Con la nonviolenza riconosciamo il diritto di tutti all’esistenza,
con la non menzogna il diritto di tutti alla verità
Aldo Capitini
Mi occupo di Servizio civile da quando ho svolto il mio anno da obiettore di coscienza al servizio militare, da molto tempo come formatore dei volontari civili sui temi della storia di questo istituto repubblicano e sulla “difesa della patria”, come attivista del Movimento Nonviolento fondato da Pietro Pinna e Aldo Capitini, ma oggi anche – dal punto di vista professionale – come responsabile di “politiche giovanili”. In questi anni ho avuto piena conferma del valore formativo della coerenza tra le parole e le cose: i giovani – per i quali il servizio civile rappresenta spesso la prima forma di partecipazione personale attiva alla vita della comunità – affinché si appassionino hanno bisogno di sentire parole autentiche, ecologiche, di verità, che abbiano una corrispondenza trasparente con la realtà, non fumose retoriche puntualmente contraddette dai fatti.
In questo senso, durante i moduli formativi, esaminiamo gli articoli 11 e 52 della Costituzione e le conseguenti sentenze della Corte costituzionale, in quanto fondanti l’evoluzione dell’impianto normativo del Servizio civile. Li approfondiamo a partire dall’analisi puntuale delle parole della Costituzione, per la quale i Costituenti scelsero, come diceva Tullio De Mauro, “le parole più trasparenti”, affinché – in un un Paese appena uscito dalla guerra, che contava un numero elevato di analfabeti – il loro significato fosse comprensibile da tutti, senza alcuna ambiguità. L’articolo 11, con il “ripudio” (ripudiare, ossia disconoscere, abiurare, rinnegare) della guerra, tra i dodici Principi fondamentali, e l’articolo 52, con il “sacro” (ossia intangibile, inviolabile, sacrosanto) dovere di difesa della Patria. Non a caso, sono questi gli articoli che indicano le “finalità” del Servizio civile universale secondo il Decreto legislativo del 6 marzo 2017, n. 40: “E’ istituito il servizio civile universale finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma e 11 della Costituzione, alla difesa non armata e nonviolenta della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli, nonché alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4, secondo comma, della Costituzione” (art. 2).
Tuttavia non c’è alcuna corrispondenza tra le parole che dicono e fondano il Servizio civile universale e i fatti che ne derivano, in particolare le risorse destinate: nel recente “Decreto rilancio” – nonostante le richieste di Enti, di volontari e gli impegni del governo – la dotazione economica aggiuntiva del servizio civile è di soli 21 milioni di euro che, sommata ai 193 già previsti dal relativo Fondo, diventano per il 2020 poco più di 200 milioni di euro. Risorse che possono soddisfare appena 37.000 richieste, a fronte di una disponibilità di circa 85.000 giovani all’anno ad impegnarsi nella “difesa non armata e nonviolenta della Patria”: che cosa c’è di “universale” in questo? Perché si continua a definire, ipocritamente, “universale” un diritto – ed un dovere – che esclude più della metà dei giovani che desiderano impegnarsi per la comunità?
E ancora, la Costituzione e l’ordinamento giuridico configurano due modelli di difesa del Paese: uno militare ed armato, l’altro civile, non armato e nonviolento. Ebbene per il primo c’è un investimento pubblico crescente – anno dopo anno – che ha toccato quest’anno la cifra record di oltre 26 miliardi di euro; dall’altro poche briciole, sempre più scarse. Per un anno di difesa non armata e nonviolenta del Paese – capace di intervenire nelle difesa dalle minacce reali, con l’impegno civile, sociale e culturale dei giovani – il governo investe una cifra pari a soli tre giorni di spese militari, ossia, al confronto, pressoché nulla. Allora, perché si continua a scrivere, nelle leggi dello Stato, che il Servizio civile “è finalizzato alla difesa non armata e nonviolenta della Patria” se poi questa difesa non viene finanziata e organizzata con, almeno, pari dignità di quella militare ed armata?
Allora, adesso basta prendere in giro i giovani. Come formatore ho una responsabilità educativa fondata sull’etica della verità – o almeno, capitinianamente, sulla “non menzogna” – per cui da oggi dirò loro le cose come stanno: il servizio civile universale – al contrario di quanto scritto nella legge istitutiva ed a dispetto della Costituzione e delle lotte dei giovani che lo hanno ottenuto – è diventato un mero ammortizzatore sociale per pochi fortunati. E aggiungerò che solo un nuovo impegno di lotta dei giovani – analogo a quello degli obiettori di coscienza al servizio militare – potrà conquistare finalmente un vero diritto universale di civiltà, del quale il Paese ha estremo bisogno. Oggi di fatto negato.
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