Volontariato

La tragedia di Aleppo, il terrorismo della guerra, il dramma del “movimento per la pace”

di Pasquale Pugliese

Infine, dopo quattro anni di assedio e dopo mesi di bombardamenti, anche al fosforo bianco, sulle case di Aleppo est, l’esercito siriano di Assad – sostenuto da quello russo e da quello iraniano – ha raso al suolo e “ripulito” una parte della seconda città della Siria dalla ultime sacche di resistenza anti regime. E’ una guerra sporca quella siriana, sporca come tutte le guerre. Nasce con la risposta violenta del regime familiare di Assad alla “primavera araba” siriana, alla richiesta popolare e pacifica di più diritti e più democrazia, soffocata nel sangue dal regime fin dal marzo del 2011 e repressa con la tortura sistematica degli oppositori, come denuncia anche il Syrian Nonviolence Movement Continua con la nascita dell'”esercito libero siriano” che risponde alla violenza del regime organizzando la contro-violenza armata, e poi con il radicamento delle milizie fondamentaliste, anche internazionali, che cercano di egemonizzare l’opposizione al regime. Si aggiungono – dall’altro lato – il sostegno militare russo e iraniano ad Assad e l’arrivo di armi, tante armi, a tutte le parti in guerra. Armi russe al regime, armi USA nelle mani di ribelli e terroristi. Armi italiane finite probabilmente da entrambi le parti in conflitto, visto che il nostro Paese, fino al 2011, è stato il principale fornitore di armi nell’Unione Europe al governo siriano.

Aleppo est, insorta contro il regime e controllata militarmente dai ribelli di varie fazioni, era sotto assedio dell’esercito siriano fin dal 2012 e, dal 2015, è stata sottoposta a incessanti bombardamenti dell’aviazione russa e siriana. Con il pretesto della cacciata di ribelli e terroristi, con la complicità impotente della cosiddetta “comunità internazionale” e nonostante gli appelli di organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere, la città è stata martirizzata. Gli ospedali distrutti, i bambini terrorizzati, la popolazione civile decimata, difesa solo dai caschi bianchi della Syria civil dfence, candidati al premio Nobel per la pace 2016. La guerra al terrorismo ha mostrato, in tutta la sua crudeltà, il suo volto di terrorismo di Stato. Non è la prima volta che accade, anche nell’ultimo quarto di secolo: con il pretesto della lotta al terrorismo i russi avevano riservato un trattamento analogo a Grozny, capitale della Cecenia; con lo stesso pretesto gli USA e gli alleati occidentali, hanno invaso l’Iraq, l’Afghanistan, la Somalia, la Libia portando ovunque più distruzione e generando più terrorismo. La città irakena di Fallujia è stata distrutta per il 60% e la sua popolazione decimata dai bombardamenti statunitensi. Accade, tutt’ora, anche in Yemen, con le bombe saudite provenienti dall’Italia.

Se la guerra, in quanto tale, è un crimine contro l’umanità, la guerra moderna – iniziata con i bombardamenti sulle città della seconda guerra mondiale, fino alla distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki – è terrorismo allo stato puro: colpisce indiscriminatamente e deliberatamente i civili per piegare la resistenza dei nemici. E’ un dato acquisito, una strategia militare consolidata e rinforzata anche dall’uso dei droni. E tuttavia, rispetto al martirio di Aleppo, continuiamo a leggere articoli e prese di posizione di organizzazioni e persone che – pur definendosi “pacifiste” – ci spiegano che la guerra è questa cosa qua, che uccide i civili più che i militari, che sventra le case e le persone, ma che non c’è altro modo di difendere i civili che bombardarli, perché questo porterà la Siria – finalmente – alla pace e alla prosperità. Che, insomma, mentre protestavamo insieme contro i bombardamenti statunitensi, in questo caso è diverso e dobbiamo farcene una ragione, perché sono bombardamenti giusti, legittimi e, addirittura, anti-imperialisti.

La tragedia di Aleppo fa emergere così in tutto il suo dramma, e la sua confusione, il problema dell’identità del cosiddetto “movimento per la pace”, quel movimento che – non a caso – Nanni Salio, presidente del Centro Studi Sereno Regis di Torino ha spesso chiamato “il movimento che non c’è”, perché composto da soggetti eterogenei che non hanno la costruzione della pace come obiettivo specifico, ma solo come aspirazione generica, parziale, temporanea, sempre subordinata ad altre priorità. Una parte del quale, pur dicendosi, “per la pace”, crede ancora in verità nella guerra giusta, nel fine che giustifica i mezzi, fa “due pesi e due misure” nel condannare le guerre, cerca la parte dalla quale schierarsi piuttosto che stare dalla parte di tutte le vittime…Emerge ancora una volta, dunque, anche intorno alla tragedia di Aleppo, l’urgenza della costruzione di un vero movimento per la pace, nazionale e internazionale, che abbia il fine della fuoriuscita dal tempo e dalla logica della guerra. Un movimento forte e autorevole, che abbia la guerra come unico nemico, che sia capace di contrastarla – sul piano culturale, strutturale e diretto – fin dalla preparazione degli strumenti che la rendono possibile, attraverso il disarmo. Un movimento che sia capace di costruirne le alternative, per intervenire nei conflitti internazionali – prima che degenerino in guerre – in maniera civile, non armata e nonviolenta. Non a caso, questi sono anche gli obiettivi della campagna Un’altra difesa è civile, piuttosto ignorata dal generico “movimento per la pace” ma condotta congiuntamente dalle reti impegnate specificamente per la nonviolenza.

A fronte alla drammatica confusione di una parte del “movimento per la pace”, c’è invece una indicazione lucida e precisa – come mai prima d’ora – che viene dal capo della Chiesa cattolica. Papa Francesco, sia nel messaggio per la Giornata per la pace del 1 gennaio 2017, sia nel recente incontro con gli ambasciatori presso la Santa Sede, ha indicato ancora una volta nella guerra – e nelle enormi risorse che vengono sacrificate sul suo altare – la tragedia centrale del nostro tempo: “rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti”. E indica nel disarmo, convenzionale e nucleare, e nella scelta delle “strategie nonviolente” per la soluzione dei conflitti, l’unica via d’uscita: “questa è la via della pace – dice il Papa agli ambasciatori – non quella proclamata a parole ma di fatto negata perseguendo strategie di dominio, supportate da scandalose spese per gli armamenti, mentre tante persone sono prive del necessario per vivere”

Mentre la Chiesa cattolica sta facendo finalmente un passo avanti sulla strada della nonviolenza, sulla tragedia di Aleppo una parte del “movimento per la pace” ha fatto invece un passo indietro.

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