L’unica cosa certa è che saremo giudicati sull’amore e che è ancora tanta la strada da fare, perché l’amore non può essere lasciato allo spontaneismo, all’emozione del momento, ha bisogno di essere alimentato. Cosa vuol dire essere “nel cuore della prossimità”? Stare accanto alle persone più fragili, costruire con loro dei percorsi di recupero della dignità perduta rigenerando la speranza e aiutandoli a ricostruire la loro vita frammentata. Come si fa? Non può essere un’idea “prestazionale”, non si può concepire come un “dare qualcosa a qualcuno”, non può basarsi su una differenza di posizione sociale fra me e te. “Prossimità” ci conduce oltre qualunque idea di welfare, vuol dire che quella persona – il “prossimo”- ti entra nel cuore e non può più uscirne, neanche se dovesse deluderti profondamente. Nel cuore della “prossimità” al centro c’è l’uomo, la famiglia, i suoi bisogni e le sue capacità e le sue fatiche ed insieme la mia responsabilità. Si, perché la povertà materiale, morale, culturale, sociale, dipende dalle scelte che hanno costruito una società a scalini ed hanno posto alcuni in alto ed altri in basso. Una realtà che contrasta pesantemente il principio di egualità e di dignità che è all’origine della vita. Ci sono nel mondo milioni di persone che non hanno mai avuto la possibilità di costruire la loro vita in maniera dignitosa e che si sono abbrutite, perché poste in luoghi disumani, dentro recinti bestiali, in un coacervo di relazioni devianti.
Spesso mi trovo a dire che è importante capire le persone vivendo come loro, ponendosi con verità dalla loro parte, non giudicando ma abbracciando la loro situazione e le loro convinzioni, costruendo un rapporto di stima e di fiducia.
Ecco, stima e fiducia sono le parole chiave della Prossimità, fondano il credere che la persona, avendo la giusta dignità, porta avanti percorsi di bene comune.
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