria della famiglia del genitore adottante…
Rimangono alcuni problemi però. In primo luogo l’automatismo: di per sé un bambino dovrebbe essere adottabile solo qualora subentrassero specifiche condizioni che lo espongono ad una situazione che comporta la presenza di figure diverse da quelle genitoriali e questo dovrebbe avvenire con una valutazione puntuale. In secondo luogo è l’idea che esista un “diritto” all’adozione che, come è noto, va direttamente nella linea di legittimare, sebbene, a posteriori, il ricorso alla maternità surrogata. Del resto è noto che molti sostenitori di questa legge affermano esplicitamente che il futuro è quello di permettere la maternità surrogata stessa. La questione dei diritti dei bambini ha una priorità e per questo non può essere utilizzata in modo strumentale.
La maternità surrogata diventa centrale in particolare nel caso delle coppie omosessuali maschili, per le quali è l’unica strada praticabile alla genitorialità. È evidente quindi che c’è il rischio che la legge sia in qualche modo un’apertura, più uno sdoganamento in realtà, dell’utero in affitto. Ma molti di questi nuclei famigliari con bambini già esistono. Come si tutela questi minori alternativamente?
Concordo sul fatto che si debbano sanare situazioni esistenti tutelando in primo luogo i bambini. E si devono trovare strumenti adeguati alla complessità di una situazione nuova e di non facile gestione giuridica. Però non possiamo ignorare un altro fatto. La promozione della maternità surrogata e della riduzione della genitorialità a un progetto biotecnologico che nel libero mercato – nei termini di un contratto, più o meno a pagamento, tra chi commissiona la maternità e chi la realizza- – trova il suo soddisfacimento, ha di fatto sempre percorso questa strada: si inizia con il dire «già lo si fa, già lo si è fatto» e si finisce con la solita formula «tanto vale regolamentarla». Con un gioco di prestigio si cambiano le carte in tavola e di fatto, appellandosi al bene del bambino, si apre di fatto e di diritto la strada a quella che ritengo una pratica ingiusta e inaccettabile. Ci si deve chiedere se il maggior interesse del bambino non sia già stato violato una volta proprio attraverso la pratica della maternità surrogata. Inoltre va rilevato che di solito anche nel caso delle coppie omossessuali maschili uno dei due è il padre naturale e quindi il bambino non può essere considerato in stato di abbandono e non si vede perché il partner di suo padre debba diventare padre adottivo.
Qual è la posta di questo progetto biotecnologico?
Intorno a questo tema, che è molto complesso, si gioca il desiderio da parte delle coppie omosessuali di veder riconosciuto, attraverso lo strumento giuridico, lo stato simbolico di famiglia e quindi di voler eliminare la differenza tra omosessualità e eterosessualità a livello della generazione umana, a motivo della potenza della tecnica. Non ho competenze giuridiche, ma credo che nell’ambito delle leggi che regolano adozione e affido si possano pensare strumenti che tutelino, qualora se ne riscontrasse la necessità, le situazioni già esistenti. Va detto che per ora, per lo stato italiano, la madre è colei che partorisce il figlio: forse pochi riflettono però sul fatto che il bambino di una coppia omosessuale maschile ha in realtà una madre biologica – chi ha fornito l’ovocita- e una madre gestante e partoriente: la legge può ignorare questa corresponsabilità – e i relativi doveri – di chi ha permesso la nascita di questo bambino qualora fosse in stato di difficoltà? Anche la madre surrogata avrebbe doveri e diritti su chi ha partorito e dovrebbe essere di fatto e di diritto implicata nel processo adottivo.
Riassumendo «i figli non sono un diritto» che è anche il cavallo di battaglia di chi è contro a questa legge. Ma rimane la questione se esista o meno un buco normativo da riempire…
Che i figli non siano un diritto è un’affermazione che vale in termini universali, per coppie eterosessuali e coppie omosessuali, sterili o feconde. La categoria di figlio si estende per tutto l’arco della vita dell’uomo – non tutti sono padri o madri ma tutti siamo figli – e ci ricorda che l’uomo in sé non è né una proprietà, né un oggetto, né un prodotto biotecnologico. Penso che si possa riflettere a partire dalle norme che valgono per stabilire quando un bambino è in stato di abbandono e che ci si debba orientare in base a queste per affrontare le situazioni attuali ed evitare, però, che se ne creino di nuove.
Questo domenica a Roma andrà in scena il Family Day. Parteciperà?
No, anche se comprendo alcune ragioni e preoccupazioni dei cittadini che, legittimamente, partecipano a questa manifestazione. Le piazze possono, forse, servire a far riflettere il legislatore ma non producono nulla di duraturo se non si inseriscono in un progetto politico e culturale. Trovo insopportabile la reciproca demonizzazione: ognuno deve essere libero di esprimere la propria opinione e il proprio orientamento culturale. La democrazia si esercita comprendendo le ragioni altrui anche quando non le si condividono.
Gli organizzatori parlano di una manifestazione in difesa della famiglia, i detrattori di una manifestazione contro la legge e le unioni civili. Dove sta la verità secondo lei?
In questa, come nella precedente manifestazione a favore delle unioni civili si mescolano di fatto ragioni, emozioni e convincimenti differenti. Il problema è quello che molti cittadini si trovano coinvolti in una sorta di tifoseria che però non ha al centro una chiara conoscenza di che cosa è in gioco.
Quindi è proprio questo tipo di dibattito ad essere dannoso?
Il problema è che manca un dibattito che si collochi sul piano delle argomentazioni e della conoscenza dei fatti e della legge: il paradosso è che DDL Cirinnà non è sorto dal nulla e che questo tema era già presente nella campagna elettorale di Renzi ma si è atteso solo ora per aprire un confronto e una riflessione capaci di coinvolgere tutti i cittadini. La “premura” di portare a casa una legge – o di farla naufragare- mette in atto meccanismi che, in questo momento, non facilitano la comprensione del problema in tutti i suoi aspetti.
In tutto questo sono anni che chi si contrappone a qualunque tipo di legge nei confronti di unioni diverse dal matrimonio lo fa “in difesa della famiglia”. In questo paese però di politiche per la famiglia non se ne vedono da decenni. Come si spiega?
Non si sono fatte politiche per la famiglia semplicemente perché la famiglia è stato di fatto il grande surrogato delle debolezze e delle carenze dello Stato e delle politiche sociali. Basterebbe pensare al ruolo di sostegno economico dei padri e dei nonni nei confronti delle nuove generazioni senza lavoro o con basso reddito per capire che il modello è capovolto: la famiglia è stato il grande sostenitore dello Stato e della società, ma questo ruolo la sta esaurendo e consumando e la sta costringendo a diventare un semplice, fragile e instabile istituto di rapporti sentimentali.
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