Ho atteso qualche giorno un po’ per titubanza e un po’ per prudenza, ma ora rileggo l’agenzia.
“Orlando, cambiare indennità accompagnamento (ANSA) – ROMA, 18 MAG 13.57 – Il Governo è pronto a fare la riforma della normativa sulla non autosufficienza per la quale il PNRR prevede 3,5 miliardi e sarà rivista l'indennità di accompagnamento. Lo afferma il ministro del Lavoro, Andrea Orlando intervistato da Milena Gabanelli sul Corriere della Sera. «Dare servizi uguali a persone che hanno condizioni diverse – ha detto – rischia di alimentare talvolta delle rendite ingiustificate, Il trattamento che dovrà essere alimentato anche da quei 520 euro (l’attuale indennità di accompagnamento, ndr) dovrà essere individualizzato rispetto all'età, al luogo, alle condizioni economiche e familiari».”
La prudenza è dovuta sempre, vieppiù se gli intenti di un Ministro sono riassunti in una dichiarazione di agenzia così stringata, intenti che sicuramente sono – vogliamo crederlo – molto più articolati.
La titubanza invece derivava dalla convinzione, errata, che attorno a questa dichiarazione vi sarebbero state vibrate proteste o perentorie richieste di chiarimenti.
L’età e la memoria consentono di ricordare stagioni in cui solo a sfiorarlo il tema dell’indennità di accompagnamento avrebbe innescato reazioni a strettissimo giro, con interrogazioni, richieste di convocazione, manifestazioni di piazza.
E di tentativi di restringere la platea dei beneficiari ce ne sono stati di numerosi e bipartisan. Durante i Governi Berlusconi I e II, durante il Governo Monti e prima ancora con all’epoca del Governo Dini. Ma ancora più di recente non possiamo dimenticare il report di Cottarelli, durante il Governo Letta, che sulla riforma (restrizione) dell’indennità, condizionandola alla prova dei mezzi, era abbastanza netto.
La soluzione tecnica profilata, infatti, è un evergreen: collegare l’erogazione dell’indennità di accompagnamento al reddito (o pensione). Fino ad oggi non è così. In uno di questi colpi di testa si profilò persino un plausibile tetto reddituale: 85.000 euro annui, salvo poi calcolare che il risparmio in questo modo sarebbe stato di poche centinaia di milioni, cifra troppo esigua per giocarsi l’immagine politica pagandola con l’impopolarità. E i diretti interessati sotto Montecitorio facevano la differenza.
Sulle dichiarazioni di Orlando non si raccolgono invece reazioni di alcun tipo. Forse è uno degli effetti del Governo Draghi, forse una ricaduta sociologica, tutta da indagare, della pandemia che sospingerebbe al consociativismo, forse una momentanea incomprensione dell’importanza della partita, forse è solo una questione di tempi. Ma tant’è, per ora non se ne parla.
La questione però non è irrilevante visto che riguarda circa 2 milioni di persone e che la spesa assorbe buona parte – oltre il 70% – della cifra di 19 miliardi che lo Stato spende ogni anno in pensioni, assegni, indennità (e arretrati) agli invalidi civili. Cifretta che ingolosisce, l’abbiamo visto in passato, chiunque miri a risparmiare o “razionalizzare” o riformare a costi ribassati.
Nel PNRR, pur in modo flebile, è davvero l’espressa l’intenzione di riformare le politiche e i servizi per la non autosufficienza, il che, come ha circostanziato qualche scrupoloso analista (uno fra tutti, Cristiano Gori), comporta una serie combinata di azioni congruenti per una svolta strutturale che abbia davvero senso e prospettiva.
L’intervento sull’indennità di accompagnamento non può che essere a valle di molte altre strategie e garanzie, non certo il primo elemento da buttare sul tavolo, altrimenti è un film già visto. E a valle di molte consapevoli riflessioni.
Una battuta merita la non felice espressione delle “rendite ingiustificate” che talora l’indennità genererebbe. In pratica l’indennità verrebbe accantonata arricchendo il patrimonio del singolo e della famiglia. Un Paese che non è ancora riuscito a riconoscere e considerare il costo – diretto e indiretto – della disabilità, il costo del lavoro di cura, i mancati introiti, le maggiori spese generali, non può concedersi quella battuta.
Quelle “rendite ingiustificate”, fra l’altro, vengono computate nell’ISEE, trattate alla stessa stregua di qualsiasi altro patrimonio mobiliare. Ci sono famiglie, spesso a reddito medio -basso che davvero accantonano quella cifra per il futuro del proprio congiunto con disabilità, per sostenere il “dopo di noi”, per rendere possibile un pezzo di progetto di vita, di abitare in autonomia o altro. Lo Stato non glielo riconosce come invece si affretta a fare se la famiglia, con ben altre disponibilità, sottoscrive un trust.
“Non autosufficienza” nel retropensiero – prevalente quanto ormai erroneo – significa ancora “terza età e dintorni”. È pur vero che il 50% delle indennità di accompagnamento sono erogate a persone con più di 80 anni; di qui forse l’interesse a di metterci mano. Forse il primo dato da verificare è quante indennità siano in effetti solo una partita di giro fra la persona (anziana e non) e la struttura di cui è ospite o della badante che lo accudisce o dell’assistente personale, o della partecipazione alla spesa per l’assistenza domiciliare. Quando c’è: oggi raggiunge solo 5% degli anziani.
L’indennità di accompagnamento oggi, ad essere sbrigativi, è pressoché l’unico livello essenziale assistenziale (sociale). È quando saranno garantiti tutti gli altri che se ne potrà riparlare. Non c’è sul punto opposizione ideologica, ma numeri, dati, fatti: la disparità regionale abnorme di spesa sociale per anziani e persone con disabilità è ormai intollerabile anche agli occhi della Ue, la prima nemica della invocata coesione sociale e la plastica dimostrazione di decennali riforme disattese, con buona pace dell'equità, dell'inclusione e di cento altre parole magiche. Non c’è da stupirsi che l’incidenza per indennità di accompagnamento sia inversamente proporzionale alla spesa sociale pro-capite nelle singole regioni.
Manca all’appello, solo a pensare alla terza età, la compiutezza del Piano per le cronicità, del Piano nazionale per le demenze, dello stesso Piano per la non autosufficienza.
E manca una riflessione profonda, con ricerche e analisi oggettive, sull’impoverimento delle famiglie ancora maggiore in presenza di una condizione di disabilità o non autosufficienza e sui costi del welfare fai da te. Una povertà con profondi effetti anche transgenerazionali: per la prima volta nella storia le nuove generazioni saranno più povere di quelle precedenti, quelli che avevano potuto contare sull’aiuto di genitori e nonni per la costruzione del proprio futuro.
Una riforma quella sulla non autosufficienza che se parte dall’indennità di accompagnamento, non inizia di certo sotto una buona stella.
Ma forse, paradossalmente, può consolare che nell’ufficioso cronoprogramma delle riforme del Governo Draghi quella sulla non autosufficienza sia pressoché l’ultima.
Aggiornamento: Il Ministro Andrea Orlando ha fornito una sua precisazione su queste stesse colonne. Doverosamente la segnalo, apprezzando l'attenzione.
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