Non profit

Misurazione, noi fundraiser siamo pronti?

di Elena Zanella

È un'onda inarrestabile quella della misurazione. Un effetto domino di cui avevo cominciato a parlare in tempi non sospetti, oltre 5 anni fa, in un post su Nonprofit Blog, quando ancora termini quali valore sociale, impatto, misure, indicatori, SROI erano poco diffusi.

Era il marzo 2013. Il post Effetto Domino: valorizzare l'impatto è stato il primo approccio, si leggerà, a un argomento che è andato via via articolandosi di una serie di interventi a più voci con l'obiettivo principale di condurre il professionista della raccolta fondi su un percorso di consapevolezza intorno al tema centrale della misurazione e delle implicazioni evidenti che questo ha sul fundraising e sulle azioni volte a generarlo.

È ormai innegabile che:

la valorizzazione dell'impatto sociale è il principio su cui i propositi progettuali e promozionali del fundraiser devono porsi.

Questo è un aspetto su cui non nutro alcun dubbio. Muovendo da qui, le domande che mi pongo sono invece diverse. Mi chiedo, ad esempio:

  • se il fundraiser sia sufficientemente preparato ad affrontare questo tema, affatto facile, nelle sue diverse declinazioni.

Se, ad esempio:

  • il fundraiser valorizza a sufficienza, dandosi opportuni indicatori da ripercorrere, le proprie azioni strategiche finalizzate alla sostenibilità, oltre a provare a figurarsi una catena degli eventi che presumibilmente potrebbe concretizzarsi date le azioni promosse.

Il fundraiser ha un ruolo strategico all'interno di un'organizzazione. La sua funzione, erroneamente colta da una parte, anche consistente, dell'universo variegato degli enti di Terzo settore, non è meramente esecutiva, bensì lo pone in una posizione privilegiata agendo da ponte tra dentro e fuori, a diversi grandi di complessità. Ancora, internamente il fundraiser si inserisce in modo trasversale nelle maglie organizzative, dialogando con le diverse funzioni per cogliere opportunità e bisogni.

In questi termini, compito del fundraiser è quello di farsi portavoce di un cambiamento su cui è egli stesso, in primis, a doversi formare per assumere un ruolo educazionale attivo e proattivo verso il proprio ente che, diversamente, potrebbe non avere gli strumenti per comprederne l'importanza.

Diventa urgente che l'interesse del fundraiser si concentri verso un empowerment delle proprie competenze.

I processi di sostenibilità a cui il professionista mira non potranno più prescindere, d'ora in avanti, dal portare dentro le pianificazioni strategiche e l'individuazione degli strumenti, ragionamenti valutativi sulle scelte prodotte, sia che queste si attuino nel breve periodo, su piani circoscritti, sia che si rivolgano ad azioni più importanti, impegnative e di sviluppo sul medio/lungo.

È la Riforma che lo chiede ora ed è il donatore potenziale, in particolare il major donor (preso nelle sue divere declinazioni di individuo, azienda, fondazione) e l'investitore sociale, quale figura sempre più presenti nelle dinamiche organizzative – se orientate -, a pretenderlo.

Siamo, noi fundraiser, dunque pronti:

  • a cogliere la sfida e l'analisi, di fatto molto interessante, che un sistema basato sulla valutazione d'impatto porta inevitabilmente con sé?
  • a misurare output e scandagliare intuizioni?
  • ad alzare l'asticella della complessità dei nostri interventi, più o meno direttamente?
  • ad assumere un ruolo attivo e propositivo in questo cambiamento, allora lento e ora inesorabile, verso sistemi di accountability a cui sempre aspiriamo per poter svolgere, con efficacia, il nostro lavoro e, con esso, assumere compiti e onori di cui la Riforma ci ha investiti?

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