Volontariato

Difendiamo Riace dal riacesimo

di Giulio Sensi

Sono convinto che le leggi vadano rispettate, ma sono anche convinto che, se Mimmo ha imboccato delle scorciatoie, lo ha fatto per un eccesso di generosità: nessun tornaconto personale, nessun potere da prendere o conservare ma solo il desiderio di sostenere la speranza di persone fragili, garantendo loro un futuro e una vita dignitosa".

Ho accolto con sollievo e turbamento queste parole di Don Luigi Ciotti all'indomani dell'arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano. Ho visto amici e compagni di strada attivarsi e spendersi per difendere l'esperienza di Lucano. Queste persone sono la mia comunità e sarò sempre con loro dalla parte dei deboli e mai dalla parte dei (pre)potenti o degli indifferenti per comodità.

Però quel turbamento mi accompagna ancora. Perché sono convinto che non faccia bene a nessuno liquidare questa vicenda con un giudizio semplicistico. Mi fa male scrivere il post, ma l'intervista al Prefetto Morcone pubblicata dal Corriere della Sera è quanto di più interessante sia girato in questi giorni ed ha confermato le mie inquietudini.

Credo che quando si lotta per o contro qualcosa si debba essere onesti e trasparenti fino in fondo. Così come è una fesseria pensare che ciò che sta accadendo al sindaco di Riace sia un accanimento del ministro Salvini per distruggere la sua esperienza (la vicenda è iniziata molto tempo prima), è sbagliato portare avanti la teoria della rappresaglia: certo, molte persone in malafede gioiscono a vedere Riace sotto attacco, ma non si può essere ideologici nella lettura di questi fatti. Senza forzature, forse, l’esperienza di Riace non sarebbe stata possibile, ed è giusto a volte interpretare la legge in modo diverso a fin di bene. Ma il “come” è anche il “cosa”, il fine non giustifica tutti i mezzi. Allora io penso che il modello Riace ponga degli interrogativi seri e drammatici: da questa esperienza passa la sfida più grande dell'immigrazione di oggi che riguarda l'integrazione e non la gestione dell'emergenza.

Si, il modello Riace -è pieno il web di riprove- è un laboratorio unico in Italia: ha affrontato il problema migratorio intrecciandone la soluzione con altri problemi enormi che il nostro Paese vive (invecchiamento, spopolamento delle aree interne, formazione professionale, occupazione, inclusione etc.). E per quello va difeso. Ma va difeso anche da se stesso: perché per vivere e portare frutti -e moltiplicarli in altri territori- deve sviluppare in sé tutti gli anticorpi per sopravvivere in un sistema che non è pronto ad accoglierlo, in un sistema che viaggia su logiche opposte. Ma proprio perché viaggia su logiche opposte, non deve essere messo in grado di colpire. Quella relazione finale passata alla Procura è la sconfitta di un modo di agire che doveva almeno sforzarsi di sviluppare quegli anticorpi, proprio per non rischiare di essere distrutto.

Il lettore spazientito dalla presente riflessione penserà a questo punto: "facile pontificare da dietro una tastiera sul fatto che dovevano essere fatte le cose nella legalità quando la legalità ti impedisce di farle". Si, è facile, ma a volte è meglio fare qualcosa meno, ma renderla inattaccabile proprio per fare in modo che cresca solida. Proprio perché Riace ha affrontato prima di tutti il vero tema tabù dell'immigrazione (cioé la sua utilità per la società italiana aldilà degli stereotipi e delle paure), il suo modello aveva diritto di essere inattaccable. E questo diritto lo ha ancora. Difendiamolo dunque, ma senza crearci falsi alibi.

Il mio maestro Arturo Paoli diceva spesso negli ultimi anni di vita che dovevamo "difendere Cristo dal cristianesimo". Intendeva da una cultura cristiana che si stava allontanando dal Vangelo e dagli ultimi. Difendiamo Riace dal riacesimo, anche perché l'Italia ha bisogno di sindaci visionari, coraggiosi e altruisti come Mimmo Lucano e delle loro comunità coraggiose. Ma ne ha bisogno da liberi, non da interdetti o arrestati.

​Occhio a non cadere quindi: se andando controcorrente, oggi soprattutto, non si piantano bene i piedi, i forti venti rischiano di spazzarci via.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.