Un'agenda serratissima quella seguita dal Premier Matteo Renzi in Africa. Cinque incontri bilaterali, tra cui quelli con tre presidenti africani, di Etiopia, Liberia e Swaziland, uno speech alla Terza conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo e vista alle realtà italiane che fanno impresa in Etiopia il pirmo giorno. Poi via in Kenya, all’Università di Nairobi per incontrare gli studenti ancora sotto shock per la strage di Garissa. Il premier italiano è uno dei pochi capi di governo ad aver partecipato alla Conferenza di Addis Abeba. Un impegno però che rappresenta un'occasione troppo ghiotta per provocare una scossa annunciando che sugli Aiuti per lo sviluppo «l’Italia deve passare da fanalino di coda al quarto posto del G7 entro il 2017». L'intervista esclusiva.
Presidente, ad Addis Abeba ha annunciato di voler aumentare gli aiuti pubblici allo sviluppo con l’obiettivo di raggiungere il quarto posto nel ranking dei paesi del G7 nel 2017, l’anno in cui l’Italia accoglierà il Summit delle sette nazioni fra le più potenti al mondo. Ci può dare cifre e indicazioni più dettagliate?
Ancora è presto per dirlo, il punto è che avremo un aumento degli investimenti sulla cooperazione nell’arco di un triennio. Partiremo con la legge di stabilità 2016, con un piccolo primo sforzo nel prossimo anno e un secondo più sostanziale nel 2017, per poter salire di posizione ed essere ancora più protagonisti nell’ambito del G7. Ma più che ragionare di questioni economiche, è necessario concentrarci su un metodo di lavoro. Modificare il nome del ministero degli Esteri in “ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale” deve consentirci di rafforzare il rapporto tra cooperazione allo sviluppo e la politica estera del Paese. Del resto, la legge 125 è molto chiara: la cooperazione internazionale fa parte integrante della nostra politica estera.
In base ai dati dell’Ocse per l’anno 2014, raggiungere il quarto posto del G7 significa superare il Canada, che è a quota 0,24%, mentre noi siamo allo 0,16%. Partendo da così lontano, non le sembra un target fuori portata per l’Italia?
Intanto vediamo cosa faranno anche gli altri, la Germania ad esempio ha annunciato di destinare più fondi alla cooperazione. Per quanto riguarda l’Italia, certo i fondi sono diminuiti negli ultimi anni, ma noi puntiamo a invertire la rotta e migliorare nel prossimo triennio. Se si fossero fatte le riforme dieci anni fa, oggi l’Italia sarebbe diversa, inclusa la cooperazione, che non è debole, ma è poco aiutata dal governo. Eppure, come qualità è decisamente superiore a quella di altri paesi. Lo è anche grazie alle Ong e al mondo missionario che in Africa, ogni giorno, svolgono un lavoro straordinario, a volte in contesti molto difficili. Penso ai comboniani di Korogocho; a Sant’Egidio in Mozambico, dove la nostra presenza va dalla lotta all’Aids a quella per l’accesso all’acqua potabile; penso anche a Don Dante del Cuamm, che in Etiopia gestisce 19 ospedali dove c’è un’ostetrica ogni 20mila donne che partoriscono. Insomma, la cooperazione italiana è straordinaria, non è debole, è stata meno aiutata di altre, l’aiuteremo di più.
Con la Legge 125, la Cassa Depositi e Prestiti è destinata ad assumere un ruolo importante nella cooperazione allo sviluppo. In che termini?
La Cassa Depositi e Prestiti deve continuare a svolgere il lavoro positivo fatto in questi anni, ma il mondo cambia, quindi c’è bisogno di più iniziativa. Non c’è un cambio di missione della Cdp, e nemmeno con il recente cambio di leadership. All’estero, Cdp deve innanzitutto aiutare il processo di trasformazione di Sace, già stabilito per legge e che attende i processi attuativi. Con questa legge, voglio ricordarlo, la Sace potrà agire come una vera e propria Exim-Bank per finanziare le imprese. Non sarà quindi necessariamente la Cdp ad aiutare la cooperazione, saranno fondi pubblici, eventualmente le fondazioni. Cdp, in ogni caso, deve fare quello che c’è scritto nel suo statuto.
Un’altra grande novità della legge 125 riguarda la nascita di un’agenzia per la cooperazione allo sviluppo. I regolamenti in corso di attuazione non sciolgono i dubbi riguardo i rapporti tra l’agenzia e la Dgcs, il che suscita non poche perplessità nella società civile…
Che non siano rapporti chiari è evidente perché l’agenzia ancora non è partita. Si tratterà di ascoltare la voce della società civile e valorizzare il rapporto tra Dgcs e agenzia, ma ci porremo il problema solo quando l’agenzia sarà operativa.
Si parla dell’inizio 2016. Conferma?
Penso di sì. Me lo auguro.
Durante questo secondo viaggio in Africa, ha dichiarato a più riprese che «l’Italia è di ritorno». Ma qual è la narrativa che accompagna questa fase? Alcuni Paesi partner come Germania e Usa hanno obiettivi molto precisi, che si limitano a due, tre settori. Per l’Italia quali sono?
Il primo è la cultura. Con l’Africa si cerca di discutere di ideali e valori comuni. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi con le università moltiplicando i programmi di scambio tra studenti. Scommettere sulle nuove generazioni è quindi una priorità assoluta, anche perché accogliere i leader africani di domani ci consentirà di rafforzare i legami tra il nostro paese e l’Africa. C’è poi la cooperazione allo sviluppo…
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