Volontariato

La mitezza salverà il mondo

di Dino Barbarossa

La “famiglia umana” che porta avanti la storia sta procedendo velocemente ed inesorabilmente verso l’annullamento della coscienza, non produce i giusti anticorpi per evitare che milioni di persone soffrano la fame e le guerre e che il pianeta si salvi dalla distruzione.

Anche il ritorno ad una attenzione all’ambiente sta avvenendo per slogan e con effetti speciali, ma si scontra con le abitudini quotidiane che appaiono ormai irrinunciabili.

Manca ancora quella consapevolezza che non basta una giustizia basata su regole pensate da pochi, ma occorre, qui ed ora, una vera equità fra gli uomini, l’applicazione universale dell’articolo 3 della Costituzione italiana, per cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Rinunciando aprioristicamente al valore profondo della democrazia, in tutti i contesti e stati sociali si punta ad imporre un governo dispotico, cioè basato sulla violenza, instillando il germe della violenza nella società, perché sia a sua volta violenta, perchè vi sia una contrapposizione tra chi sta su e chi sta giù, perchè ci sia pre-potenza nei rapporti sociali.

Anche laddove le forme sono democratiche (ad esempio, se esistono partiti, elezioni, associazioni, eccetera), la politica non è democratica e sostiene i caratteri non democratici della società.

“La volontà di potenza inghiotte ogni speranza, appiattisce la realtà in una dimensione orizzontale, spiana la via che porta al nulla” (Salvatore Vaccarella).

C’è un antidoto vero ed efficace contro questo processo distruttivo ed è la Mitezza,la via per promuovere il dialogo, i legami sociali, la valorizzazione delle differenze, abitare le relazioni umane

“Beati i miti perché possiederanno la terra”. È davvero possibile o è solo utopia? Ma chi sono i miti? Sono i “forti”, coloro che non si piegano, coloro che sanno porgere l'altra guancia, perché sanno dominare la reazione violenta istintiva all'offesa. Il mite è veramente il padrone della storia ("possiederanno la terra"). Colui che è violento è sempre un debole. Il mite è colui che ha la chiarezza della giusta ragione e che non ha nulla di proprio da difendere, neanche la vita come dice il nostro Schema, ma ha soltanto la giustizia da portare avanti, quindi non si piega mai. La condivisione diretta con il povero è la pratica concreta della non violenza.(don Oreste Benzi)

Una mitezza da non confondere con la remissività o con l’umiltà. È una virtù debole, propria di chi non ha potere, e al tempo stesso potente, poiché anticipa un mondo migliore su questa terra. È «la più impolitica delle virtù», ma anche l’antidoto alle degenerazioni della politica.

La forza è la «virtù» della politica, mentre la mitezza è una virtù della società, della comunità, del riconoscimento dell’altro come essere con cui entrare in relazione.

Nell’”Elogio alla mitezza”, Norberto Bobbio scrive «guai ai miti», laddove per rispondere alla violenza, tradiscano la propria mitezza.

La mitezza, infatti, non è una virtù reciproca: «Il mite non chiede, non pretende alcuna reciprocità: la mitezza è una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata. Come del resto la benignità, la benevolenza, la generosità, la bienfaisance, tutte virtù sociali ma nello stesso tempo unilaterali (non sembri una contraddizione: unilaterali nel senso che alla direzione dell'uno verso l'altro non corrisponde un'eguale direzione, eguale e contraria, del secondo verso il primo. “Io ti tollero se tu mi tolleri”. E invece: “Io custodisco ed esalto la mia mitezza – o la mia generosità o la mia benevolenza – nei tuoi riguardi indipendentemente dal fatto che tu sia altrettanto mite – o generoso o benevolente – con me”). La mitezza è una donazione e non ha limiti prestabiliti».

La persona “mite”, proprio perché desidera costruire una casa comune, non vuole possedere l’interlocutore, non vuole imbonirlo con i suoi discorsi. Spera che con il dialogo possa incontrare l’interlocutore, riconoscerlo nella sua diversità. (Claudio Saita)

Non vi è dubbio che agire la mitezza ha bisogno di un contesto che non sia abbrutito, violento. Spesso la violenza è anche una risposta all’istinto di sopravvivenza e la coerenza di una non violenza attiva porta al martirio.

Quando la società si fa violenta, quando la politica si alimenta di questa violenza e a sua volta l'alimenta creando divisioni, esclusioni, inimicizie, ingiustizie, sopraffazione, e paura, davanti al mite due strade si aprono: perseverare nella mitezza lasciandosi sommergere dalla violenza, oppure contraddirla per il momento, combattendo contro i violenti, scendendo cioè sul loro stesso piano. La prima opzione è quella della speranza: la speranza che, alla fine di tutto, prevalga il bene sul male, o la speranza nella natura fondamentalmente buona degli esseri umani, una natura che lavora da sé per liberarsi delle scorie che la rendono cattiva. In entrambi i casi, la vittoria dei miti sarebbe assicurata, anche se non sappiamo quando, già su questa terra, secondo la promessa evangelica. Ma se non si ha questa speranza e la si considera un rifugio solo consolatorio? Allora anche i miti non disdegneranno di uscire dalla loro indole profonda e indossare quella dei loro nemici. Si tratta di combattere una buona battaglia che, nei risultati sperati, non contraddice affatto ma ribadisce la loro fedeltà alla mitezza. Quando ciò accadesse, quando ciò accadrà, bisognerebbe, bisognerà temere l'ira dei miti.

La mitezza è una virtù che si impara, non è innata ma è un vero e proprio modo di essere nel mondo.

La mitezza non è buonismo. Non è rassegnazione, né remissività di fronte all’ingiustizia o alla violenza. Non è il frutto della paura. Non cerca il facile consenso. Non è remissività, compiacenza, passività, evasività perché sono atteggiamenti che alimentano l’ingiustizia, complicano i problemi, non costruiscono soluzioni durature.

C’è in gioco una terra da ereditare e offrire alle nuove generazioni ed è per questo che è necessaria la mitezza, che aborrisce l’aggressività e la verità usata come clava, che è la forza che si fa carico delle differenze per trovare strade comuni da percorrere, che punta a costruire un bene comune dove nessuno è zittito e dove la voce di chi non ha voce è ascoltata, che è sorella dell’indignazione e del coraggio, che partorisce giustizia e verità senza calpestare la dignità di nessuno.

La mitezza, insomma, è una scelta consapevole.

C'è una primavera che si prepara in questo inverno apparente (Giorgio La Pira)

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