Alcune considerazioni, a caldo, sulla norma riparatrice relativa alla c.d. vicenda dell’Ires agli enti non profit.
Va premesso che il testo emendativo che si commenta è quello che ancora dovrà essere discusso ed approvato Lunedí dall’Aula del Senato, per poi passare alla Camera.
Che dice?
- La norma conferma l’abrogazione dell’art. 6 del DPR 601/73 (la norma sul dimezzamento Ires).
- Tuttavia, ne procrastina gli effetti a partire dal periodo d’imposta in cui entreranno in vigore le agevolazioni previste da altre norme.
- Di queste “future” norme agevolative poco e nulla si dice, se non che dovranno essere: “compatibili con il diritto dell'Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei princìpi di solidarietà e sussidiarietà. Sarà assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”.
Che succede nel frattempo?
- In teoria, tutto resta così com’era sotto la vigenza dell’art. 6 del DPR 601/73.
- In pratica, gli enti che beneficiavano di quel regime continueranno a rimanere in una profonda incertezza programmatoria, vista la pressoché totale assenza di indicazioni sul regime sostitutivo e sui tempi di sostituzione.
Considerazioni sulla norma abrogata (art. 6 DPR 601/73)
- Come ho avuto occasione di scrivere, e limitandomi a considerazioni meramente tecniche, io condivido l’idea che il famigerato art. 6 dovesse essere riformulato.
- Si trattava di una norma, ad es., che valorizzava un requisito, quello della personalità giuridica, ormai del tutto desueto. Oggi non si capisce più perché si debba escludere quel medesimo beneficio nei confronti di un’associazione non riconosciuta, ma non meno meritevole.
- Nella lettera della norma, poi, non ci si preoccupava dell’eventuale svolgimento oggettivo di attività commerciali o con modalità commerciali; ciò che contava era solo il fine perseguito. Ma un certo indirizzo interpretativo giurisprudenziale aveva comunque preteso che l’attività svolta dall’ente agevolato fosse anche, sostanzialmente, non commerciale. C’era (e a questo punto c’è ancora) bisogno di un chiarimento ed aggiornamento legislativo.
- Si parlava di alcune tipologie di enti o finalità e non di altre.
- Un conto però è riformare, altro è abrogare.
- Anche l’abrogazione è perfettamente legittima, purché risponda ad un disegno razionale e coerente con l’impostazione dei provvedimenti approvati o confermati qualche mese prima, da parte dello stesso legislatore.
- La norma ovviamente non era mai stata comunicata all’UE e la sua compatibilità con la sopravvenuta disciplina degli aiuti di stato era tutta da verificare
Confronto tra norma abrogata e norma sostitutiva
- Dallo scarno enunciato si possono desumere solo poche, ma significative, differenze.
- Le agevolazioni da introdurre dovranno, come ovvio, confrontarsi con gli stringenti limiti UE
- Si parla ora di finalità “sociali”; che è cosa diversa, ad es., da quelle di religione e culto che rientravano nello spettro applicativo del vecchio art. 6, per effetto della loro equiparazione a quelle di beneficienza. Ma si tratta anche di una locuzione ulteriormente diversa da quella utilizzata dal Codice del Terzo Settore cui però si rinvia, ai fini del coordinamento.
- Non si parla di enti personificati, ma, più genericamente, di soggetti. Il focus soggettivo, auspicabilmente, non è più la personalità ma la soggettività giuridica.
- Si esclude l’applicazione delle agevolazioni per chi svolga non tanto attività commerciale, quanto attività con modalità commerciale (che è cosa diversa, come ci insegna l’esperienza – giuridicamente non esaltante – del DM del 1995 che regolava le attività marginali delle odv.
Considerazioni finali sulla norma sostitutiva
- L’accento della meritorietà è posto sull’attività svolta, piuttosto che sulla finalità perseguita. A differenza della lettera della norma precedente, per quanto contraddetta dalla sua prassi interpretativa e applicativa.
- Non basta essere non profit e perseguire una finalità sociale, ma occorre non finanziare tale fine con mezzi sostanzialmente diversi dalle donazioni private o pubbliche.
- Sullo sfondo rimane ancora il sospetto di un equivoco ed una confusione di fondo: non profit = no profit; lucro soggettivo = lucro oggettivo! E le dichiarazioni ufficiose susseguitesi a commento della legge di bilancio non fanno che aumentare il sospetto.
- Il finanziarsi tramite lo svolgimento di attività commerciali è visto come una negazione dell’identità del Terzo Settore concepito ancora come No profit.
- La riforma del Terzo Settore, confermata nel suo impianto generale anche dall’attuale Governo con i decreti correttivi recentissimamente approvati, andava in un’altra e innovativa direzione, seppure con alcune sue contraddizioni intrinseche.
- Il Terzo Settore, in realtà, è tale non tanto per il fatto di non svolgere attività lucrativa-commerciale (lucro oggettivo), quanto per il fine perseguito e, possibilmente, per l’impatto sociale effettivamente conseguito e misurato. La ricomprensione dell’impresa sociale nel novero del TS, come anche il riconoscimento di ETS prevalentemente o esclusivamente commerciali (vedi artt. 11, 13 e 79 del Codice del Terzo Settore) sono la prova di questo passaggio sottile ma innovativo.
- Un conto è la non lucratività oggettiva (impossibilità di svolgere attività commerciale per finanziare esclusivamente la propria mission sociale e di interesse generale); un altro è la non lucratività soggettiva.
- Tornare a subordinare la meritorietà di tale mondo, alla non lucratività non solo soggettiva (com’è giusto), ma anche oggettiva, è un deciso passo indietro.
- Tra l’imprenditoria speculativa che mira solo allo scopo di massimizzare il proprio lucro soggettivo e l’attività meramente erogativa (non generativa) di fondi raccolti da donazioni (pubbliche o private), vi è una terza via: quella dell’imprenditoria sociale che crede che impresa sia produzione di valore e non di lucro[1]!
- Oggi il Terzo Settore concorre, insieme al Mercato for profit, ad assolvere una funzione non solo prettamente sociale, ma anche imprenditoriale; ad incidere, contemporaneamente, sul numeratore (in termini di minore spesa pubblica) e sul denominatore (in termini di fatturato produttivo) del rapporto Debito/Pil.
- Ma questo non può essere considerato un demerito, bensì un merito del processo di civilizzazione dell’economico che va incoraggiato, anziché impedito.
[1] Per comprendere meglio gli aspetti tecnici e sistematici di questa impostazione sia consentito il rinvio a A. Conte, L’impresa responsabile, Giuffrè, 2018. In modo meno prestigioso, sia consentito il rinvio anche ad A. Mazzullo, Diritto dell’imprenditoria sociale, Giappichelli, 2019 (in corso di pubblicazione a fine febbraio).
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