Il Capitalismo è morto?*
Come diceva Keynes, ormai un secolo fa:
«Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi[1]»
Per chi voglia saperne di più, sul framwork europeo, può essere utile e divertente il rimando a questo mio piccolo video introduttivo.
Eppure la domanda è sempre lì[2] e l’attuale crisi l’ha resa ancora più attuale, per almeno due ragioni.
Perché un modello di sviluppo socialmente insostenibile, orientato verso la massimizzazione del solo profitto, è accusato di esserne la concausa[3].
Ma soprattutto perché, in tutto il mondo, assistiamo ad un inedito, epocale, preponderante ritorno dello Stato nell’economia[4].
Ce n’è abbastanza per sovvertire i caposaldi di un modello di sviluppo[5] che, con la caduta del muro di Berlino, sembrava aver definitivamente vinto sulla storia[6] , portando il dibattito dal livello politico a quello meramente tecnico intorno alle migliori forme di capitalismo applicabili.
C’è chi, tra gli irriducibili, riesuma il concetto di “Capitalismo di Stato”. Ma, al di là delle etichette teoriche, l’aspetto che più interessa è un altro.
E, a questo punto, non riguarda più il se o il quantum dell’intervento pubblico, ma il come, il dove ed il perché.
Visto che le risorse pubbliche messe in campo paiono enormi, ma pur sempre limitate, lo Stato dovrà presto scegliere su chi investirle.
Nell’eterna dialettica tra politica (lo Stato), economia (il mercato) ed etica (il tempio)[7], la prima si reimpone sulla seconda, e la terza può tornare ad orientare entrambe.
L’auspicio è che dalla crisi si sappia estrarre un’opportunità storica: quella di orientare questi investimenti verso un modello di sviluppo più sostenibile, sul piano sociale ed ambientale.
Il che fa apparire enormemente anacronistico l’attuale dibattito europeo. Anziché parlare della “condizionalità” degli aiuti “agli” Stati, bisognerebbe parlare della condizionalità degli aiuti “degli” Stati alle imprese.
Se l’Europa fosse finalmente ciò che dovrebbe essere (un’Unione politica e non solo economica), i primi dovrebbero essere scontati e i secondi dovrebbero essere subordinati al raggiungimento di obiettivi comuni. Ma quali?
In primis, dovrebbero esserci quelli della transizione ecologica e dell’integrazione sociale. Perché nei mali di un certo capitalismo troviamo anche le soluzioni.
La sfida storica, ovviamente, non può esser vinta con i soli soldi pubblici. Occorrerà smobilizzare la ricchezza finanziaria delle famiglie, incentivando la c.d. finanza sostenibile capace di integrare i criteri SGR e il c.d. impact investing.
Per approfondire il framework europeo relativo alla Sustainable Finance, rinvio a questo mio piccolo (e spero divertente) video introduttivo
*Post tratto da articolo pubblicato su comunitadiconnessioni.org
[1] Keynes, J. M. (1933). Autosufficienza nazionale. The Yale Review, New Haven.
[2] Si veda M. Mazzucato su El Pais (qui).
[3] Si pensi ai numerosi gli studi che si interrogano sulla correlazione tra l’attuale sistema produttivo, l’inquinamento, l’insorgenza e la diffusione delle epidemie Tra gli altri, si veda qui.
[4] Si veda Gonzales, A., El Estado ha llegado a la economía para quedarse. La crisis del coronavirus ha dado un protagonismo repentino a los Gobiernos, que tardará mucho tiempo en replegarse y en el que subyace un cambio de paradigma, El Pais, 26 aprile 2020 (qui)
[5] Soprattutto quello di stampo neoliberale affermatosi dagli anni 80 in poi con I Governi di Reagan e Tatcher.
[6] Di fine della storia ha parlato F. Fukuyama a proposito della vittoria storica ed economica del modello liberale su quello socialista legato al blocco sovietico dissoltosi negli anni ’90. Fukuyama, F. (2020). La fine della storia e l'ultimo uomo. Utet.
[7] Sia consentito il rinvio ad A. Mazzullo, Il mercato, il tempio e la città, in F. Occhetta, Le politiche del popolo, ed. San Paolo, 2020 e Id., Il rovescio della moneta, ed. Dehoniane, 2019.
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