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Il “nuovo” inquadramento fiscale degli ETS

di Alessandro Mazzullo

Sgombro subito il campo da un possibile equivoco. Dal mio personale punto di vista, la Riforma merita un giudizio complessivamente positivo.

Per la prima volta, nella storia del nostro Paese, il legislatore riconosce e disciplina, sotto un’unica cornice, l’intero mondo del Terzo Settore.

Non era un compito semplice. E non sarà tale neanche la fase correttiva ed attuativa, con le decine di decreti da approvare, le autorizzazioni europee da attendere, il Registro unico da implementare[1].

Uno degli aspetti più delicati è certamente rappresentato dall’inquadramento fiscale dei nuovi ETS.

La scelta finale è stata quella di incasellarli dentro il vecchio binomio (per molti versi troppo angusto) degli enti commerciali e non commerciali.

Una distinzione basata, per dirla in parole semplici, su un criterio oggettivo, interno e relativo: la prevalenza delle entrate commerciali o non commerciali[2].

Criterio oggettivo, perché tiene conto prevalentemente della natura dell’attività svolta. Interno perché afferente a scelte organizzative e gestionali dell’ente. Relativo perché basato sul rapporto tra valori che possono essere estremamente diversi da ente ad ente.


Per intenderci, potremmo avere un ETS commerciale Alfa, con 10.000 euro di ricavi commerciali e 9.000 di entrate non commerciali (donazioni, 5×1000, contributi pubblici a fondo perduto); ed un ETS non commerciale Beta, con 10.000.000 di ricavi commerciali, a fronte di 11.000.000 di euro di entrate non commerciali.


Ebbene, dall’inquadramento dell’ETS come ente non commerciale, dipendono conseguenze fondamentali:

  • non solo la maggior parte delle agevolazioni fiscali,
  • ma anche la possibilità di avere una contabilità semplificata
  • e, soprattutto, un diverso regime di determinazione dell’imponibile.

Salvo un diverso orientamento interpretativo[3], e cercando sempre di semplificare al massimo, potremmo riprendere l’esempio di prima, per meglio comprendere la portata di quanto appena descritto.


Alfa, qualificandosi come ETS commerciale[4], rischia di dover considerare sopravvenienze attive (ricavi commerciali) le donazioni ricevute e di dover versare l’IVA sulle cessioni di beni o erogazioni di servizi gratuitamente effettuate!! Oltre a perdere la maggior parte delle agevolazioni previste dalla Riforma e a dover tenere una contabilità ordinaria


La soluzione legislativa di incasellare gli ETS dentro questo rigido binomio, pertanto, non è una questione di carattere puramente teorico. Si rifletterà in modo decisivo sulle scelte e sulle capacità previsionali che gli ETS dovranno da oggi compiere. Creando anche le stridenti contraddizioni evidenziate nell’esempio, per nulla irrealistico.

Non si trattava di una scelta scontata o ineluttabile. A mio modesto avviso, la legge delega[5] pareva andare in un’altra direzione, dando maggior rilievo ai profili soggettivi (finalità e impatto sociale). La configurazione, anche civilistica, di un’autonoma soggettività giuridica avrebbe potuto spingere verso scelte di maggior attualità, prevedendo finalmente un regime ad hoc che prescindesse o superasse il rigido e superato binomio degli enti commerciali o non commerciali. Come, di fatto[6], era accaduto per la vecchia disciplina Onlus.

Ma tant’è! Oggi è questo il quadro e, salvo modifiche o correttivi, con questi elementi normativi dovranno rapportarsi i nuovi ETS. Occhio a leggerne opportunità e criticità!


[1] Per un maggiore approfondimento degli altri aspetti di carattere civilistico e tributario del nuovo Codice, sia consentito il rinvio ad A. MAZZULLO, Il nuovo Codice del Terzo Settore. Profili civilistici e fiscali, Giappichelli, 2017 (in uscita ad Ottobre).

[2] Vedi l’art. 79, comma 5 del Codice del Terzo Settore (da ora CTS).

[3] In particolare, da parte dell’Amministrazione finanziaria.

[4] O perdendo la qualifica di ente non commerciale, in forza di minori donazioni di quelle attese, o di maggiori ricavi commerciali di quelli sperati.

[5] Art. 9, comma 1, lett. a).

[6] Seppur in forza di una fictio iuris, de-commercializzando tutta l’attività istituzionale, ai sensi dell’art. 150 Tuir.

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