C’è chi dipinge sulle tele, chi dipinge sui muri, e c’è anche chi dipinge sull’acqua. Christo, alias Hristo Vladimirov Yavachev, bulgaro, nato nel 1935, ma ormai americano, fa parte di questa terza categoria. Anzi ne è il solo, gelosissimo esponente. Perché dipingere sull’acqua prima di lui era solo un’improbabile utopia. Ci voleva una mente visionaria, ostinata e intraprendente come quella di questo artista che non teme la difficoltà delle sfide se si tratta di realizzare grandi idee poetiche. Il 18 giugno 2016 Christo traccerà una lunga scia del color del sole sulle acque del Lago d’Iseo.
“The Floating piers” si chiama il progetto. Già tutti i siti e i giornali del mondo ne hanno dato notizia, raccontando di questa magica idea che sta per diventare realtà. Una passerella lunga tre chilometri collegherà Montisola, in centro al lago, a Sulzano sulla sponda bresciana. La passerella poi si allungherà sino a fare il giro dell’isolino di San Paolo e si distenderà per 1,5 chilometri anche sulla terraferma, per favorire un amalgama tra terreno liquido e terreno solido. Naturalmente, trattandosi in ultima analisi di “pittura”, il colore è tutto. E Christo ha scelto una tela di un giallo intenso dagli effetti cangianti che vibrerà come una pennellata iridescente sulla superficie dell’acqua.
Ci sarebbero tante cose da farsi raccontare da questo artista, che sprizza energia e giovinezza nonostante i suoi 80 anni. Ma il tempo è prezioso, l’impresa complessa, e le cose a cui pensare un’infinità. Per questo quando accetta di incontrarci a Pilzano, dove tiene il quartier generale dell’impresa, il discorso va subito diretto proprio su The Floating Piers. Christo non è artista a cui piaccia filosofeggiare o divagare. Appena gli si parla si vede che ha la testa piena di una cosa sola, quella magnifica, gigantesca pennellata da stendere sul lago. Ha in mente numeri, problemi tecnici, anche dettagli organizzativi e di sicurezza a fronte delle decine di migliaia di visitatori annunciati. È pragmatico, e si è dotato di una struttura con fedelissimi che lo seguono come un’ombra, a partire dallo statuario Valdimir Yavachev, operations manager, oltre che nipote.
Christo quando parla difficilmente usa la prima persona. In parte perché sa che il suo è un lavoro che senza squadra non sarebbe ipotizzabile. Ma soprattutto perché lui non si concepisce senza Jeanne-Claude, la compagna di una vita, morta nel 2009. Così anche a proposito di The Floating Piers non parla mai di “idea mia” ma sempre di “idea nostra”, lasciando trasparire quanto sia stata feconda e imprescindibile quella loro simbiosi di intelligenza, sensibilità e cuore («I progetti erano i nostri bambini», spiega con un filo di tenerezza). L’idea della passerella galleggiante era sbocciata nelle loro teste tanti anni fa. Avevano tentato di realizzarla prima a Buenos Aires negli anni 70, sul Rio de la Plata, poi sulla Baia di Tokyo per collegare due isole artificiali. Ed era il 1997. In entrambi i casi i due artisti si scontrarono con ostacoli insuperabili. Ostacoli che invece sulle sponde di questo lago lombardo sono stati spianati dall’entusiasmo dei tre sindaci coinvolti (Iseo, Sulzano e Montisola) e dalla cultura “problem solving” degli imprenditori bresciani. «Jeanne voleva moltissimo questo progetto», racconta. «Abbiamo spesso lavorato con l’acqua. O meglio, sul rapporto tra l’acqua e la terra. Nel 1983 ad esempio avevamo avvolto 11 piccole isole nella Biscayne Bay, di fronte a Miami, con un tessuto rosa caldo che galleggiava sull’acqua». (Quella che ne era scaturita era una visione piena di poesia, come se delle gigantesche ninfee avessero spalancato le loro corolle in mezzo al mare). «Nel 1985 abbiamo lavorato sul Pont Neuf di Parigi, quindi in relazione con la Senna che scorreva lì sotto, trasformando il ponte in una scultura sull’acqua. In realtà quello che ci interessa è il rapporto tra la solidità della terra e la fluidità dell’acqua, l’equilibrio che si crea, il modo con cui un elemento entra nell’altro».
Tanto tempo di attesa e di incubazione per un’idea. Com’è che non ci si arrenda? Com’è che si continui a cullarla e a sognarla? Altre idee sono passate agli archivi, questa invece è rimasta viva…
Nel 2015 ho compiuto 80 anni. E ho detto a mio nipote: non voglio rischiare di morire senza aver realizzato quel pro- getto. Jeanne-Claude ci teneva davvero tanto. Avevamo già individuato il lago d’Iseo, soprattutto attratti dall’idea di poter lavorare attorno all’isola lacustre più grande d’Europa. Ne abbiamo parlato a Germano Celant, che ha iniziato a muoversi e ci ha aiutato a rendere le pratiche più snelle possibili. I comuni interessati e soprattutto l’autorità del lago con il suo presidente Tobias Faccanoni hanno risposto subito con molto entusiasmo. Faccanoni quando ne parla è eccitatissimo per la magia che l’arte può apportare al lago. Ma tutti hanno aderito al progetto: quando abbiamo chiesto alla famiglia Beretta che possiede l’isolino di San Paolo, di allacciare anche quello con la passerella, ci è stato detto subito di sì.
È un’opera per chi verrà o per chi abita attorno a queste sponde?
I primi a cui ho pensato sono i 2mila abitanti di Montisola, molti dei quali ogni giorno per andare a lavorare devono superare la barriera dell’acqua. Ho pensato di fare loro un regalo, e per 14 giorni permettere di vincere l’acqua camminandoci sopra.
Perdoni la domanda scontata: nessuna relazione con l’immagine evangelica? Lei in fondo si chiama Christo…
Nessuna (e intanto sorride). Quello che muove questo progetto come tutti quelli che abbiamo realizzato è la ricerca della bellezza. Quello che andiamo a fare sulle acque del Lago d’Iseo è qualcosa di incredibile, davvero eccitante perché è qualcosa che non si è mai visto e che mai si vedrà e perché comporta sfide a livello tecnico. Mi attrae il vedere il risultato finale, ma anche il come riusciremo a realizzare questa grande passerella.
Ci racconti qualche dettaglio…
La passerella sarà larga 16 metri, per un totale di 70mila metri quadri. Si alzerà 50 centimetri, ma avrà lati spioventi che scendono sino a pelo d’acqua. Galleggerà grazie a 200mila cubi di polietilene, appositamente progettati, del tipo di quelli usa- ti per i pontoni nei cantieri navali. Ogni 50 metri ci sarà un’an- cora, concepita in materiale riciclabile che si dissolverà nell’acqua alla fine dell’installazione. Ma tutti i materiali usati per The Floating Piers sono stati pensati per poter essere riciclati.
Sembra davvero che lei cerchi di cucire acqua e suolo, di far- ne qualcosa di continuo e di indistinto…
È così. L’ondulazione darà a chi cammina la dimensione magica di essere con i piedi direttamente appoggiati sull’acqua. I lati spioventi evitano una cesura. Ci sono anche problemi di sicurezza, ovviamente. Per questo la passerella sarà presidiata da decine di canotti a motore pronti ad intervenire a ogni emergenza.
Nessun timore di incognite?
Procediamo come sempre in modo molto sistematico. In assoluta segretezza abbiamo sperimentato nei mesi scorsi la passerella in un piccolo lago nel nord della Germania. È andato tutto bene.
Uno si può chiedere: perché tanto lavoro per una magia che durerà solo 14 giorni?
Ogni nostra opera ha un legame duplice con il tempo. Non solo è stata concepita per un arco cronologico circoscritto: noi abbiamo scelto quasi sempre la regola dei 14 giorni. Ogni opera è anche in relazione con il momento preciso per la quale viene pensata: nel caso di The Floating Piers è il solstizio d’estate, il momento di massimo sole, di massima luminosità della terra. È un progetto di stagione. Ad esempio a New York a Central Park, l’ultima opera da noi realizzata dieci anni fa, Gates, era pensata per l’inverno. Era immaginata per convivere con i rami degli alberi imbiancati dalla neve o dal gelo. Ognuna delle nostre opere è fatta per parlare di altre opere.
Quale, nel caso di The Floating Piers?
È il paesaggio meraviglioso che la circonda. L’opera è l’acqua, il cielo, le montagne, il verde dei boschi, Noi abbiamo “di- segnato” l’idea integrando questi elementi che vengono guardati e consumati ogni giorno e che non vengono percepiti pienamente nella loro bellezza.
Lei ha detto “disegnare”. Ultimamente si sente pittore?
I nostri progetti c’entrano certamente con la pittura e con la scultura. Però aggiungiamo una complessità ulteriore, che ci apparenta di più a degli urbanisti. A tratti ragioniamo come se avessimo colori o scalpello tra le mani, a tratti come se stessimo costruendo un ponte, una strada o un aeroporto. Nei progetti tutto questo si integra, diventa un insieme.
C’è poi il tema dei costi. Lei si fa carico di tutto, non vuole sponsor. Il suo modello è stato studiato addirittura dall’Harvard Business school: un modello del tutto anticonformista, che non si è mai visto nel mondo dell’arte, ma che è del tutto in linea con i suoi lavori. Perché ha fatto questa scelta?
Per avere libertà. Io vendo i disegni dei progetti e così trovo le risorse per finanziarli. Floating Piers ad esempio alla fine costa 10 milioni di dollari. Saranno tutte risorse messe da noi.
L’installazione a Central Park grazie ai 4milioni di persone che l’hanno visitata avrebbe generato un giro di 250 milioni di dollari per New York…
(Christo sul tema taglia corto) Un’opera come questa per noi è come un figlio. E quando si mette al mondo un figlio non si fanno budget.
La vostra è arte pubblica?
Lo è perché tutti ne possono usufruire. Ma non lo è come concetto. Noi prendiamo in prestito uno spazio pubblico, non per caricarlo di significati. L’aver “impacchettato” il Reichstag (la più celebre installazione di Christo, realizzata nel 1995) non era un’operazione politica. Così il progetto di Biscayne Bay non c’entra con l’ecologia. A tema c’è sempre una cosa sola: la bellezza, un grande desiderio di bellezza. La bellezza ha bisogno di situazioni uniche, in un certo senso inimmaginabili. È questo che noi cerchiamo. Per ottenerlo dobbiamo mettere in atto degli sconvolgimenti gentili del contesto che abbiamo preso in prestito.
Nel caso di The Floating Piers che tipo di bellezza sperimenteremo?
Una bellezza molto sexy, come diceva sempre Jeanne quando parlavamo di questo progetto. Molto fisica, sensuale, tangibile.
Non a caso la realizzate in Italia…
Sì. Abbiamo sempre molto amato l’Italia. E questa è la quarta opera che facciamo nel vostro paese: nel 1968 abbiamo “impacchettato” la fontana e la torre medievale di Spoleto; nel 1970 il monumento di Vittorio Emanuele in piazza Duomo a Milano; nel 1974 le mura di Roma tra via Veneto e Villa Borghese. Questo ha qualcosa di nuovo, però.
Cosa?
È un progetto nomade. Ci si cammina dentro, ma lo si vive anche camminando fuori, ad esempio guardandolo dall’alto delle montagne qui attorno.
(A questo punto Christo si gira, come volesse lavorare e abbracciare il paesaggio attorno. Si muove infatti con la familiarità di un artista nel suo atelier. È evidente che i suoi occhi già vedono l’immagine del “quadro” che qui dipingerà).
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